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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Settimana Mariana 1997
OMELIA GIORNATA SACERDOTALE
Cattedrale Ferrara
9 ottobre 1997

 Il Signore Gesù ci svela il mistero della nostra salvezza, non solo colle parole, ma anche con i suoi gesti. In questo senso, questo miracolo di Cana è un “segno”, anzi il “primo dei segni”. E’ un segno: un’opera nella quale Egli svela la sua missione salvifica. E’ l’inizio dei suoi miracoli-segni: esso in un qualche modo è come l’archetipo di tutti i suoi miracoli e tutta la sua missione è qui contenuta come in seme. Per questo, è una pagina che deve essere letta, meditata, pregata con profonda docilità allo Spirito Santo che l’ha ispirata. Solo Egli può aprirci tutti i segreti in essa contenuti.

1. Possiamo introdurci in essa, pensando subito che Cristo pone l’inizio dei suoi miracoli-segni nel contesto di un BANCHETTO NUZIALE. Fin dal tempo del Profeti (cfr. Is 25,6-12), il banchetto è il simbolo di cui si serve la Parola di Dio per svelarci che cosa sarà la salvezza degli ultimi tempi. Essa è dono di un cibo e di una bevanda che soddisfano i desideri del cuore umano, secondo la loro misura intera. Essa accade come esperienza di comunione interpersonale vissuta nella gioia. Fu l’esperienza vissuta per qualche tempo da alcuni privilegiati di Israele, come ci racconta l’Esodo: “Essi videro il Dio di Israele ... Contro i privilegiati degli  Israeliti non stese la mano: essi videro Dio e tuttavia mangiarono e bevvero” (24, 10a - 11). E quando il credente vuole descrivere l’attenzione che il Signore ha per chi lo ama, un’attenzione che non fa mancare nulla, dice: “Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici” (S. 23,5).
 Ma non è questo un banchetto qualsiasi: è un banchetto nuziale. L’incontro dell’uomo con Dio, l’esperienza della salvezza ha il carattere della nuzialità. Essa sottolinea il carattere della reciproca appartenenza (Io sono il tuo Dio - tu sei il mio popolo), della tenerezza amorosa (la attirerò a me ... e parlerò al suo cuore: Os 2.14), della fedeltà indissolubile (ti farò mia sposa per sempre: 21).
 Ecco che cosa accade fra Dio e l’uomo quando l’uomo accetta il dono della salvezza: si celebra un banchetto di nozze fra l’uomo e Dio.

2. Nel contesto di un banchetto nuziale, Cristo pone l’inizio dei suoi miracoli-segno ambiando l’acqua in VINO: concretamente donando una grande abbondanza di vino a chi ne era privo. Perché come archetipo di ogni dono di salvezza è stato scelto il (dono del) vino? Cristo conosceva come nessuno la S. Scrittura. Ora che diceva la Scrittura del vino? “Il vino è come la vita per gli uomini ... che vita è quella di chi non ha vino? Questo fu creato per la gioia degli uomini. Allegria del cuore e gioia dell’anima è il vino bevuto a tempo e a misura” (Sir. 31,27-18). La vita ha bisogno del vino perché ha bisogno della gioia. Siamo  stati creati per la gioia. Ecco allora che il vino diventa il segno preferito del tempo messianico, del tempo della salvezza. E la sua abbondanza sta sempre ad indicare la pienezza dei doni salvifici, la ricchezza smisurata dei benefici di Dio salvatore. “Voi , figli di Sion, rallegratevi/gioite nel Signore, vostro Dio,/ ... i tini traboccheranno di mosto ... Voi riconoscerete che io sono in mezzo ad Israele” (Gl. 2, 23ab; 24b; 27a).
 Il segno-miracolo con cui Gesù dà inizio a tutti i suoi segni-miracoli comincia a profilarsi in tutta la sua potenza espressiva, nella sua gloria. Nel banchetto nuziale è adombrata la salvezza ricercata dall’uomo; in esso alla fine viene a mancare il vino: si fa una grande vuoto di senso, poiché che senso ha celebrare delle nozze senza vino? Cristo è colui che riempie questo infinito vuoto di senso: egli dona il vino. A questo dono partecipa, di questo dono è in un qualche modo responsabile sua Madre. Veramente in questa pagina è già scritta tutta la storia della salvezza. Facciamone ora memoria, in un profondo spirito di lode.

