SOLENNITÀ CORPUS DOMINI
Monastero Ancelle Adoratrici, 6 giugno 2010
1. "Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese il pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: questo è il mio corpo". Care sorelle, queste parole sono la conclusione di tutta la storia di Dio con l’uomo: il suo vertice. Esse realizzano ciò che dicono: il pane che Gesù prende e spezza diventa veramente, realmente il suo Corpo offerto in sacrificio. Sono parole queste dal significato immenso ed inesauribile. Vorrei però limitarmi ad un aspetto del mistero eucaristico: esso è la presenza reale del Signore in mezzo a noi. Benché molteplici siano le modalità con cui Egli si rende presente nella sua Chiesa, la sua Presenza si realizza "tum maxime sub specibus eucaristicis" [Conc. Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium 7,1; EV 1/9]. Vengono alla memoria le parole di S. Francesco: "dello stesso altissimo Figlio di Dio nient’altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue suo".
La prima riflessione ci è facilmente suggerita dall’Apostolo. Cristo si rende presente mediante la celebrazione eucaristica nella quale "noi annunciamo la morte del Signore finché egli venga". L’Eucaristia che adoriamo esposta o nel tabernacolo non è un’Eucaristia diversa da quella consacrata nella celebrazione della S. Messa. Il Corpo che adoriamo sotto le specie eucaristiche è il "Corpo che è per noi". Cristo ha voluto quindi essere presente nella sua Chiesa come Colui che ha donato Se stesso per noi.
"Fate questo in memoria di me". L’Eucaristia, più precisamente la celebrazione eucaristica, è la memoria del fatto che Gesù "avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine". E la fede della Chiesa ci dona la certezza che "fare memoria" non significa solo compiere gesti che hanno la forza di evocare il ricordo di un fatto passato. È la memoria, quella liturgica, che fa presente l’evento che ricorda: l’evento del dono che Cristo fa di Se stesso. E così, conservando e adorando le sacre Specie, i fedeli possono contemplare nella fede ciò di cui esse sono il simbolo reale. L’atto – il dono di Sé compiuto da Cristo – resta come fermato, fissato dentro allo scorrere delle nostre tribolate giornate: stat Crux dum volvitur mundus.
Un grande scrittore francese del secolo scorso ha scritto stupendamente: "Lui è qui. Lui è qui come il primo giorno. Lui è qui in mezzo a noi come il giorno della sua morte. Eternamente Lui è qui fra noi come il primo giorno. Eternamente ogni giorno … tutte le parrocchie risplendono eternamente, perché in tutte le parrocchie c’è il Corpo di Cristo" [Ch. Peguy, Lui è qui. Pagine scelte, BUR, Milano 1997, pag. 176].
Care sorelle, voi comprendete bene allora il vostro carisma di adorazione; la vostra vocazione a consumarvi nell’atto di adorazione del Cristo eucaristico.
L’adorazione è l’atto con cui la creatura razionale dice al suo Creatore: "Tu sei Colui che sei; io sono colui che non sono". L’adorazione ci fa entrare pienamente in Dio. "L’adorazione è l’estasi dell’amore annientato dalla bellezza, dalla forza, dalla grandezza immensa dell’oggetto amato" [B. Elisabetta della Trinità].
Non pensate a chissà quali oscuri cammini di evasione dalla vostra condizione carnale. L’adorazione cristiana è sempre, non può non essere che adorazione eucaristica. È un lasciarsi trasportare dalla forza, dal dinamismo di amore che ha condotto Cristo fino al dono di Sé. Adorare significa semplicemente lasciarsi plasmare dal dono che Cristo ha fatto di Sé, eucaristicamente sempre presente. È per questo che l’adorazione eucaristica è l’atto di cui la Chiesa ha più bisogno.
2. Care sorelle, l’Eucaristia è per eminenza il Mistero della fede.
S. Tommaso si chiede se la conoscenza che ci è donata dalla fede possa dare all’uomo la perfetta beatitudine. Egli risponde negativamente. E dà la seguente ragione: "la conoscenza della fede non soddisfa pienamente il nostro desiderio, ma anzi lo accende maggiormente, dal momento che ciascuno desidera vedere ciò che crede. La perfetta felicità dell’uomo non può dunque consistere nella fede" [Contra Gentes III, cap. 40, 2178].
Quanto più un’anima diventa adoratrice del mistero della fede, tanto più "desidera vedere ciò che crede". L’anima adoratrice diventa un segno che ci mostra il nostro destino finale: la vita eterna.
È questa la preghiera con cui concludiamo questa celebrazione: "donaci, Signore, di godere pienamente della tua vita divina nel convito eterno, che ci hai fatti pregustare in questo sacramento". Amen.
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