LA CONVERSIONE: un uomo affascinato
Paray-Le-Monial, 7 marzo 2010
Il tema più ricorrente nelle settimane di quaresima è il tema della conversione. Nei testi liturgici è talmente costante il richiamo ad essa che possiamo pensare e vivere il cammino quaresimale come cammino di conversione. Vorrei dunque riflettere con voi su questo grande tema.
Per introdurvi in esso vorrei partire dalla descrizione di due esperienze umane, nelle quali sono sicuro che molti di voi sentiranno narrare un pezzo della loro storia.
Prima esperienza: l’arrivo del primo figlio a una coppia sposata. Che cosa succede quando ad una coppia nasce il primo bambino? È sostanzialmente l’ingresso e l’instaurarsi di una nuova presenza dentro la loro vita. E’ arrivata una nuova persona! Di conseguenza la vita dei due sposi non può più essere come prima: ormai devono "fare i conti" con lui. Abitudini che forse duravano da anni dovranno essere cambiate; il lavoro acquista un nuovo senso: lavorano soprattutto per lui, per assicurare il suo futuro. Potremmo dire che la loro giornata viene vissuta e la loro vita interpretata alla luce della presenza del bambino.
Seconda esperienza: un giovane si innamora di una ragazza o viceversa. Che cosa succede nella vita del giovane/della giovane? Ancora una volta: una persona entra con inaspettata potenza nella vita. C’è come un "urto": i latini parlavano di "passio", di passione. E’ un avvenimento che accade e che ti colpisce: ne sei "preso". Ed in modo tale che tutte le energie – intelligenza e libertà – ne sono coinvolte, perché la persona intuisce che le si apre davanti una nuova possibilità di esistenza. E’ una presenza carica di attrattiva che la spinge ad una risposta.
Queste due esperienze così umane possono essere la porta che ci introduce dentro alla comprensione del fatto della conversione.
1. [Natura della conversione]. La Chiesa, come vi ho detto, in queste settimane di quaresima parla spesso di conversione. Non solo, ma pone spesso sulle nostre labbra la preghiera per ottenere la conversione. Ma che cosa significa "convertirsi"? A questa domanda siamo tentati di rispondere subito: cambiare la propria vita, in senso morale. E pensiamo alla vita immorale e sregolata di una persona che decide di … rientrare nell’ordine della legge morale. Pensare la conversione in questi termini non è sbagliato. Anzi, come vedremo, questo modo di pensarla ne coglie un aspetto imprescindibile. Ma non è questo il "nucleo esistenziale" della conversione.
Fra le molte pagine bibliche che potremmo leggere, due mi sembrano particolarmente adeguate: il racconto dell’incontro di Zaccheo con Gesù [Lc 19,1-10], e una pagina autobiografica di Paolo [Fil 3,4-14]. E’ vero che Zaccheo cambia la sua vita dal punto di vista morale: decide non solo di non rubare più, ma restituisce il mal tolto con una misura superiore a quella richiesta dalla legge. Ma se guardiamo alla storia di Paolo, le cose non stanno proprio in questi termini. Egli, prima dell’avvenimento decisivo [quello appunto che definisce la sua conversione cristiana], non teneva – a differenza di Zaccheo – condotte moralmente riprovevoli. Anzi, egli dice di se stesso che era "irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della legge" (Fil. 3,6b). Dunque: si può essere malfattori e ladri, come Zaccheo, e non essere ancora convertiti [e questo è abbastanza facile da capire]; si può essere persone oneste e molto giuste, come Paolo, e non essere ancora convertiti [e questo è abbastanza difficile da capire]. E non è neppure sempre vero che i secondi siano più vicini alla conversione dei primi. Gesù una volta disse a chi era o si riteneva giusto: "i pubblicani e le prostitute vi precederanno nel Regno di Dio". Ed allora che cosa significa "convertirsi"?
Qualcuno a questa domanda potrebbe essere tentato di rispondere: cambiare il proprio modo di pensare, di valutare le cose cioè, e di interpretare la realtà. Ancora una volta, devo dire che sicuramente non esiste vera conversione senza questo cambiamento. Anzi, quando la comunità greca dovette tradurre nella sua lingua la parola usata da Gesù per indicare la conversione, essa – particolarmente sensibile a questo aspetto – usò il termine "meta-noia" che letteralmente significa "cambiamento di mentalità". E’ questo dunque un aspetto della conversione assai importante. Ma non è esso il "nucleo centrale". Abbiamo anche al riguardo un esempio nella storia della Chiesa. La conversione di Agostino, come è noto a tutti, fu lunga ed assai faticosa. Egli dovette superare due enormi difficoltà [assai attuali!]: la difficoltà di una visione materialista; la difficoltà di una visione fatalista. Egli pensava che esistessero solo realtà materiali; egli pensava, da manicheo quale era, che l’uomo non fosse libero. Egli superò questi due formidabili errori, soprattutto attraverso la lettura di libri neo-platonici. Fu la sua conversione? Non proprio. Essa può accadere quando incontra Ambrogio che, scrive egli stesso, lo "accolse come un padre e gradì il mio pellegrinaggio proprio come un vescovo" (Confessioni V, 13,23).