3. Nel banchetto nuziale è già adombrata la ricerca della salvezza da parte dell’uomo. Il matrimonio si inscrive nella dimensione più profonda della persona umana. Esso cerca di rispondere al bisogno dell’uomo e della donna di uscire dalla propria solitudine; cerca di colmare l’esigenza di una vera comunione interpersonale. E’ questa la sua intima verità, il suo significato originario (“e i due saranno una sola carne”): costituire una unità nel ed attraverso il dono di sé. Non è, come ci vuol far credere la cultura dominante, la contrattazione sul come far convergere l’opposta ricerca della propria felicità individuale, una contrattazione sempre rivedibile perché sempre sottoposta alla parità fra il dare e l’avere. La persona umana trova se stessa nel dono di se stessa: essa riceve quando dona.
 Ma per quale ragione all’uomo e alla donna che celebrano il loro banchetto nuziale viene a mancare il vino? Viene a mancare quella “gioia dell’anima”, di cui il vino, come abbiano visto, è il simbolo? Non fu così “al principio”: al banchetto nuziale originario non venne a mancare il vino della gioia. Ci narra infatti la S. Scrittura che quando Adamo vide per la prima volta la sua sposa Eva, cantò un breve, gioioso canto di amore: “questo adesso è osso delle mie ossa ...”. La gioia nasce dalla esperienza di una totale, intima unità: la realizzazione della loro comunione, posta in essere dal Creatore stesso (“ciò che Dio unì”), è il vero  vino del loro banchetto nuziale. E’ venuto a mancare il vino perché nel cuore dell’uomo e della donna si è estinta la capacità di amare, la capacità di donare se stesso l’uno all’altro. Ribellatisi al Signore, hanno distrutto la loro comunione. E’ in questo sfondo che possiamo capire l’immane tragedia delle parole evangeliche: “venuto a mancare il vino”.
 Dei misteri divinamente donati all’uomo, solo il matrimonio è indicato come “mistero grande”, poiché esso è il simbolo di quella unione che Iddio vuole costruire coll’uomo: simbolo delle alterne vicende dell’Alleanza. La rottura di questa da parte di Israele è infatti chiamata adulterio. Se il vino viene  a mancare nel banchetto che celebra il matrimonio, perché l’uomo e la donna hanno abbandonato il Signore, nella prospettiva biblica è anche vero che la mancanza del vino significa che l’Alleanza sponsale fra Dio e l’uomo non si compie.
 
4. E’ il Cristo che, resosi presente al banchetto nuziale, dona finalmente il vino che mancava. Questo dono “anticipa” quella che Giovanni chiama l’ora di Cristo: essa è già in un qualche modo prefigurata in questo miracolo-segno.
“Infatti a Cana si anticipa la Croce, il momento della consegna dello Spirito al Padre per essere donato agli uomini immeritevoli (Gv 19,30), quando dal costato straziato del Figlio di Dio  profluirà “subito Sangue ad Acqua”, l’Economia misterica dello Spirito Santo (Gv 19,34), figura della creazione dell’Eva nuova, il Mistero grande della Chiesa Sposa, e la piena rivelazione della Gloria divina.
 Così Cana di questa ora divina è l’anticipo precisamente nel segno nuziale del Vino ricavato dalla mirabile trasformazione dell’acqua. In questo è il “principio” e il “fine” dei Segni potenti operati dal Signore (Gv 2,11). E’ il Segno assoluto, anticipo del Convito delle Nozze eterne. E se l’anticipo è imperscrutabile nella sua non prevedibilità umana, gli effetti ne sono decisivi ed irreversibili, permanenti. Cana è Segno eterno.” (Tommaso Federici, “Resuscitò Cristo!” Eparchia di Piana degli Albanesi, Palermo 1996, pag. 1797)

 Secondo i profeti, l’Alleanza nuziale fra l’uomo e Dio avrebbe potuto celebrarsi solo col e nel dono dello Spirito Santo. Solo Egli infatti ci dona di amare il Padre, di appartenergli completamente in Cristo. E’ per lo Spirito Santo che si compie in Cristo l’unione col Padre. Egli, lo Spirito Santo, è il vincolo coniugale.

