Congresso Internazionale - Roma
15/17 febbraio 1996
“LE RADICI DELLA BIOETICA”
ESSERE UMANO E PERSONA
La coincidenza fra l’essere-uomo e l’essere-persona costituisce
il “momento” teoretico centrale della riflessione antropologica e della
riflessione (bio-) etica. Della riflessione antropologica: ogni affermazione
sull’uomo dipende, nei suoi contenuti, dalla affermazione o negazione di
quella coincidenza. Della riflessione (bio-) etica: il “primum anthropologicum”
è sempre anche il “primum ethicum”.
Rifletterò su questa coincidenza in due momenti. Nel primo
punto cercherò di evidenziare il senso di essa; nel secondo punto
cercherò di dimostrare la inconsistenza teoretica di ogni
negazione di quella coincidenza stessa.
1. IL SENSO DELLA COINCIDENZA
Il senso fondamentale della coincidenza essere-uomo = essere-persona
consiste nell’affermazione che l’uomo è nel grado supremo dell’essere,
costituito dall’essere-persona. Infatti, come dice S. Tommaso, “persona
significat id quod est perfectissimum in tota natura scilicet subsistens
in rationali natura” (1, q.29, a.3) Affermare che essere-uomo ed essere-persona
coincidono è la risposta alla domanda: quale fra tutte le
diverse forme di essere accessibili all’esperienza, possiede il carattere
di essere in senso pieno, primario ed eminente? La riposta è: l’essere-persona,
che ritroviamo nel mondo a noi accessibile, nell’essere-uomo. E dunque,
in questo mondo l’uomo in quanto persona umana è al massimo grado
dell’essere. E’ questo, dunque, il senso della coincidenza di cui stiamo
parlando. Ora dobbiamo dimostrare che “le cose stanno realmente così”.
La dimostrazione non può non avere due tempi. In un primo
tempo dobbiamo mostrare che l’essere-persona possiede il carattere dell’essere
in senso pieno (id quod est perfectissimum). In un secondo tempo dobbiamo
mostrare che l’essere-uomo non può non essere essere-persona.
1,1: essere-persona = essere in senso primario ed eminente. La determinazione
della superiorità di un grado dell’essere nei confronti di un altro
ed, al limite, del grado eminente dell’essere, non è problema
di facile soluzione. Esso dipende dalla individuazione di una serie di
criteri per giudicare, per parlare di un “più-meno”. Se con Platone,
per esempio, riteniamo che quei criteri siano quelli della immutabilità
e intelligibilità, giungeremo a concludere che la cosa singola concreta,
di cui ho immediata esperienza, è ciò che esiste di meno
reale. Conclusione contraria a quella aristotelica. Alla fine, allora,
è solo una questione di una convenzionale predeterminazione di criteri,
stipulata senza necessari riferimenti alla realtà? Nel nominalismo
oggi imperante, questo è ciò che molti pensano con conseguenze
assai rilevanti nel campo della bioetica. Ma in realtà il problema
dei “criteri dei gradi dell’essere” non è così facilmente
risolvibile. Non è questo il luogo per entrare pienamente in tutta
questa questione. Mi limiterò ad una riflessione molto più
semplice.
La nostra dimostrazione che la persona realizza l’essere in senso
primario ed eminente, può essere espressa così. Ciò
che possiede in grado eminente le caratteristiche dell’essere reale, dell’auto-possesso
e dell’autonomia, possiede in grado eminente l’essere; orbene, la persona
(e solo la persona) possiede in grado eminente queste caratteristiche;
quindi la persona (e solo la persona) possiede in grado eminente l’essere.
Prima affermazione: le caratteristiche del grado eminente dell’essere.
