TERZA DOMENICA DI AVVENTO
Cattedrale di Ferrara
14 dicembre 1997
Il tempo di Avvento che stiamo vivendo ci è donato perché
nella memoria della prima venuta del Signore nella nostra carne, impariamo
a vivere il tempo presente come amministratori saggi e prudenti che attendono
la venuta del loro Signore.
E’ un’attesa, ci ha insegnato il più grande dei Profeti,
Giovanni Battista, che va vissuta nella conversione perché i nostri
cuori non si appesantiscano. Anche oggi ci poniamo alla scuola dell’apostolo
e del più grande di tutti i profeti, cominciando ad ascoltare quest’ultimo.
1. “In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: che cosa
dobbiamo fare?” e’ la domanda che nasce dentro di noi ogni volta che prendiamo
coscienza che ci è dato di vivere solo una volta, che questa vita
è una prova cui seguirà la nostra definitiva dimora. E’ precisamente
questa consapevolezza che siamo in cammino verso la definitiva venuta del
Signore, che per ciascuno di noi coinciderà colla nostra morte,
che il periodo di Avvento vuole nutrire in noi. Ed allora anche noi chiediamo
al profeta: che cosa dobbiamo fare?
Nella risposta che egli ci dà sentiamo una profonda sapienza
ed una grande mitezza. Egli non ci chiede in primo luogo di cambiare il
nostro stato di vita; di trasformare il mondo in cui viviamo e le leggi
che lo governano. C’è qualcosa di più importante prima: cambiare
nel cuore i nostri rapporti con gli altri. Più precisamente: non
dominare sugli altri; non usare gli altri. Giovanni il Battista ci dona
questo insegnamento rivolgendosi a due categorie di persone che nella società
del suo tempo erano particolarmente portate a prevaricare sugli altri:
i soldati e gli esattori delle tasse o pubblicani. A questi dice: “Non
esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato”. E non
era facile allora, quando la riscossione delle tasse era data in appalto.
Significava rinunciare a grandi guadagni: significava mettere al primo
posto non la propria utilità ma la giustizia. Ai soldati dice: “Non
maltrattate e non estorcete niente a nessuno”. Lo stesso precetto in fondo:
non prevaricate sulle persone più deboli.
Insomma se volessimo esprimere con parole nostre la risposta
di Giovanni alla domanda: che cosa devo fare per giungere a celebrare con
rinnovata esultanza il grande mistero della salvezza? Potremmo dire così.
La regola che deve ispirare i tuoi rapporti con gli altri non è
la tua utilità, ma il rispetto ed il riconoscimento pieno della
dignità della loro persona. Alla “regola di rame” che ti dice: “fai
all’altro quello che l’altro fa a te” sostituisci la “regola d’oro”: fai
all’altro quello che vuoi sia fatto a te”. Cioè: ama il tuo prossimo
come te stesso.
Di fronte a questo insegnamento, forse anche noi restiamo nella
stessa attitudine della folla che ascoltava il Battista: “il popolo era
in attesa e tutti si domandavano in cuor loro, riguardo a Giovanni Battista,
se non fosse lui il Cristo.
Ascoltando profondamente le sue direttive anche noi, se siamo
sinceri con noi stessi, diciamo: “Certo, chi non vede che questo modo di
convivere con gli altri è quello vero? Cioè quello
che ciascuno di noi desidera, attende dal profondo del suo cuore. Ma è
possibile?” E’ l’attesa della venuta del Signore. Giovanni B. sa che non
è sufficiente dire all’uomo che cosa deve fare perché questi
lo faccia. Egli battezza solo nell’acqua: l’annuncio di quello che devi
fare ti fa capire quale è la tua verità e nello stesso tempo
ti rende consapevole della tua incapacità di realizzarla. E’ l’immersione
nel tuo limite, nella tua miseria: in attesa che venga “il più forte”
a liberarci. In che cosa consiste la sua liberazione? “vi battezzerà
in Spirito Santo e fuoco”. Il Signore Gesù ci dona il suo S. Spirito
nel quale non solo conosciamo ciò che dobbiamo fare, ma siamo resi
capaci di farlo.
Domenica scorsa la parola di Dio ci invitava ad esercitare un
accorto discernimento nel tempo presente per capire che cosa è gradito
al Signore, che cosa dobbiamo fare. Oggi ci viene svelato quale è
la sorgente in noi del vero discernimento cristiano: è lo Spirito
Santo che illumina la nostra intelligenza e infonde l’amore.
2. Non ci resta ora molto tempo per ascoltare la catechesi di Paolo,
nella seconda lettura. Ma è troppo importante per essere tralasciata
del tutto.
Nel tempo presente, ci dice l’Apostolo, dobbiamo dimorare nella
gioia: non essere cioè nella gioia, qualche momento, ma sempre.
Forse perché non abbiamo angustie e necessità di ogni genere?
No, non per questo. Ma angustie e necessità vanno presentate a Dio
“con preghiere e suppliche”. In sostanza è la vicinanza del Signore,
l’esperienza della sua Presenza nella nostra vita che ci dona una pace
che sorpassa ogni intelligenza.
In conclusione, fratelli e sorelle, rimaniamo nel tempo presente
vivendo nella carità donataci dallo Spirito Santo e “la pace di
Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e
i vostri pensieri in Cristo Gesù”.
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