INCONTRO ALLA SOLVEY
Ferrara, 18 dicembre 1997
In primo luogo vi esprimo tutta la mia gratitudine per l’invito che
mi avete rivolto a visitare lo stabilimento Solvay di Ferrara. Felicemente
questa visita coincide con un incontro di riflessione e di studio, al quale
avete avuto la bontà di invitarmi, concedendomi di prender la parola.
Vi ringrazio di cuore.
1. Prendendo la parola, sento forte il bisogno di “giustificare” la
mia presenza, la mia presenza di Vescovo intendo dire, in un incontro in
cui si discutono temi di economia e di finanza. Dal momento che un Vescovo
non ha come tale competenza in tali ambiti né ha il diritto di offrire
soluzioni di sorta ai problemi da voi oggi dibattuti. Tuttavia esiste un
dato di fatto che in fondo sta alla radice di tutta l’economia e di tutta
la scienza della finanza: un dato di fatto che è sempre presupposto
da ogni vostra riflessione ed implicato in esso. Questo dato di fatto è
la persona umana. Che cosa infatti sta alla radice di ogni attività
economica, dalla più semplice alla più complessa se non la
persona umana? Che cosa si propone ogni attività economica, dalla
più semplice alla più complessa, se non il bene della persona
umana? E’ su questo “comune terreno”; è su questo “supremo interesse”;
è su questa “preoccupazione massima” che possiamo instaurare un
dialogo oggi sempre più necessario: il comune terreno della umanità
dell’uomo da promuovere, il supremo interesse dello sviluppo vero della
persona da proseguire, la massima preoccupazione della dignità della
persona da difendere. Umanità dell’uomo, sviluppo della persona
e sua dignità: sono parole che spesso nel dialogo contemporaneo
nascondono significati assai diversi.
Parafrasando il famoso verso del poeta latino, posso dire: sono
Vescovo e quindi nulla di ciò che attiene alla dignità della
persona mi è estraneo. Esiste cioè una funzione di servizio
all’uomo distinta dalle competenze della politica e della economia, anche
quando ci si occupa entrambi delle persone nella concretezza della loro
vita quotidiana.
Ed allora vorrei sottoporre alla vostra riflessione, esprimere
alla vostra attenzione alcune mie preoccupazioni riguardanti il bene, la
dignità della persona umana. Queste preoccupazioni, se hanno un
fondamento oggettivo, diventano principi di azione, criteri di giudizio
e direttrici di azione per chi ha responsabilità in campo economico.
Certamente, e con questo termino questo primo punto della mia
riflessione, oggi più che mai si deve avere consapevolezza che lo
sviluppo economico non è solo dovuto a considerazioni e decisioni
di carattere tecnico, ma anche e soprattutto di carattere etico. Che lo
sviluppo economico medesimo, infatti, accada in un modo piuttosto che un
altro non è la conseguenza di leggi economiche semplicemente né
tanto meno da una specie di fatalità dipendente dalle condizioni
naturali o dall’insieme di altre circostanza. La concezione stessa dello
sviluppo economico ha la sua origine fuori da considerazioni economiche,
ma nasce sempre da una visione dell’uomo. “Il vero sviluppo non può
consistere nella semplice accumulazione di ricchezza e nella maggior disponibilità
dei beni e servizi, se ciò si ottiene a prezzo del sottosviluppo
delle moltitudini, e senza la dovuta considerazione per le dimensioni sociali,
culturali e spirituali dell’essere umano” (Giovanni Paolo II, Lett. Enc.,
Sollecitudo rei socialis 9; EV 10/2524).
In questa prospettiva ho parlato di preoccupazioni per il bene
intero della persona umana, per la sua dignità come direttrici di
azioni per chi ha responsabilità economiche.
2. La prima preoccupazione sulla quale vorrei attirare la vostra
attenzione è che non ci si fermi ad una considerazione dell’uomo
come individuo. Mi rendo conto che sto toccando non una questione, ma un
nodo di questioni, per cui è necessario che chiarisca subito e nel
miglior modo possibile il mio pensiero.
Quando si parla di uomo, è errato il pensare ad un individuo
isolato e a se stante: l’uomo è sempre dato, ci si presenta sempre
all’interno di comunità nelle quali egli esprime la sua capacità
ed esigenza di comunicazione. E così, per esemplificare immediatamente,
il binomio individuo-Stato su cui è costruita l’odierna organizzazione
politica deve essere superato nel trinomio persona - comunità (in
cui sono perseguiti e realizzati i fondamentali diritti umani) - Stato
(cfr. P. Donati, Pensiero sociale cristiano e società post-moderna,
ed. A.V.E., Roma 1997, pag. 151-154).
Ma lo stesso vale per l’attività economica: più
precisamente per il sistema economico. L’uomo non è mai un individuo:
egli fa parte di un “eco-sistema” spirituale e culturale di cui il matrimonio
e la famiglia sono l’asse portante. Consentitemi di soffermarmi un poco
su questo punto.
Ho parlato di un “eco-sistema spirituale e culturale”. Che cosa
intendo? La persona umana è responsabile non solo dell’ambiente
naturale in cui vive e che si regge su un delicato equilibrio che deve
essere custodito. La persona umana è responsabile anche e soprattutto
di se stessa: dello sviluppo della sua ricchezza propriamente umana, condizionato
sempre dall’ambiente sociale, culturale, spirituale in cui vive. Quest’ambiente
(l’ho chiamato “eco-sistema spirituale e culturale”) può essere
favorevole alla persona o può essere così inquinato da mettere
seriamente a rischio il bene - essere della persona medesima.