Esse hanno alla loro origine un dato originario della nostra esperienza,
che potrei esprimere così: esiste in realtà la parete bianca
più che non il colore bianco della parete. La realtà cui
ineriscono accidenti, cioè la sostanza, possiede l’essere in grado
maggiore che non gli accidenti stessi. Questi infatti non esistono in sé
e per sé, non sussistono, ma esistono solo in quanto sono in qualcos’altro
(il colore è sempre colore di qualcosa) e perché esiste qualcos’altro.
Se riflettiamo più attentamente, noi vediamo un’altra
caratteristica che determina il grado di essere. “Nella misura in cui un
ente è dipendente da un altro, è solo una proprietà
dell’altro, è mantenuto nell’essere da un altro, è sottomesso
ad un altro, esso non possiede pienamente il proprio essere in sé
e pertanto non è in un senso pienamente reale” (Seifert, pag. 320).
Dunque, il grado dell’essere, l’intensità dell’essere dipende dalla
propria autonomia che ha la sua radice nell’autopossesso. Ma questo non
è tutto.
In quanto ho detto finora, è implicato che l’intensità
dell’essere dipende dal grado di “individuazione” del suo essere stesso:
dalla misura in cui ciò che è, è insostituibilmente
ed irripetibilmente se stesso.
Mi sembra, dunque, che le caratteristiche che determinano il
grado di intensità dell’essere sono la sostanzialità-individualità,
l’auto-possesso e l’auto-nomia.
Seconda affermazione: la persona possiede in grado eminente la
sostanzialità-individualità, l’auto-possesso e l’auto-nomia.
Cioè: la persona è in modo eminente una sostanza individuale
autonoma e in possesso di se stessa..
E’ questa l’affermazione centrale della nostra riflessione. Si
tratta cioè di verificare non solo se la persona possiede
quelle caratteristiche in un grado superiore a qualunque altra realtà.
Si tratta anche e soprattutto di verificare se la persona possiede quelle
caratteristiche, proprio in quanto persona, in un grado superiore a qualunque
altra realtà.
Il punto di partenza è la comprensione che solo le realtà
semplici sono in sé e per sé. La realtà composta è
nelle parti che la com-pongono ed esiste finchè le parti sono com-poste.
Come dice il linguaggio stesso: è una realtà com-posta, cioè
posta (in essere) con, a causa e nelle parti. Se le parti si scompongono,
la realtà cessa di essere. Se ora pensiamo ad una realtà
non composta di parti non identiche e realmente separabili, vediamo che
questa realtà è realmente, veramente in sé e per sé:
essa realizza un grado di essere sostanza in grado sommo. Infatti non vi
è in essa quella dipendenza che il tutto ha rispetto alle sue parti.
Come è ben noto, chiamiamo queste realtà semplici, sostanze-spirituali.
Questa “novità” che le sostanze spirituali introducono
nell’universo dell’essere. esige una riflessione ulteriore. Presuppongo
in questo momento un’analisi accurata dell’esperienza di se stessi, (che
soprattutto Agostino ha mirabilmente descritto). La richiamo solo per quanto
è necessario al nostro procedere.
Mentre non ho mai l’esperienza diretta della “sostanzialità”
del muro che mi sta di fronte, ma la deduco come supporto (sub-stare) del
colore bianco del muro medesimo. Ho al contrario l’esperienza diretta,
nella mia coscienza, del mio stesso essere sostanziale. Non devo “dedurre”
dal mio capire, dal mio volere, per via del principio di causalità,
la esistenza del mio io. Esso mi è “dato” nel mio capire, nel mio
volere. Non mi è “dato” solo un volere, un capire e poi un soggetto
che vuole e comprende. Io ho l’esperienza che sono io che comprendo,
che voglio.
Presupposto questo, possiamo capire che l’auto-possesso e l’autonomia
di cui si parlava poc’anzi, si realizzano nella sostanza spirituale in
un grado eminente e precisamente non in quanto sostanza, ma in quanto spirituale.
Che cosa infatti mi viene mostrato in questa coscienza che ho di me stesso?
Che attraverso la conoscenza di sé, la sostanza spirituale ha un
possesso di se stessa che non è presente nelle sostanze materiali.