Ed allora che cosa è la "conversione"? riascoltiamo nel cuore la pagina evangelica. Che cosa succede a Zaccheo di così diverso dalla sua vita ordinaria? Incontrò Cristo che chiese di entrare in casa sua. Che cosa è successo a Paolo di così straordinario che cominciò da quel momento a considerare una perdita tutto ciò che fino a quel momento poteva essere per lui un guadagno? Abbiamo due testi che in maniera molto suggestiva ce lo dicono. Il primo dice: "E Dio che disse: rifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo" (2 Cor. 4,6). L’altro testo dice: "Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunciassi in mezzo ai pagani… " (Gal. 1,15-16). Ha avuto un incontro con Cristo nel quale egli, Paolo, ha visto la Presenza: la presenza stessa di Dio, colla gloria del suo amore. Il profeta (Is. 9,1) aveva preannunciato: "Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce: voi che abitate nella regione dell’ombra della morte, una luce splenderà su di voi". Nella vita di Paolo questa parola si è compiuta: una luce si è accesa nella sua esistenza perché ha visto Cristo, perché ha visto in Lui la presenza stessa di Dio.
Per capire meglio che cosa significa qui la parola "incontro", è necessario tener presente che quando esso accade veramente, sono le radici stesse della nostra esistenza ad essere coinvolte. E quali sono le radici della nostra vita? Che cosa cioè nutre il nostro quotidiano esistere: ciò che ci fa lavorare, che ci fa prendere moglie/marito, che ci fa desiderare e pensare? Come ha visto bene Agostino: è il desiderio di beatitudine, di pienezza di essere. Le nostre scelte sono sempre in vista di un bene particolare; ma alla fine ciascuna di esse si inscrive e si radica nel desiderio di un bene che sia tale da dare piena soddisfazione alla nostra fame e sete di beatitudine, al nostro sconfinato desiderio di verità, di bontà, di bellezza. Solo una cultura disumana e superficiale come la nostra poteva tentare di estenuare nell’uomo questo suo desiderio, insegnandogli che è possibile ben navigare anche se si naviga sempre a vista senza avere nessun porto a cui dirigersi; che è possibile ben camminare anche senza sapere dove andare.
L’incontro con Cristo pesca in questa profondità dell’essere: Cristo è "sentito" come la risposta vera e totale al proprio desiderio illimitato di beatitudine: "mio Signore e mio tutto" [pregava S. Francesco]. Zaccheo ha capito che non nel denaro, ottenuto con tutti i mezzi, era la risposta al suo desiderio, ma la risposta era Lui, lo stare a tavola con Lui. Paolo ha capito che la glorificazione di Dio non consisteva in primo luogo nello sforzo morale dell’uomo, ma che tutta la sua felicità ormai era nel conoscere Lui, nell’essere con Lui. Pietro ha capito che non sarebbe più riuscito ad andare da nessun’altra parte, poiché sapeva che solo Lui aveva parole di vita eterna.
L’incontro con Cristo è un fatto che ha tutti i connotati propri dei fatti che accadono in questo mondo: in un tempo preciso ed in un luogo determinato. Mentre Zaccheo è su una pianta; mentre Andrea e Pietro stavano pescando; mentre una donna samaritana va ad attingere acqua al pozzo, e così via. Ma nello stesso tempo è un fatto che è imprevedibile [Zaccheo mai si sarebbe aspettato!], incalcolabile [proprio nel momento in cui Paolo andava ad imprigionare i cristiani!], non programmato [la samaritana faceva ciò tutti i giorni] ma così corrispondente alle attese più profonde della persona da farle esclamare: "tardi ti ho amato, o Bellezza tanto nuova e tanto antica!".
Ed ancora. L’incontro con Cristo è improvviso perché Egli solo ne ha l’iniziativa: il primato della grazia! Ma nello stesso tempo, esso mette in movimento tutta la persona incontrata. L’apostolo Paolo lo esprime in modo stupendo: "mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch’io sono stato conquistato da Gesù Cristo". E’ una persona protesa verso il futuro, un futuro che è la pienezza della comunione con Cristo. Ma questo movimento è la risposta ad un’esperienza che sta all’origine della corsa: è stato afferrato da Cristo.
Ecco: questa è la conversione cristiana. E’ questo incontro con Cristo.
2. [Conseguenze della conversione]. Consentitemi ora di dire alcune parole su ciò che accade in Zaccheo, in Paolo, in ciascuno di noi quando in noi accade la conversione, quando cioè incontriamo Cristo.
Succedono fondamentalmente due cose, rispettivamente nei due dinamismi spirituali fondamentali della nostra persona: l’intelligenza e la libertà.
