OMELIA GIORNATA AMMALATO
Comacchio 11 febbraio 1997
Carissimi fratelli e sorelle, le due pagine della S. Scrittura appena
proclamate parlano della malattia, della condizione spirituale di chi soffre
e dell’attitudine di Cristo verso l’ammalato. E’ narrata, per così
dire, l’intera storia interiore dell’uomo sofferente.
1. Prima lettura: essa parla di un ammalato, di S. Paolo, colpito da
una malattia grave che creava gravi difficoltà al suo ministero
apostolico. Ne parla in termini misteriosi: “una spina nella carne, un
inviato di Satana incaricato di schiaffeggiarmi”. Ecco: vediamo come Paolo
vive questa situazione di umiliazione e sofferenza.
Egli si pone la domanda che ogni ammalato, ogni sofferente si
pone, con drammatica insistenza: “perché, Signore? Perché
mi hai colpito con questa malattia, con questa sofferenza? Sono forse terminate
le tue misericordie verso di me?” La risposta è sconvolgente: “perché
non montassi in superbia ... perché io non vada in superbia”. Che
cosa significa? La malattia, la sofferenza è un mezzo di cui si
serve il Signore per educarci e ricondurci continuamente alla verità
del nostro essere: un essere, il nostro, fragile e povero che non può
insuperbirsi, a causa della sua costituzionale debolezza. Lo Spirito Santo
ci insegna: “E’ per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta
come figli; e qual è il figlio che non è corretto dal padre?
se invece non subite correzioni ... allora siete degli illegittimi, non
dei figli” (Eb 12,7-8).
Ma l’apostolo, così come ogni uomo, nella malattia e nella
sofferenza si rivolge al Padre perché lo liberi: “per ben tre volte
ho pregato il Signore che l’allontanasse da me”. Che cosa risponde il Signore
a Paolo, a te che soffri e preghi di essere liberato dalla tua sofferenza?
“ti basta la mia grazia; la mia forza infatti si manifesta pienamente nella
debolezza”. Ecco, fratelli e sorelle, in questa risposta data da Cristo
a Paolo (ad ogni sofferente) è racchiusa una fondamentale visione
della fede sulla sofferenza e sulla malattia. Spesso il Signore non ascolta
subito, o non ascolta per niente la nostra richiesta di essere liberti,
ma ci dona due intime, incrollabili certezze. La prima: egli ci dona la
sua grazia questa ci basta. La sua grazia è la sua amorosa, tenera
vicinanza che ci sostiene e ci consola (“Venite a me ... ed io vi ristorerò;
troverete riposo alle vostre anime). La seconda: nella debolezza della
tua sofferenza e/o della tua malattia, Egli manifesta la sua potenza, compiendo
grandi cose nella Chiesa precisamente mediante il tuo soffrire. Più
avanti negli anni, ed ancora più sofferente, l’apostolo Paolo dirà:
“Sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia
carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo Corpo che
è la Chiesa” (Col. 1,24). Ecco, fratelli e sorelle, abbiamo scoperto
il significato più profondo della sofferenza del cristiano. Mediante
la tua sofferenza, tu partecipi realmente anche se misteriosamente alla
sofferenza stessa di Cristo: egli continua la Sua sofferenza nella tua.
In ragione di questo “legame”, la tua sofferenza non è inutile.
In essa si manifesta la potenza salvifica: tu soffri “a favore del suo
corpo, la Chiesa”. Nella comunità cristiana, esiste a causa del
nostro essere in Cristo, uno scambio, grazie al quale ciascuno partecipa
alla ricchezza spirituale degli altri. Così chi soffre, mette le
sue sofferenze a profitto di tutta la Chiesa e contribuisce alla sua costruzione.
La vicenda umana di Cristo ri-vive nell’apostolo, rivive in ogni
sofferente che soffre in Cristo.
2. Ed ora, fratelli e sorelle, riascoltate il Vangelo: in esso Gesù
dice ai suoi apostoli “Imporranno le mani ai malati e questi guariranno”.
Le parole di Gesù richiamano un’altra dimensione con cui il credente
si accosta alla malattia: essa deve essere combattuta per essere guarita.
La giornata è un richiamo anche a tutti coloro che hanno responsabilità
nel campo sanitario. Si tratta di un aspetto del nostro vivere associato
dal quale si misura il grado di civiltà di un popolo. Non è
onesto, quando si affronta questo problema, rifugiarsi subito in una generale
deresponsabilizzazione dei singoli per assolvere tutti e quanti, ed accusare
il cosiddetto sistema.
Perché spesso l’ammalato viene trattato senza rispetto,
delicatezza, attenzione, come fosse qualcosa e non qualcuno? Prima che
di cure l’ammalato ha bisogno di rispetto, di un “cuore” che lo sostenga
e lo aiuti. Perché per avere interventi e/o analisi anche di estrema
urgenza si deve spesso attendere settimane e mesi? Si è verificato
seriamente se è possibile risparmiare in altri settori pubblici,
prima di passare a tagli di spesa che penalizzano spesso i più poveri
e i più soli? Ancora una volta mi rivolgo alle autorità sanitarie
di ogni ordine e grado: in nome di Dio ed in nome dei più deboli
e più poveri, ponetevi davanti alla vostra coscienza morale! Si
sta veramente facendo di tutto, nel pur necessario ed indilazionabile rigore
di gestione del denaro pubblico, per assicurare a tutti, dico a tutti,
coloro che sono più poveri tutte le prestazioni necessarie non in
modo qualsiasi, ma in tempi ragionevolmente brevi?
Il Signore Gesù conceda a voi sofferenti il conforto della
sua consolazione; dia ai medici la consapevolezza sempre più profonda
dell’incomparabile dignità della loro professione-missione: dignità
che non può essere sacrificata da nessun potere; dia al personale
infermieristico la tenerezza che li faccia presenza amorosa presso l’ammalato;
dia a me Vescovo il coraggio di difendere sempre ogni povero; a tutti noi
di vivere giorni sereni, in tutta dignità e pace.
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