"in Passione Domini" - Venerdì Santo
Cattedrale di S. Pietro, 2 aprile 2010
1. Cari fratelli e sorelle, in questa semplice e suggestiva Azione Liturgica siamo stati invitati dal Vangelo a "volgere lo sguardo a colui che hanno trafitto": a volgere lo sguardo a Cristo crocifisso; e a chiederci: perché è accaduto tutto questo?
La Chiesa nella preghiera che ha messo sulle nostre labbra all’inizio di questa liturgia, ci offre la risposta: "nella passione del Cristo nostro Signore ci hai liberati dalla morte, eredità dell’antico peccato trasmessa a tutto il genere umano". Dunque, la passione e morte che stiamo ricordando ha a che fare colla nostra condizione umana di peccato e di morte. È questo legame il mistero di cui oggi noi facciamo memoria: "nella passione del Cristo nostro Signore ci hai liberati".
La seconda lettura è particolarmente illuminante. "Non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità", essa ci ha detto. Facendosi uomo, il Figlio unigenito non ha voluto assumere la nostra natura umana semplicemente nella sua consistenza creata. Ha voluto condividere la nostra condizione concreta. Paolo dice che Dio ha mandato il suo Figlio "nella condivisione della carne di peccato" [Rom 8,3]. A quale grado di profondità Gesù è disceso nella miseria umana e ha condiviso la povertà annichilente dell’uomo peccatore, risulta dal fatto che Egli, per essere salvato dalla morte, grida, piange, implora, supplica il Padre che lo poteva salvare da essa. Come ci ha detto il profeta: "egli è stato annoverato fra gli empi".
Ma questo non è tutto: c’è una dimensione ancora più profonda nel mistero della passione del Signore. È il profeta, nella prima lettura, che ce ne parla: "egli si è caricato delle nostre sofferenze … Egli è stato trafitto per nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità".
Il Figlio di Dio, facendosi uomo, ha unito a Se tutto il genere umano per formare un solo corpo mistico di cui Egli è il capo e noi le membra. Incarnandosi il Verbo ha accolto, unito ed appropriato a sé tutto il genere umano. Come insegna il Concilio Vaticano II, "con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo" [Gaudium et spes 22,2; EV 1/1386]. S. Agostino scrive: "Dio non avrebbe potuto elargire agli uomini dono più grande di quello di costituire loro capo lo stesso suo Verbo … unendosi a lui come membra, in modo che egli fosse … un solo Dio col Padre e un solo uomo con gli uomini" [Espos. sul Salmo 85,1 NBA XVI, pag. 1243]. Con questo noi manifestiamo tutto il mistero della posizione di Cristo fra gli uomini.
Quando dunque il profeta ci rivela che "egli è stato trafitto per i nostri delitti", le sue parole vanno prese nel loro senso più ovvio: Cristo, in quanto unito ad ogni uomo, ha preso su di sé il peccato di ogni uomo e lo ha espiato.
"Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto", ci dice il S. Vangelo; "egli si addosserà la loro iniquità", ci ha detto il profeta. Cari fratelli e sorelle, ecco che cosa vediamo in Cristo crocifisso: Colui che ha preso su di sé il nostro peccato e quindi la nostra morte, e ce ne ha liberato. In Colui che ciascuno di noi ha trafitto, ciascuno vede l’infinito amore del Padre che dona il suo Figlio perché siamo salvati.
2. Ora comprendiamo la profondità della preghiera della Chiesa. La Croce è ciò che cambia la nostra condizione. Come fino alla morte di Gesù "abbiamo portato in noi … l’immagine dell’uomo terreno", così ora a causa della S. Croce "possiamo, per l’azione dello Spirito, portare l’immagine dell’uomo celeste".
Attorno alla Croce, ora possiamo formulare la preghiera universale: la preghiera perché ogni uomo, ogni popolo, sia trasformato dalla potenza vivificante della morte di Cristo. L’universa caro che è il genere umano, è stata vivificata dalla Croce.
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