A livello di intelligenza, è soprattutto la pagina paolina ad illuminarci. Sarebbe necessario fare un lungo discorso sulla conversione della intelligenza a Cristo: soprattutto oggi. Mi limito ad una sola riflessione.
Due sono le domande fondamentali che l’intelligenza umana, posta di fronte al reale, si pone: che cosa è [domanda sulla verità]? quale è il suo valore [domanda sul bene]? L’incontro con Cristo mette in moto la tua intelligenza perché tu vuoi sapere la verità e il valore di ciò che è e di ciò che fai alla luce di Cristo. Ti chiedi: che cosa è l’amore umano? Quale è il valore della sofferenza? E così via. Il "convertito" cerca colla sua ragione la risposta nella luce di Cristo, della Sapienza stessa di Dio. Ecco perché la ragione del credente è spinta ad esercitarsi al massimo, senza precludersi nulla. Nasce una nuova cultura.
A livello di libertà, è soprattutto la pagina evangelica ad illuminarci. Anche su questo sarebbe necessario un lungo discorso, perché penetriamo nella chiave di volta di ogni umana esistenza: l’idea e l’esperienza che ciascuno ha della propria libertà. Mi limito ad una sola riflessione.
Zaccheo ha radicalmente cambiato il suo modo di essere libero: dal possesso al dono. Tutto qui! La sua libertà è stata liberata, perché è stata resa capace di amare. Ha acquistato la libertà del dono. Nasce l’amore e l’amicizia. E Paolo con Giovanni dirà che questo è tutto.
Ma c’è un’altra dimensione dell’avvenimento della conversione: il convertito, colui che ha incontrato Cristo non può tacere. "Perché lo annunciassi in mezzo ai pagani", dice Paolo; la samaritana corre in città a narrare a tutti ciò che le è successo. Non si può tacere!
Conclusione
Ha senso oggi parlare di conversione? Prima di rispondere a questa domanda consentitemi di dirvi quale è, a mio giudizio, il bisogno spirituale più profondo dell’uomo che vive in Occidente, prendendo le mosse un po’ alla larga.
L’itinerario mentis in Deum è sempre partito in Occidente da un presupposto, poggiava i piedi su una terra ferma: l’intelligibilità del reale di cui ho esperienza. E pertanto la convinzione che il desiderio insonne della ragione di scoprire l’intelligibilità del reale, non era da considerare un desiderio vacuo che non poteva trovare risposta definitiva ma solo provvisoria. L’incontro fra l’intelligibilità del reale e la ragione che cerca è la verità. Come scrisse C. Fabro in due aforismi: "la verità è una qualità fondamentale del reale e una qualità fondamentale dell’essere", e "la verità è un atteggiamento radicale esistenziale: di stare in attesa della rivelazione dell’essere" [Libro dell’esistenza e della libertà vagabonda, Piemme, Casale M. 2000, pag. 116].
Ne deriva che la ricerca di Dio e l’esistenza della verità simul stant et simul cadunt.
Secondo studiosi competenti chi ha scalzato questa base è stato Nietzsche, e la piena accettazione, fino ai suoi esiti finali, di quella demolizione è diventato a mio giudizio la temperie spirituale del tempo attuale. In che senso? Almeno in due significati.
È accettato, come in dato di fatto, come una sorta di destino, che l’universo degli enti non nasconda, non rimandi, non significhi una Presenza eccedente la misura dell’ente stesso. Esiste solo la verità propria dei progetti tecnici dell’uomo. Un esempio. L’atto di porre le condizioni della venuta all’esistenza di una nuova persona non ha in se stesso una verità che rimanda ad una Presenza. È un mero fatto che può essere anche tecnicamente riprodotto in laboratorio.
La domanda quindi di senso è giudicata una domanda priva di senso o comunque inutile: si vive, e basta. E così si dica di ogni fondamentale vissuto umano. L’assenza di Dio – oggi molti pensano – è il destino dell’uomo; e, alla fine, si vive ugualmente bene. È questo il volto più tragico [per noi] del nichilismo, non tanto il relativismo morale conseguente.
Abbiamo così individuato il bisogno spirituale più profondo: il bisogno della Presenza. Nella lettera inviata da Benedetto XVI a tutti i vescovi nel marzo scorso, il S. Padre confida che attribuisce come compito supremo al suo pontificato quello di rendere presente Dio nella vita degli uomini.
Ritorno alla domanda iniziale. Ha senso parlare oggi di conversione? Sì, ma nel senso biblico precisamente: incontro con una Presenza che dimora dentro – non fuori! – alla realtà di cui ho quotidiana esperienza: non altro. La Chiesa può, deve ragionevolmente parlare di conversione, perché testimonia Cristo. E Cristo è supremamente interessante per la ricerca umana, perché è la possibilità dell’impossibile: il Verbo si è fatto carne ed abita fra noi.
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