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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Solennità di San Petronio
Basilica di San Petronio, 4 ottobre 2010


1. La solennità di S. Petronio, nostro santo patrono, è momento in cui tutta la nostra comunità cittadina ritrova la sua più profonda unità: in questo tempio, onore di ogni bolognese e delizia dei nostri occhi.

Quest’anno, ciascuno di noi porta nel cuore una sola, vera domanda: questa città ha ancora il diritto di sperare o deve rassegnarsi ad un tramonto amaro ed infelice?

Davanti al Signore del tempo e della storia, l’umile centoundicesimo successore di S. Petronio vi dice che questa comunità ha il diritto di sperare; ha consistenti ragioni per non rassegnarsi al suo tramonto.

I suoi padri fondatori l’hanno costituita e radicata nella visione di una città, donata all’uomo da Dio stesso, di cui le nostre antiche dodici porte sono il richiamo costante [cfr. Ap 21,12]: una città nella quale nessuno è straniero per l’altro, poiché ciascuno è riconosciuto partecipe della stessa umana dignità.

Hanno voluto che sul suo stendardo fosse scolpita la parola LIBERTAS – libertà, non per esaltare un individualismo egoistico che devasta ogni convivenza umana, ma perché la coscienza pubblica di questa città e la coscienza morale di ogni suo cittadino fosse sempre abitata da una responsabilità pacificamente costruttiva del bene comune.

Ma il destino della nostra città, il destino buono, è costituito anche e non dammeno dal fatto, carico di senso, che in essa è stata inventata l’Università. "È una sede della sapienza, una luce del mondo, un ministero della fede, un’Alma Mater della generazione nascente" [J. H. Newman, Scritti sull’Università, Bompiani, Milano 2008, 1005], che veniva così costituita, segnando per sempre il volto della nostra città. Bologna è la sua Università.

Cari fratelli e sorelle, cari amici: voi potete tagliare un albero al suolo, ma se restano le radici, se le radici sono sane e rigogliose, l’albero ricrescerà più forte di prima. È questa la condizione della nostra città.

? Ma c’è un’altra ragione che fonda il diritto di sperare; che ci impedisce di rassegnarci. È la presenza in questa città della comunità cristiana; è il fatto che in essa continui la predicazione del Vangelo e la celebrazione dell’Eucaristia; è il mirabile esercizio della carità cristiana che, non parlando ma facendo, incontra ogni giorno centinaia di poveri, bisognosi di tutto.

I nostri padri fondatori erano ben consapevoli che la comunità cristiana fosse colonna portante della comunità civica, dal momento che vollero come patrono e simbolo della città uno dei suoi Vescovi.

Perché la presenza della comunità cristiana è la principale fonte di speranza? Riascoltiamo la parola dell’Apostolo. "Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri".

La comunità cristiana inserisce nella comunità cittadina una forza coesiva che può vincere ogni disgregazione. E non perché i cristiani siano sempre e comunque migliori, ma perché mediante la Chiesa rifluisce dentro alla società la grazia unificante che sgorga da Cristo: "pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo". In che cosa consiste questa grazia unificante?

La risposta è molto semplice, ma assai profonda: consiste nella creazione di una coscienza di fraternità, l’unica coscienza che può generare una relazione sociale vera e giusta. "Voi non fatevi chiamare "rabbi", perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno "padre" sulla terra perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo".

Non basta, soprattutto in momenti così difficili come questo, essere e pensarsi come con-cittadini; è necessario essere e pensarsi in una relazione di fraternità. La con-cittadinanza ha infatti una tendenza ad immunizzarsi dalla diversità creando un universalismo astratto; la fratellanza è al contrario la relazione fra i diversi, che crea un’universalità concreta e determina il vero significato della laicità.

Cari fratelli e sorelle, cari amici, non esiste, non è possibile una società umana senza alcuna matrice religiosa. L’averlo pensato è stato uno degli errori più devastanti del nostro Occidente.

Il momento è troppo solenne perché al riguardo ci soffermiamo ora a prendere in considerazione le obiezioni di un obsoleto laicismo, in via di estinzione per altro anche nella nostra città.

2. Il progresso, la vitalità di una comunità cittadina non è tuttavia un fatto causato da eventi impersonali o da occasionali coincidenze fortunate. La speranza che, per le ragioni suddette, abbiamo il diritto di custodire, è affidata alla nostra libertà e responsabilità.

