XXVI DOMENICA PER ANNUM (C)
Argelato, 26 settembre 2010
Il Signore, cari fratelli e sorelle, ci illumini perché possiamo avere una profonda intelligenza della parola evangelica. Essa infatti non è così facile da cogliere nel suo significato più profondo.
1. Si parla di due uomini, come avete sentito, che vivono in due condizioni sociali opposte. Nulla di nuovo, verrebbe da dire. Siamo anche noi oggi testimoni di una scandalosa disuguaglianza fra popoli, ed anche all’interno della stessa società fra le persone. Ma il racconto evangelico continua.
Al momento della morte dei due la loro condizione si capovolge: "il povero … fu portato dagli angeli nel seno di Abramo"; "morì anche il ricco … stando nell’inferno tra i tormenti". Attraverso questo capovolgimento il Signore Gesù, miei cari, intende darci un insegnamento di estrema importanza, e che siamo quotidianamente tentati di dimenticare.
Esiste un’esigenza di giustizia, in forza della quale a chi agisce bene è dovuta una vita beata e a chi agisce male una vita infelice. Ora questa esigenza è quotidianamente contraddetta e nella storia umana e nelle nostre più umili quotidiane vicende. Detta in maniera "brutale": la sorte definitiva di Madre Teresa non può essere uguale alla sorte definitiva di Hitler. Non c’è nessuno fra voi – ne sono sicuro – che non senta nel proprio cuore questa esigenza: la felicità deve coincidere colla giustizia. Ebbene, miei cari, la pagina evangelica vuole prima di tutto donarci questa certezza: molte sono le "cose storte", in questa vita, ma saranno messe in ordine. Possiamo anche leggere in questo senso la prima lettura: "gli spensierati di Sion" saranno coloro che "andranno in esilio in testa ai deportati".
Ma chi opera questo capovolgimento, chi "rimette le cose a posto", ed in maniera definitiva? È il secondo grande insegnamento di questa pagina evangelica.
È Dio stesso che interviene nella vita di ciascuno, quando sarà il "suo giorno" – il giorno del Signore – nella storia umana "per dare a ciascuno il suo". Questo intervento di Dio ha un nome: è il giudizio di Dio. Per ciascuno di noi accadrà al momento della nostra morte; alla fine dei tempi, per tutta la storia umana. Ci sarà dunque, un giudizio particolare di Dio ed un giudizio universale. Nel Santo Vangelo Gesù ne parla più volte. E la pagina evangelica per dirci che il giudizio di Dio sarà definitivo, afferma che fra chi è stato giudicato bene e chi è stato giudicato male "è stabilito un grande abisso": è una separazione abissale ed insuperabile. La creazione di Dio sarà come spezzata in due.
Cari fratelli e sorelle, la verità del giudizio di Dio deve accompagnarci, e generare in noi due attitudini fondamentali.
La prima. La nostra vita – come viviamo e ciò che facciamo – è davanti a Dio una cosa seria. È Dio che prende sul serio la nostra vicenda terrena.
La seconda. Il pensiero del giudizio è fonte di speranza. Esso ci dona la certezza di fede che "il Signore rende giustizia agli oppressi … ama i giusti … ma sconvolge le vie degli empi".
2. La parola dell’Apostolo nella seconda lettura ci illumina serenamente. Se questi sono i nostri novissimi [ciò che ci accadrà alla fine], allora dice l’Apostolo a ciascuno di noi: "tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza". In questo modo "vivendo con giustizia e pietà in questo mondo", "raggiungeremo la vita eterna alla quale siamo stati chiamati e per la quale abbiamo fatto – e fra poco ripeteremo – la nostra bella professione di fede".
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