5. Ma in tutto questo opera Maria, figura che sta con Cristo al centro di questa pagina. Ed è soprattutto su lei che in questa celebrazione noi vogliamo posare lo “sguardo semplice” della fede. Se infatti Cana è il modo-archetipo con cui il Verbo incarnato svela la sua missione e ci scopre la sua identità, contemplare Maria a Cana equivale a contemplare Maria semplicemente nell’economia della salvezza.
 - Essa è presente: “c’era la Madre di Gesù”. Solo Lei potrà fare in modo che venga (anticipata) l’Ora, poiché in lei si ha finalmente la persona umana credente. Il suo consenso di fede ha reso possibile che si celebrassero le nozze del Verbo con l’umanità; la sua fede sarà quella che può mettere in moto l’azione divina. L’inizio dei segni si contrappone all’inizio della maledizione antica portata dal peccato, nel segno simbolico della donna che partorisce nel dolore: la Donna ora nella sua discendenza porrà fine al vuoto di senso.
 - Essa interviene: “la madre di Gesù gli disse: non hanno più vino”. Il suo intervento contribuisce in modo significativo all’inizio dei segni, nonostante che la risposta di Gesù alla sua richiesta sembrasse un rifiuto. Ecco: in questa pagina, vera sintesi di tutta la storia della salvezza, si svela ai nostri occhi credenti l’intera verità della maternità di Maria, la nuova Eva. Essa è la sollecitudine di Maria per la nostra salvezza; una sollecitudine e preoccupazione che prende qui la forma della preghiera di intercessione. Se volete, questa presenza materna di Maria è una mediazione: Maria si pone fra gli uomini che non possono celebrare il banchetto ed il Figlio suo. Si pone non come estranea a nessuno dei due: Ella è la Madre di Colui che può donarci il vino nuovo della gioia messianica, ed è consapevole della nostra povertà, della nostra sventura, dell’insidia del non-senso che ci minaccia da ogni parte, bisognosa anch’ella di essere redenta. Ella presenta al Figlio il “vuoto” dell’uomo (“non hanno più vino”)e agli uomini presenta la volontà del Figlio (“fate quello che vi dirà”). La mediazione mariana è tutta orientata verso Cristo; è la mediazione di chi intercede per noi. “Questa maternità di Maria nell’economia della grazia perdura senza sosta ... fino al perpetuo coronamento di tutti gli eletti” (Cost. dogm. Lumen Gentium 62).
Ecco, fratelli: in questa pagina contempliamo la “figura”, il “segno” di tutta l’economia salvifica. Nel suo centro sta il Cristo, il Verbo incarnato che ci fa dono del vino del suo Santo Spirito. Questo dono è realizzato su richiesta di Maria: ella è l’attesa pura, credente, insistente del dono del vino nuovo. E così le nozze possono essere celebrate e l’uomo ritrovare la sorgente inesauribile della gioia.
 Dentro questa economia si colloca il nostro ministero pastorale. Vengono alla memoria le commoventi parole del più grande di tutti i profeti: Giovanni il Battista: “Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo” (Gv 3,,29). Quale commovente descrizione del nostro ministero! Anche ciascuno di noi, come Maria, è presente e partecipa alla celebrazione di un matrimonio: l’Alleanza fra Dio che in Cristo chiama ogni persona alla vita eterna e la persona stessa. Il nostro ministero è presenza alla gioia iniziale. Il Signore è misericordia infinita: verso l’uomo è solo misericordia. Egli continua a mutare l’acqua in vino, invitando ogni uomo a questa festa. E noi siamo i ministri della sua gioia: non possiamo amare gli uomini se non amiamo la loro gioia. Ma “chi possiede la sposa è lo sposo”: non siamo noi i padroni del gregge affidatoci; ne siamo i servitori. Siamo coloro che conducono la sposa allo sposo: conducono a Cristo ogni uomo. E nello stesso tempo siamo coloro che uniscono la loro povera preghiera all’onnipotente intercessione di Maria: “non hanno più vino”. Hanno smarrito, o Signore, il senso della vita; hanno perduto ogni gioia, poiché hanno preferito al vino del tuo gaudio l’acqua putrida di una libertà impazzita. Non hanno più vino, poiché si sono annoiati nell’indifferenza di chi non vuole più distinguere il vero dal falso, il bene dal male. Non hanno più vino, poiché non hanno più speranza.
 Poniamoci così dentro alla storia della salvezza: con Maria, a cui ancora una volta oggi affidiamo il nostro ministero, perché attraverso esso sia ridonato all’uomo il vino nuovo del suo banchetto nuziale con Dio.