“La prima e fondamentale struttura a favore della «ecologia
umana» è la famiglia, in seno alla quale l’uomo riceve le
prime e determinanti nozioni intorno alla verità e al bene, apprende
che cosa vuol dire amare ed essere amati e, quindi, che cosa vuol dire
in concreto essere una persona” (Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Centesimus
annus 39; EV 13/198).
E’ necessario allora che ci facciamo seriamente una domanda:
l’organizzazione del lavoro, il sistema economico tiene nella dovuta considerazione
il fatto che l’uomo, che partecipa al processo economico, fa parte, è
parte di una famiglia? Dobbiamo essere attentamente vigilanti al riguardo.
La non rilevanza di questa fondamentale struttura del vivere umano nella
programmazione e nel sistema economico ha già portato ingenti danni
sociali ed anche economici. Questa non rilevanza accade quando il lavoro
dell’uomo “è organizzato in modo tale da «massimizzare»
soltanto i frutti e proventi e non ci si preoccupa che il lavoratore, mediante
il proprio lavoro, si realizzi di più o meno come uomo, a seconda
che cresca la sua partecipazione in un’autentica comunità solidale,
oppure cresca il suo isolamento in un complesso di relazioni di esasperata
competitività e di reciproca estraniazione, nel quale, egli è
considerato solo come un messo e non come un fine” (ibid. 41; Ev/13,206).
So che questa è una responsabilità che non riguarda
solamente, forse neppure principalmente i responsabili dell’economia. Che
la famiglia, il suo bene, sia messo al centro dell’attività produttiva
è compito di tutto un sistema etico-culturale, alla creazione del
quale contribuiscono vari soggetti operativi. Ma fra questo anche il sistema
economico è responsabile.
La Chiesa certamente non ha modelli da offrire: ha solo il compito
di offrire alla riflessione di ogni uomo di buona volontà orientamenti
e criteri di giudizio. E lo fa richiamando l’uomo a quella fondamentale
verità su se stesso, sradicandosi dalla quale egli rischia di perdere
anche la libertà, non sapendo più ordinare i propri bisogni
secondo una giusta gerarchia.
3. La seconda preoccupazione, seconda nell’enumerazione non nella importanza,
sulla quale vorrei attirare la vostra attenzione, nasce dalla constatazione
di un fatto che riguarda la società ferrarese, ma non solo. Assistiamo
ad un aumento della produzione, ma non di posti di lavoro. Da questo dato
nasce una domanda che sottopongo anche alla vostra riflessione: un sistema
economico che non ha più al suo centro il lavoro dell’uomo, è
ancora un sistema umanamente giusto? Che posto deve avere il lavoro umano
nel sistema economico?
So che tocco forse il punto centrale oggi dell’etica di ogni
sistema economico. “In passato la mano d’opera esuberante in agricoltura
è stata scaricata nell’industria (in Italia è scomparso l’80%
dei contadini nel giro di un secolo); la manodopera esuberante nell’industria
è stata scaricata nei servizi (in Italia è scomparso il 20%
degli operai manifatturieri nel giro di un triennio); la manodopera esuberante
nei servizi è stata scaricata nell’informazione (che, nei paesi
avanzati, impiega ormai il 40% della popolazione attiva). Oggi la tecnologia
e l’organizzazione permettono ai settori di destinazione ... l’assorbimento
di una aliquota di manodopera assai minore della massa liberata dai settori
di provenienza” (D. De Masi, Sviluppo senza lavoro, ed. Lavoro, Roma 1994,
pag. 14).
Ma non è neppure questo il lato più drammatico
della situazione. Esso è costituito dalla disoccupazione giovanile.
E questo è un fatto irrazionale. Credo che nessuna legge dell’economia
possa spiegare o giustificare l’esclusione delle giovani generazioni dalla
produzione economica. Credo che questa sia una delle “mine vaganti” nella
nostra società fra le più pericolose.
Certamente anche in questo problema entrano molte responsabilità,
in primo luogo il sistema scolastico sempre oscillante fra un’impossibile
rincorsa al sistema produttivo, col rischio di diventare solo “produttore
di produttori” e un’insipiente evasione dai veri bisogni dei giovani, col
rischio di essere da essi solo subito.
Conclusione
Il fondatore della Sanyo nella sua autobiografia racconta una favola
avente , nell’intenzione di Akyo Morito, una forte valenza morale. Mentre
attraversavano una foresta, un americano ed un giapponese sentirono il
ruggito di un leone: bisognava fuggire di corsa. Ma stranamente il giapponese
si siede per cambiare le sue scarpe di cuoio in quelle da tennis. “Stupido”
gli dice l’americano “colle scarpe da tennis credi di correre più
velocemente del leone?”. “No” rispose il giapponese “ma di correre più
veloce di te e così essere divorato dopo”. E’ questo il sistema
economico? Una specie di leone al quale prima o poi non si può fuggire?
Io non lo credo: esso, oggi più che mai, sfida la sapienza degli
imprenditori a non esserne dominati, ma a mettere al suo centro la persona
umana e la sua dignità.
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