Chi sono oggi i custodi della speranza, coloro che vigilano perché il cuore di questa città non si incupisca nella rassegnazione?

L’autorità pubblica, legittimamente costituita, poiché ad essa è primariamente affidato il compito di guidare il consorzio umano verso obiettivi di bene comune.

In particolare vorrei allora rivolgermi a tutti coloro che chiederanno al popolo di questa città di essere eletti ad amministrarla, con le parole di S. Caterina. "Voi avete desiderio di riformare la vostra città; ma io vi dico che questo desiderio non si adempirà mai, se voi non ingegnate a gittare a terra l’odio e il rancore del cuore e l’amore proprio di voi medesimi, cioè, che voi non attendiate solamente a voi, ma al bene universale di tutta la città". Ed aggiungo con le parole della Santa, rivolgendomi a voi tutti: "io vi prego per l’amore di Cristo crocifisso, che per l’utilità vostra voi non miriate a mettere governatori nella città più uno che un altro, ma uomini virtuosi, savi e discreti, e’ quali col lume della ragione diano quello ordine che è di necessità per la pace dentro e per la confermazione di quella di fuori" [Lettera a’ signori priori dell’arti e al gonfalonieri di giustizia della città di Firenze, in Le Lettere, ed. Paoline, Milano 1987, 409].

La famiglia poi è massimamente custode della speranza, poiché è in essa che accade l’atto che più di ogni altro significa speranza: la generazione di una nuova vita. Ogni bambino è il futuro della città; è un investimento sul futuro.

Ancora una volta, in nome di Dio dico a chi ha responsabilità pubbliche: sostenete le famiglie; difendetene la dignità incomparabile; la famiglia abbia sempre un trattamento privilegiato a livello legislativo ed amministrativo.

L’altro grande fattore di speranza nella città è il lavoro. Molte volte durante questi mesi ho richiamato l’attenzione su questo. Ma questa sera sottopongo soprattutto alla vostra riflessione un fatto drammatico.

Anche nella nostra città ai giovani è ormai sempre più difficile l’ingresso nel mondo del lavoro. Il binomio gioventù disoccupazione toglie alla città ogni diritto di sperare. Chi non vede questo è cieco.

La città custodisce e nutre il suo diritto di sperare nella scuola, se in essa viene fatta una vera, grande proposta educativa; se in essa i nostri ragazzi e giovani vengono profondamente educati ad un uso intero di tutta la capacità della loro ragione; se in essa vengono affascinati dalla grandezza di una libertà che è tale perché sa di essere confrontata nelle sue scelte colla differenza fra vero e falso, bene e male, giusto e ingiusto. In breve: la scuola è vera custode della speranza se vi si insegna "come l’uom s’etterna". [Inf. 15,85].

Cari fratelli e sorelle, cari amici: poc’anzi ho detto che la principale fonte di speranza è la comunità cristiana.

I sacerdoti che vivono giorno e notte in mezzo a questo popolo, condividendone gioie e dolori, sono le sentinelle che vigilano perché il suo cuore non ceda alla rassegnazione. A loro dunque dico: vi è affidata la speranza di questa città, perché vi è affidato il Vangelo che genera la certezza che l’uomo, ogni uomo, è amato dal Padre. A voi è affidato il compito più urgente per il bene di questa città: ricostruire quella "matrice cristiana" che l’ha sempre rigenerata.

Ricostruzione che esige tuttavia "una generazione di cattolici impegnati in politica, che siano coerenti con la fede professata, che abbiano rigore morale, capacità di giudizio culturale, competenza professionale e passione di servizio per il bene comune" [Benedetto XVI, Insegnamenti IV, 2 (2008), 673].

Cari fratelli e sorelle, cari amici: il segno di riconoscimento per chi, bolognese o non, arriva in città è un segno mariano, è il Santuario della B.V. di San Luca.

Rivolgendosi alla Madre di Dio, il poeta la chiama "intra mortali, se’ di speranza fontana vivace" [Paradiso XXXIII, 11-12]. Dal suo colle faccia sgorgare per la nostra città di speranza una "fontana vivace", che irrighi i suoi tanti deserti di senso e la faccia rifiorire nella verità e nella giustizia.

"Questo intendevo richiamare alla vostra mente; e per questo dobbiamo riprendere speranza". "Le misericordie del Signore non sono finite" per la nostra città; "non è esaurita la sua compassione" per essa: "esse sono rinnovate ogni mattina, grande è la sua fedeltà" [cfr. Lam 3,21-23].