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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Anniversario della Dedicazione della cattedrale
Cattedrale, 21 ottobre 2010


1. L’annuale celebrazione anniversaria della dedicazione della nostra Chiesa Cattedrale, madre e capo di tutte le nostre chiese, è momento di grazia. Essa infatti ci introduce in una più profonda comprensione del mistero della Chiesa, e quindi del nostro servizio sacerdotale. È l’apostolo Paolo che ci istruisce al riguardo.

Egli vede il ministero apostolico come opera di edificazione della Chiesa-Tempio di Dio: edificazione che si compie nel tempo ma raggiunge il suo fine nell’eternità. L’apostolo edifica ora un edificio che solo nel cielo raggiungerà la sua definitiva consistenza.

Trasformando in preghiera questa visione dell’apostolo, la liturgia latina canta: "Scalpri salubris ictibus/ et tunsione plurima/, fabri polita malleo/ hanc saxa molem construunt/ aptisque juncta nexibus/ locantur in fastigio" [In I Vesperis, Hymnus, Commune Dedicationis Ecclesiae]. Ed Agostino ha espresso stupendamente la medesima idea, scrivendo: "si domus Dei nos ipsi, nos in hoc saeculo aedificamur, ut in fine saeculi dedicemur" [Sermo 336,1; PL 38, 1471-1472]. L’edificio che è la Chiesa è costruito ora; sarà dedicato alla fine dei tempi, per l’eternità. Ed in uno degli scritti cristiani più antichi la Chiesa è contemplata come la costruzione di una torre fatta con "pietre quadrate luminose … così ben connesse che non lasciavano apparire la congiunzione. Sembrava che l’edificio della torre fosse come costruito con una sola pietra" [Pastore di Erma, X, 4.6; Padri Apostolici, CN ed., Roma 1989, 252].

Cari fratelli, come pastori noi viviamo nella Chiesa, della Chiesa, per la Chiesa. La Chiesa è l’ambiente in cui è immersa tutta la nostra vita; è in essa che nasce e si sviluppa il nostro modo di essere e di pensare. È per questo che la definizione che l’apostolo fa del ministero apostolico come costruzione dell’edificio-Chiesa, deve continuamente occupare la coscienza che ciascuno ha di se stesso.

Siamo gli operai della casa del Signore in costruzione. La consapevolezza che stiamo costruendo un edificio che dura in eterno, che stiamo lavorando per l’eternità, ci riempie di consolazione e di vero gaudio nel Signore. Non è importante il luogo in cui siamo collocati ad edificare, dal momento che è lo stesso edificio che viene preparato per la definitiva dedicazione "in fine saeculi".

Nessuno forse ha espresso con tanta profondità il senso del nostro lavoro costruttivo in rapporto col modo di costruire progettato nella modernità come T.S. Eliot:

"Noi costruiamo invano se il Signore non costruisce con noi.
Riuscite a reggere la City che il Signore non regge con voi?
Mille vigili che dirigono il traffico
Non sanno dirvi perché arrivate né dove andate.
Una colonna di cavie o un’orda di marmotte attive
Costruiscono meglio di coloro che costruiscono senza il Signore.
Ci leveremo in piedi fra rovine perenni?
Ho amato la bellezza della Tua Casa, la pace del Tuo tabernacolo,
Ho spazzato i pavimenti e adornato gli altari.
Dove non vi è tempio non vi sarà casa".

[La Roccia, BvS ed., Milano S.d., 77]

La parola dell’Apostolo ci fa consapevoli che stiamo lavorando alla edificazione di uno stesso edificio. Nessuno di noi è solo in quest’opera. "È così forte la connessione della carità" scrive Agostino "che, per quanto numerose siano le pietre viventi congiunte nella costruzione del tempio di Dio, diventano una sola pietra" [En. In PS 39,1; CC 38,424]. Diversi sono i compiti che ci sono affidati; non vicini i luoghi in cui viviamo: ovunque siano poste le pietre, la costruzione è una sola nella carità.

2. L’apostolo aggiunge un avvertimento grave: "ma ciascuno stia attento a come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo".

Cari fratelli, lasciamo che queste gravi parole dell’apostolo illuminino la nostra mente e scendano nel cuore. Esse indicano l’asse architettonico della nostra vita sacerdotale.

L’edificio che costruiamo per l’eternità ha per fondamento Cristo: "nessuno può porre un fondamento diverso", ci ammonisce l’Apostolo. Che cosa significa questa divina parola per la nostra coscienza sacerdotale? Penso che nessuno abbia risposto meglio, nel contesto della modernità che quel fondamento ha voluto sostituite, di Vladimir Soloviev nel famoso Breve racconto dell’Anticristo.

"Con accento di tristezza, l’imperatore si rivolse a loro dicendo: che cosa posso fare ancora per voi? Strani uomini! Che volete da me? Io non lo so. Ditemelo dunque voi stessi, o cristiani, abbandonati dalla maggioranza dei vostri fratelli e capi, condannati dal sentimento popolare, che cosa avete di più caro nel cristianesimo? Allora simile a un cero candido si alzò in piedi lo starets Giovanni e rispose con dolcezza: … quello che noi abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso".

Cari fratelli, molti e subdoli sono oggi i tentativi di convincere anche noi sacerdoti ad avere qualcosa di più caro che Cristo. Uno di questi sono i ritornanti sofismi per l’abolizione del celibato e una disistima spesso più vissuta che consapevole del martirio. E non a caso: la verginità consacrata ed il martirio sono la testimonianza visibile, carnale, che nulla ci è più caro che Cristo. Nella integrità della nostra carne si mostra un affetto indiviso. È questo che ci impedirà, nell’edificazione del tempio di Dio, di "porre un fondamento diverso da quello che già si trova, che è Gesù Cristo".