Solennità di Cristo Re
San Giovanni Battista dei Fiorentini, Roma, 21 novembre 2010
1. Cari fratelli e sorelle, la descrizione della crocifissione e della morte di Gesù viene proposta alla nostra lettura e meditazione nel giorno in cui la Chiesa celebra la regalità di Cristo. E’ singolare questo accostamento e degno di molta considerazione, perché crocifissione di Gesù e sua regalità s’illuminano a vicenda.
Notate subito un particolare. I capi del popolo, i soldati, ed uno dei ladri crocifissi con Gesù, lo provocano a dimostrare la sua regalità salvando se stesso: "se sei il re dei giudei, salva te stesso". Un re impiccato od incapace di difendersi e di salvarsi, è una smentita di tutte le sue dichiarazioni sulla sua regalità. Come a dire: chi ha il potere, lo dimostri agendo a favore di se stesso, per il proprio interesse. E’ questo il modo usuale di esercitare il potere.
Con questo particolare, l’evangelista ci introduce nel vero senso della regalità di Cristo. Essa non ha altro scopo che la nostra salvezza. Sulla croce Cristo non salva se stesso, ma i peccatori che si convertono e confidano in Lui. In questo modo Egli dichiara la sua regalità proprio nel momento della sua suprema umiliazione, poiché è mediante la croce che diventa il redentore di ogni uomo. Come dice un famoso inno liturgico: vexilla Regis prodeunt, fulgit Crucis mysterium … regnavit a ligno Deus [s’avanzano i vessilli del Re e risplende il mistero della Croce: Dio regna dal legno].
Cari amici, quale grande cambiamento di mentalità genera in noi la contemplazione del mistero della regalità di Cristo! "Non è il potere che redime, ma l’amore. Questo è il segno di Dio: Egli stesso è amore … Tutte le ideologie del potere si giustificano così, giustificano la distruzione di ciò che si opporrebbe al progresso e alla liberazione dell’umanità" La contemplazione della regalità di Cristo c’insegna "che il mondo viene salvato dal Crocifisso, non dai crocifissori" [Cf. Benedetto XVI, Insegnamenti I 2005, 23-24]. E’ questo lo stile della regalità di Cristo: la potenza dell’amore.
La pagina evangelica ce ne dà subito una dimostrazione esemplare: il pentimento e la salvezza di uno dei due ladri.
Il ladro riconosce e proclama la regalità di Gesù, pur vedendolo nelle stesse condizioni infamanti in cui si trova egli stesso. In conseguenza di questo riconoscimento, il ladro pentito può sentire l’annuncio della bella notizia fattogli da Gesù stesso. "Oggi", fin da ora, dentro alla vicenda più tragica – la morte sulla croce – accade la salvezza, si esercita il potere regale di Cristo. "Sarai con me in paradiso": vivrai per sempre con me nel regno dei giusti. Veramente Gesù ha "liberato quel ladro dal potere delle tenebre e lo ha trasferito nel suo regno".
Cari fratelli e sorelle, come avete sentito nella prima lettura, le tribù d’Israele eleggono loro re Davide, poiché gli dicono, "noi ci consideriamo come tue ossa e tua carne". E’ la solidarietà più profonda che attribuisce a Davide il regno.
Gesù è venuto a cercare ciò che era perduto, a chiamare i peccatori a conversione [Lc 5,32]. Ha condiviso la mensa con loro. Sulla Croce vive l’esperienza della più profonda condivisione della nostra condizione: è per questo che diventa il nostro re, colui cioè che ci libera dal peccato e dalla morte.
2. Cari amici, concludo con due considerazioni. La prima la deduco ancora dalla prima lettura.
Le parole che le tribù di Israele dicono a Davide nascondono un grande mistero. Ciascuno di noi diventa "consanguineo e concorporeo" con Cristo mediante l’Eucaristia. E’ mediante essa, memoria del sacrificio di Cristo sulla croce, che Cristo ci assoggetta al potere del suo amore.
La seconda considerazione conclusiva. Nella Croce di Gesù contempliamo la sua gloria regale. Anche nella Chiesa: essa è feconda nel sangue dei suoi martiri che anche oggi rendono testimonianza a Cristo colla loro morte. La potenza della Chiesa non risiede principalmente nelle grandiose costruzioni del pensiero teologico, o nella consumata sapienza dei suoi diplomatici, o nella saggia organizzazione delle sue istituzioni. Risiede nel sangue versato anche oggi dai suoi martiri, da tutti dimenticati, ma il cui olocausto sale come profumo gradito al Signore.
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