Ma è soprattutto nell’agire libero che l’auto-possesso e l’autonomo
sussistere in sé della sostanza spirituale si realizza e quindi
si manifesta. In questo agire, il soggetto o sostanza spirituale non è
determinato dall’esterno: “non agitur, agit” continuamente ripete S. Tommaso.
Esso (soggetto spirituale) muove se stesso: si appartiene e non appartiene
ad altri.
Prima di concludere questa riflessione, è necessario evitare
un gravissimo equivoco che sta alla base della visione attualistica e processualistica
che oggi è giunta al suo esito finale: la distruzione dell’io, del
singolo. Affermare che la persona si realizza e si dà a conoscere
nel suo grado eminente di essere, nella scelta libera e nell’auto-coscienza,
non significa che la persona è la sua scelta libera e la sua auto-coscienza.
Come dicevo, non esiste la scelta libera: esiste un soggetto che sceglie
liberamente.
“Hic homo intellegit”, insiste Tommaso contro l’averroismo.
Abbiamo finora evitato accuratamente di parlare di persona. Abbiamo
sempre parlato di sostanza/soggetto spirituale. Per quale ragione? Ci incontriamo
qui con un problema assai difficile nella riflessione antropologica: il
problema del corpo umano e del rapporto fra corpo e persona. Al nostro
fine è sufficiente richiamare alcune brevi considerazioni.
L’esperienza che sopra ho richiamato assai brevemente e schematicamente,
è ovviamente l’esperienza che ciascuno ha di se stesso e in se stesso:
... non è stato un angelo a descriverla. Dunque, l’uomo possiede
in grado eminente l’essere perché ed in quanto è soggetto
spirituale. Oppure, il che equivale: l’essere persona dell’uomo è
dovuto al suo essere soggetto/sostanza spirituale. Dall’altra parte, l’uomo
non ha solo l’esperienza di avere un corpo, ma di essere un corpo. Dunque,
la persona umana in quanto sostanza o soggetto spirituale-corporeo ha al
contempo “diritto di cittadinanza” nell’universo delle persone e di questo
universo è il cittadino ontologicamente meno nobile.
Abbiamo così concluso l’esposizione della seconda affermazione.
Essa in buona sostanza dice: la persona, in quanto sostanza spirituale,
possiede le caratteristiche del grado eminente dell’essere.
Terza affermazione: la persona è in grado eminente. Possiede
l’essere nel suo grado più alto.
Questa terza affermazione non esige ulteriori spiegazioni, essendo
una semplice conclusione di quanto ho detto sopra. Mi limito solo ad un
semplice richiamo. Avendo l’esperienza del mio essere sostanza o soggetto
spirituale ed essendo precisamente “persona” il nome della sostanza o soggetto
spirituale, ho, in una parola, l’esperienza del mio essere persona. Ed
in questa esperienza, comprendo che il mio essere uomo in quanto essere
persona, realizza, si colloca nel grado più alto dell’universo dell’essere
di cui ho esperienza.
Posso così dire di aver concluso il primo punto della
mia riflessione. La coincidenza dell’essere-uomo e dell’essere-persona
mi rivela che la persona umana, nell’universo a noi accessibile possiede
l’essere in grado eminente. Cioè: non esiste niente che sia più
che uomo; non è possibile essere più che persona umana.
2. NEGAZIONE DELLA COINCIDENZA: SUA INCONSISTENZA
La coincidenza dell’essere-uomo con l’essere persona è
oggi profondamente e variamente negata. La negazione avviene in tre modi
fondamentali: la coincidenza non esiste perché semplicemente è
negata la sostanzialità della persona; la coincidenza non esiste
perché è negato che ogni individuo umano sia persona umana;
la coincidenza non esiste perché essere persona-individuo non è
il “massimo” dell’essere.
Mi sembra che la prima negazione sia la radice delle altre due.
