PRESENTAZIONE DEI QUADRI
Cattedrale 21 giugno 1997
Dobbiamo essere grati alla Soprintendenza ai Beni artistici e storici
di Bologna per aver riportati alla loro originaria bellezza i tre quadri.
Grati dobbiamo esserlo noi credenti, poiché il luogo più
santo di tutti, la Cattedrale, viene ad essere ancora più impreziosita.
E grati devono esserlo anche i non credenti, perché vengono messe
a disposizione opere di così elevato valore artistico.
Il fatto che stiamo vivendo questa sera è un’occasione
straordinaria per riflettere assieme sullo strettissimo rapporto che vige
fra la fede cristiana, la celebrazione dei divini misteri, il luogo santo
in cui essa avviene e la raffigurazione artistica. La terribile “controversia
della immagine”, che ha dilacerato l’impero bizantino sotto gli imperatori
isaurici Leone III e Costantino V fra il 730 ed il 780 e di nuovo sotto
Leone V dall’843, si spiega principalmente con la consapevolezza che la
Chiesa aveva di quel legame inscindibile fra fede ed immagine sacra: il
concilio ecumenico Niceno II (787) ha veramente salvato l’arte. La difesa
dell’arte coincise in quel momento con la difesa della fede. Ma che cosa
sta veramente dentro a questa coincidenza fra “causa dell’arte” e “causa
della fede”?
Non è esclusa certamente una forte preoccupazione didattica,
sulla quale soprattutto insistette il papa S. Gregorio Magno, che scrivendo
a Sereno vescovo di Marsiglia, raccomandava le immagini sacre perché
gli analfabeti “guardandole possano almeno leggere sui muri, quello che
non sono capaci di leggere sui libri” (cfr. ............)
Ma non è questo il punto nodale della coincidenza fra
“causa dell’arte” e “causa della fede”. La nostra fede infatti è
nel suo nucleo centrale fede nel fatto che il Verbo invisibile di Dio si
è fatto carne, si è reso visibile. Dice un’antica preghiera
natalizia: “Nel mistero del Verbo incarnato è apparsa agli occhi
della nostra mente la luce nuova del tuo fulgore, perché conoscendo
Dio visibilmente per mezzo suo siamo rapiti all’amore delle realtà
invisibili”. E’ un testo mirabile! Esso pone la carne (il corpo) del Verbo
esattamente sul confine in cui il mondo invisibile tocca il mondo visibile:
essa è questo punto di tangenza, unico ed insuperabile. In quella
carne, in quel corpo il Verbo invisibile si dona a vedere e attraverso
quella carne l’uomo “è rapito all’amore delle cose invisibili”.
Si noti bene: non è un ingresso qualsiasi. E’ un rapimento, atto
dell’amore; non è solo un processo intellettivo. E’ un momento in
cui convergono tutte le facoltà dell’uomo.
I difensori dell’arte cristiana contro gli iconoclasti hanno
percepito subito che questa era la vera “materia del contendere”: era “l’economia
divina secondo la carne” come si espresse la più illustre vittima
della furia iconoclasta, il patriarca di Costantinopoli S. Germano. L’arte
può condurre colui che contempla, all’ineffabile mistero del Dio
fatto uomo per la nostra salvezza. Il papa Adriano scriverà: «Per
il tramite di un volto visibile, il nostro spirito sarà trasportato
per attrazione spirituale verso la maestà invisibile della divinità
attraverso la contemplazione dell’immagine, in cui è rappresentata
la carne che il Figlio di Dio si è degnato di prendere per la nostra
salvezza; così adoriamo e insieme lodiamo, glorificandolo in spirito,
questo medesimo Redentore, poiché, come è scritto, “Dio è
spirito”, ed è per questo che adoriamo spiritualmente la sua divinità».
E dunque il Concilio Niceno II ha stabilito: «sono da esporre
immagini venerabili e sante, a colori, in mosaico e in altra materia adatta,
nelle sante chiese di Dio, sui vasi e paramenti sacri, sui muri e sulle
tavole, nelle case e nelle vie; e cioè sia l’icona del nostro Signore
e Salvatore Gesù Cristo, sia quella della nostra Signora immacolata,
la santa Theotokos, sia quella dei venerabili angeli e di tutti gli uomini
santi e pii».
Certamente questa coincidenza fra la “causa dell’arte” e la “causa
della fede” orienta profondamente il significato dell’arte, secondo il
cristianesimo. L’arte per l’arte, l’arte cioè che non rimanda se
non al suo autore e non stabilisce alcun rapporto colle “realtà
invisibili”, non trova posto nella concezione cristiana dell’arte. Gli
stili possono essere diversi, ma ogni opera d’arte è chiamata ad
esprimere la fede e la speranza della Chiesa: l’artista cristiano ha la
coscienza di compiere una missione ecclesiale. Scriveva Michelangelo: «Non
v’ha nulla di più nobile e di più devoto della buona pittura
[...]. Non basta ad un pittore, per imitare in parte la venerabile immagine
del Signor Nostro, essere un grande maestro, ma deve tener buona vita e,
se possibile, essere santo, acciocché il suo intelletto sia ispirato
dallo Spirito santo».
La vera arte cristiana consente di intuire, mediante la percezione
sensibile, che il Signore è presente nella sua Chiesa e che la gloria
promessaci già trasforma la nostra esistenza.
La vera arte ci aiuti a guarire dagli effetti spersonalizzanti
e spesso degradanti delle molteplici immagini che stanno devastando il
nostro spirito: essa porta su di noi lo sguardo di un Altro invisibile,
e ci rapisce all’amore del mondo spirituale, facendoci pienamente vivere
nella nostra carne.
La nostra Cattedrale sarà da questa sera più bella.
Potremo perciò dire con più verità celebrando i misteri
divini: “è cosa degna e giusta lodarti e ringraziarti”. Lo possiamo
fare in modo più degno, cioè più adeguato allo splendore
dell’amore di Cristo che dona se stesso per la salvezza del mondo.
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