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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


B. GIOVANNI TAVELLI DA TOSSIGNANO
Chiesa di S. Girolamo
24 luglio 1997

1. “Ecco: io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura”. La promessa che il Signore ha fatto per bocca del suo profeta, ha trovato splendido compimento a favore di questa S. Chiesa di Ferrara, quando il 29 ottobre 1431 di essa veniva nominato vescovo il beato Giovanni Tavelli. Egli fu infatti, come il Concilio Vaticano secondo chiede ad ogni Vescovo di essere, “Christi typum gerens”: immagine vivente del Cristo. In quale modo il b. Tavelli ebbe cura del gregge affidatogli?
 In primo luogo, colla preghiera e colla penitenza. Il buon pastore sa bene che Egli deve combattere contro forze nemiche del gregge, che solo così possono essere vinte. Nel c.d. scritto autobiografico  inviato a Nicolò III d’Este, scritto che suscitò l’ammirazione di papa Benedetto XIV, il beato scrive: “Sallo Iddio che io desidero ... alla mia Città ogni exaltatione et gloria; et perché più non posso, quello poco che m’è possibile faccio ne le mie infermi orationi et maxime nello officio della Messa”. Ma che cos’era “quello poco” di cui parla Giovanni? Più sotto scrive: “faccio più quaresime l’anno; tre o quattro volte la settimana me astengo. Dormo sempre vestito in sachone di paglia. Solicitamente me levo la notte a l’oratione et a dire il mio oficio et ad orare per lo populo”.
 In secondo luogo, ci insegna ancora il profeta, il buon pastore condurrà il suo gregge “in ottime pasture”: cioè lo nutrirà di cibo sano e nutriente. La predicazione, l’annuncio del Vangelo che guida l’uomo sulla via della salvezza, è il primo dovere pastorale del vescovo. Il b. Giovanni infatti scrive nel già citato documento: “poiché a questo loco fui assumpto indignissimamente, mi sono sforzato, quanto è possibile alla mia pochezza, admonire et reprendere et coregere questo chiericato et questo populo et ogniuno trarre alla via della salute: et mai non ho admonito nisuno di che non me sia inzegnato prima et possa osservare in me”. Nel contesto di questo impegno, il b. Giovanni per assicurare un contatto sempre più profondo dei suoi fedeli colla S. Scrittura. E si distingueva tanto in questo che il grande umanista, nel discorso che tenne in occasione del solenne ingresso del Tavelli, disse che uno dei motivi che avevano spinto il Papa ad eleggerlo, era stata la “sanctarum Scripturarum intelligentia”.
 Questo profondo impegno pastorale trova la sua radice in un’esperienza spirituale di straordinaria intensità, descritte da parole che non possono non suscitate profonda emozione: “andando per via, stando a mensa, et qualunque operatione me fatia, me sforzo empirme di te et sempre haverte ne la mia memoria. Né in quella permetto stare cogitatione né rappresentazione la quale io intenda habii offendere li occhi de la tua divina Maestà. Niuna cosa creata né honori ne diletti ne ricchezze desidero, se non te solo, Creator mio”. Il b. Giovanni viveva dunque in una totale “immersione” nella Presenza del Signore; nella luce di questa Presenza, si dissolveva pienamente l’ombra di questo mondo. Dio e l’anima umana: le sole due grandi realtà eterne fra le quali il Pastore vive.

2. “Ma voi non fatevi chiamare «maestri»”. Chi viveva così non poteva non nutrire una profonda consapevolezza della propria nullità: una consapevolezza che a volte raggiunge dimensioni drammatiche. Egli si firma: J. Immeritus Ferrariae Ep.us oppure Giovanni povero, vescovo. Nel De perfectione religionis Egli scrive uno stupendo inno all’umiltà. Per questo, divenuto vescovo non mutò le sue abitudini di vita, di estrema povertà.
 Fratelli, sorelle: questa è una figura che ti conquista dal di dentro! Pregatelo oggi e spesso: per la nostra città perché in essa rifiorisca la fede che ne trasformi la vita; per i nostri sacerdoti, perché sia loro donata quell’unione intima con Cristo che li difenda sempre dalla tristezza e dallo scoraggiamento; per me, che sento sempre più il peso di essere successore di un così straordinario pastore.