2,1; negazione della sostanzialità della persona. Questa
negazione ha nella discussione contemporanea, mi sembra, due ascendenze
teoretiche diverse: un’ascendenza empirista e/o neo-empirista; un’ascendenza
nelle teorie trascendentali della conoscenza.
La prima negazione consiste nel prescindere in linea di principio
dal problema della sostanza giudicandolo non risolvibile o privo di significato,
secondo i canoni del neo-empirismo. L’esito di questa negazione è
la riduzione della persona umana e quindi dell’essere umano ad un fascio
di sensazioni ed emozioni: un’incrocio di forze psichiche.
La seconda negazione assume nella cultura contemporanea due forme.
Nella prima, non viene negato significato al termine di sostanza nella
riflessione antropologica, ma pensano che esso connoti una mera categoria
soggettiva dello spirito: si ha una completa soggettivazione della sostanza.
E’ insomma un mero significato cui non corrisponde nulla di reale. La seconda
forma, di ascendenza trascendentalista, assume piuttosto la figura di un
agnosticismo nel senso che la soggettività ultima dell’uomo sarebbe
“inoggettivabile” ed inconoscibile.
Benché le due negazioni siano teoreticamente contrarie,
esse giungono, almeno in un senso che ora chiarirò subito, allo
stesso risultato. L’essere-uomo non è in ogni caso qualificabile
come essere-persona, in quanto questa coincidenza viene affermata sulla
base dell’idea di persona come “individua substantia”. Questa idea, infatti,
è priva di senso oppure è una mera categoria soggettiva cui
non corrisponde nulla in realtà oppure rischia di oscurare la proprietà
specifica dell’inoggettivibilità del “soggetto umano”.
Prima di procedere, vorrei far notare l’enorme rilevanza che
questa negazione della sostanzialità della persona umana ha nell’attuale
discussione bioetica. E ciò può risultare da due punti di
vista. Innanzi tutto, è scomparso dal dibattito contemporaneo l’univocità
del concetto di persona, col risultato che risulta molto problematico determinare
che cosa si vuol proteggere o difendere, quando si dice che si vuol difendere
e proteggere la persona. Inoltre, e soprattutto, si fa strada sempre più
la convinzione che la definizione stessa di persona sia oggetto di convenzione,
preliminarmente stipulata con il risultato che le persone sono quelle che
decidono che cosa difendere o proteggere, quando si dice che si vuole proteggere
e difendere la persona.
Non è qui il luogo in cui dimostrare analiticamente la
inconsistenza di questa negazione. Dimostrazione che dovrebbe partire dal
sistema gnoseologico in cui quelle negazioni affondano le loro radici.
Mi limito all’argomento centrale.
Ciò che queste negazioni non riescono a spiegare, ciò
a cui non riescono a rendere giustizia, è il fatto che la sostanza
è un dato originario della nostra vita spirituale: “hic homo intelligit”,
è l’unico vero argomento, in fondo, che Tommaso, giustamente, oppone
al “trascendentalismo” (ante litteram) averroista. Hic homo, non “hic intellectus
intelligit”, “haec voluntas vult” e così via. Nell’intelligere,
nel velle è dato ( non è dimostrato) l’io stesso. Lo stesso
argomento, alla fine, vale anche per la posizione scheleriana della inoggettivibilità
del soggetto umano. Il fatto che “essere qualcuno” è essenzialmente
diverso che “essere qualcosa” non dipende dal fatto che il primo non ha
carattere di sostanza. Dipende dal fatto che egli perfeziona il proprio
essere sostanza nell’autopossesso e nell’autodominio proprio dello spirito.
Pertanto, il soggetto umano può conoscere il suo essere soggetto-sostanza,
dal momento che esso precisamente si compie nell’autoconoscenza e nella
riflessione.
2,2; non ogni individuo umano è persona. E’ l’altra
negazione che esista una coincidenza fra essere-uomo ed essere-persona.
Si afferma infatti che possa esistere (e di fatto esiste) un individuo
umano che non sia persona.
Per coerenza logica, chi sostiene questa tesi si vede costretto
ad indicare la qualità che aggiungendosi all’individuo, lo eleva
al grado di persona. Essa viene indicata “come la capacità di avere
un’attività simbolica, come la capacità di manifestare coscienza,
come il fatto di possedere una coscienza morale, come la capacità
di entrare in rapporto comunicativo con altri” (Agazzi, pag. 139) o altro
ancora. Si conviene comunemente nel raggruppare queste varie proprietà
sotto il termine di coscienza. Pertanto essere-uomo non coincide con l’essere-persona,
ma l’essere-uomo con coscienza coincide con l’essere- persona.
Non è difficile vedere che la rilevanza di questa negazione
nella discussione di bioetica, è enorme. Vediamo se essa può
essere sostenuta.
Il nucleo essenziale d questa negazione è: esiste un tempo
in cui l’essere-umano non è persona; esiste un tempo in cui l’individuo
è persona. L’accettazione di questa tesi porterebbe, in linea teorica,
alla negazione pura e semplice del sociale umano come tale. Infatti, delle
due l’una: o hai il diritto di diventare persona o non hai il diritto di
diventare persona. Se l’individuo umano ha il diritto di diventare persona,
dove si fonda questo diritto? o sul fatto che esso è un individuo
umano o sul fatto che gli è stato attribuito. Se sul primo, che
cosa significa “umano”? Se non hai questo diritto, allora basterebbe allevare
individui umani come animali e non come persone, per avere il diritto di
farlo.
Ma vorrei piuttosto procedere su un piano più logico per
dimostrare l’inconsistenza di questa posizione.
Primo argomento. L’essere individuo e l’essere persona non sono
opposti. Infatti fra gli opposti non ci può essere intersezione.
Cioè: lo stesso soggetto non può essere al contempo bianco
e nero. Ora tutti ammettono che ci sono molti individui umani che sono
persone. Si potrebbe rispondere che non esiste solamente questa opposizione
per sé o simmetrica. Esiste la opposizione che vige fra il genere
e la specie: una pianta non è per sé un platano, ma un platano
è per sé una pianta.
E quindi un individuo umano non è per sé persona, ma
la persona umana è per sé un individuo.
Tuttavia questa opposizione fra individuo e persona come fra
genere e specie è insostenibile. Infatti, se così fosse,
la qualità “coscienza”, in quanto differenza specifica, si aggiungerebbe
al genere “individuo”. E cioè: generalmente gli uomini sono individui,
accidentalmente persone.
Secondo argomento. Le qualità che vengono indicate come
capaci di elevare un individuo umano al grado di persona, sono sempre in
gradi diversi: possono crescere e possono diminuire fino a scomparire completamente,
o per qualche tempo o per sempre.
Questo fatto innegabile è un nuovo argomento contro quella tesi.
Stando così le cose, le “qualità personalizzanti” sono qualità
soggette a privazione. Ora parlare di “privazione” ha senso solo se viene
attribuita ad un soggetto, ad un sostrato che precisamente è/non
è privato di quella qualità.
Ora questo sostrato non può essere la persona, dal momento che
essa è precisamente definita da quella qualità. Se questa
scompare completamente, anche la persona sarebbe annichilita nel senso
propriamente metafisico del termine. Dunque, non resta che dire: il sostrato
è precisamente l’individuo umano stesso. In realtà questa
affermazione è ancora meno sostenibile di quella precedente. Se
la “qualità personalizzante” è parte costitutiva dell’essenza
stessa dell’individuo umano, quando questi ne viene in possesso, cessa
di essere individuo e diviene persona e così dovremmo concludere
che le persone umane non sono individui umani. Se invece si afferma che
non costituisce l’essenza dell’individuo umano, si deve dire che essa è
una proprietà che l’individuo è chiamato ad avere come suo
proprium. Ora un proprium è qualcosa che può essere soggetto
a privazione senza dissolvere il sostrato che lo sostiene. Ed è
precisamente la nostra tesi: la qualità spirituale è ciò
al cui possesso per sua stessa natura, l’uomo è finalizzato senza
che l’esserne privato, ne faccia un non-uomo. Quando diciamo che l’auto-coscienza,
la scelta libera sono proprie della persona non intendiamo dire che l’essere
persona è costituito dall’auto-coscienza e/o dalla scelta libera.
Ma semplicemente quanto abbiamo detto nel primo punto della nostra riflessione:
ogni individuo umano è una persona perché è una sostanza
spirituale, cioè capace per sua natura di auto-coscienza e di libera
scelta.
Terzo argomento. Questo argomento mostra la totale inconsistenza
del concetto di “persona potenziale”. Non si deve mai dimenticare che il
passaggio dalla potenza all’atto non muta mai la natura dell’ente che si
attua. Se un individuo umano non è persona, non lo diventerà
mai. Ciò che avviene è che la persona può essere adulta,
matura, piccola e così via. L’unica via sarebbe di ridurre la persona
ad uno stato: e qui raggiungiamo la concezione attualista e processualista
della persona, già vista.
2,3 L’essere individuo non è essere persona, perché
questa si costituisce nella comunione interpersonale. Questa terza negazione
della coincidenza essere-umano = essere persona è oggi particolarmente
nutrita da una “retorica personalista” che dobbiamo criticare severamente
e da un uso teoreticamente non attento dell’analogia colle persone trinitarie.
E’ l’idea anche di Theilard de Chardin di una super-persona: idea priva
di ogni senso, credo.
Trattandosi di retorica più che di pensiero, basta distinguere
attentamente il significato metafisico di individuo ed il significato etico,
che non coincidono.
Come ho detto nel primo punto della mia riflessione, il concetto
di individuo raggiunge il grado eminente di intensità quando è
individuo-persona. Cioè: nessuno è più individuo della
persona, poiché nessuno appartiene a se stesso più della
persona. E questo è il concetto metafisico.
Tuttavia la riflessione metafisica non pone fine al questionare umano.
Ci si può infatti chiedere: in che senso l’appartenere a se stesso
(auto-possesso, autonomia) implica un essere più alto? E’ la domanda
etica: essere in senso pieno non connota solo la mera fattualità,
ma chiede di possedere nel suo valore e nella sua preziosità, la
ragione che lo rende degno di essere. Si può essere individui in
tanti modi. E’ questo il concetto etico. E non mette in discussione la
prospettiva metafisica. Al contrario. Non si può costruire nessuna
comunione se non nel dono di sé; non si può donare se stesso,
se non si possiede se stessi; non si possiede se stessi se non si è
persona. Come si vede, si da un passaggio intrinseco da un significato
all’altro.
Ho concluso il secondo punto. Le negazioni della coincidenza
dell’essere-uomo ed essere-persona, sostenute nel dibattito bioetico contemporaneo,
sono teoricamente insostenibili. Ogni essere umano è persona; cioè:
ogni essere umano è posto nel grado supremo dell’essere.
CONCLUSIONE
La coincidenza dell’essere-uomo con l’essere-persona è
l’unico fondamento possibile di un modello di razionalità che elabori
risposte adeguate all’uomo, nei dibattiti bioetici.
S. Tommaso, precisamente alla luce della dignità dell’essere
personale, giunge a dire perfino che la persona viene voluta per se stessa.
In sostanza, si può riesprimere il concetto di S. Tommaso, dicendo
che della persona è giusto dire sempre che è bene che essa
sia.
Ma la mia relazione aveva un senso preciso. Quando si parla di
persona, si parla del concreto individuo umano che tu vedi, che tu tocchi,
che tu ascolti, poiché ogni individuo umano è persona.
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