IL MISTERO EUCARISTICO
Incontro con i catechisti
Ferrara, 25 maggio 1997
01. Consentitemi di iniziare con un esempio. Se noi trascriviamo su
un rigo musicale delle note, ma ci dimentichiamo di scrivere all’inizio
la chiave musicale, quelle note non possono essere lette. Non solo, ma
a seconda della “chiave di lettura”, quei segni musicali cambiano completamente
significato; senza neppure spostarli nel rigo. Perché questo esempio?
Stiamo di fronte alla “pagina musicale” più sublime composta dalla
divina ispirazione, l’Eucarestia, e cercheremo di leggerla e di interpretarla:
di averne una qualche comprensione. Ma per poterlo fare, è necessario
sapere quale è la “chiave interpretativa” che ci consente di capire
almeno un poco la dottrina eucaristica. E’ una domanda di decisiva importanza,
perché a seconda che io usi una chiave piuttosto che un’altra, gli
“elementi” della dottrina non mutano, ma cambia il significato profondo
dell’insieme, il senso dell’Eucarestia. Facciamo subito qualche esempio.
Possiamo partire, per avere appunto una qualche comprensione
dell’Eucarestia, dall’esperienza umana della convivialità quale
espressione simbolica della fraternità umana che celebra la sua
festa. Con questa “chiave di lettura”, come finisco per capire l’Eucarestia?
Come l’espressione più alta, perfetta, di quella esperienza umana,
resa possibile da un avvenimento ricordato (quando lo è), il sacrificio
di Cristo. Alla fine, la divina Eucarestia diventa pienamente plausibile
e sarà di fatto celebrata in modo tale da esprimere questa festa
della fraternità umana di cui il convito è il simbolo.
Una tale chiave di lettura ci fa semplicemente “passare accanto”
all’Eucarestia, senza neppure sfiorarne la novità assoluta, la sua
originalità ed in-attendibilità. Quale è la vera chiave
interpretativa? Da dove si deve iniziare quando si parla di Eucarestia?
dal Corpo di Cristo offerto in sacrifico e dal suo Sangue effuso per la
remissione dei peccati; cioè: dalla sua passione e morte, che sono
il suo essere “per noi uomini e per la nostra salvezza”. Ciò che
fonda o istituisce l’Eucarestia è l’evento della morte e risurrezione
di Cristo. E’ chiamato “evento” per indicare che è un fatto storicamente
accaduto, unico nel tempo e nello spazio, avvenuto una volta per sempre
ed irripetibile. L’Eucarestia è il sacramento di questo avvenimento,
accaduto una volta per sempre sul Calvario. “Gesù non muore ad ogni
Eucarestia. Siamo invece noi che, ogni volta che la celebriamo, siamo «presentati»,
nel senso di «essere resi presenti» a quella morte, o di ricevere
la grazia di quella presenza per essere associati a quel Corpo dato
e a quel Sangue sparso, in cui vive la carità divina per noi” (I.
Biffi, Il Corpo dato e il Sangue sparso, ed. Jaca Book, Milano 1996, pag.
17).
E’ chiaro allora il cammino che dobbiamo percorrere in questa
nostra riflessione. Dobbiamo iniziare a riflettere sulla ragione, sul significato
di quanto è accaduto sul Calvario (1) e poi (2) chiederci che cosa
significa dire che l’Eucarestia è il sacramento di quell’avvenimento.
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* Il testo non riporta la parte dedicata all’Adorazione Eucaristica
né la conclusione. Me ne scuso.
1. Partiamo da ciò che è accaduto nell’ultima cena: dal
momento in cui Gesù istituisce l’Eucarestia. In che cosa consiste
questa istituzione? Consegna che Cristo fa di se stesso ai suoi discepoli,
nel sacrifico della sua morte: Egli dona loro, perché ne mangino,
il suo Corpo offerto, ed il suo Sangue effuso, perché ne bevano.
Ma, nello stesso tempo, i discepoli ricevono l’ordine di trasmettere a
loro volta questo dono ed a tal fine ne istituisce il memoriale. E così
il Corpo offerto ed il Sangue effuso permangono a disposizione di tutti
i credenti, fino alla fine dei tempi. Ma che senso ha questa “traditio
Corporis et Sanguinis”, questa consegna del Corpo e del Sangue di Cristo?
Ecco il punto di partenza necessario ad ogni comprensione dell’Eucarestia.
Dobbiamo ancora una volta riprendere una riflessione già
fatta nel primo incontro: ciascuno di noi, tutto il mondo è stato
creato in vista di Gesù Cristo, Verbo incarnato, crocefisso risorto.
Che cosa significa? Il Padre non ha voluto semplicemente che
esistessero delle persone create colle quali intrattenere un rapporto semplicemente
di “Creatore a creature”. Egli ha voluto che l’uomo fosse partecipe della
sua stessa vita divina: entrasse nel “circolo” della comunione trinitaria,
se così possiamo dire. Quale è la realizzazione di questo
disegno, di questo progetto di pura grazia? E’ Gesù Cristo, il Verbo
incarnato. Egli infatti è vero uomo e vero figlio di Dio: da Lui
il Padre può essere chiamato “Padre”, da un uomo.
Ma il Verbo incarnato è stato pensato e voluto come “primogenito
di molti fratelli”. Cioè: il Padre ha voluto il Verbo incarnato
perché in Lui ogni uomo fosse figlio per grazia nel Figlio per natura.
La creazione di ogni persona umana è in vista di questa figliazione,
o - il che equivale - ogni persona umana è stata pre-destinata in
Cristo (=pensata ad immagine di Cristo; voluta come figlio nel Figlio).
Poiché poi tutta la creazione è in vista, è per l’uomo
e l’uomo è in vista di Cristo, tutto è stato creato in vista
di Lui: Egli è la causa esemplare di tutto. Dunque: il primo voluto,
il primo pensato è stato il Verbo incarnato ed ogni persona e realtà
in vista di Lui.
Ma dobbiamo ora fare un’ulteriore riflessione, usando un modo
di dire molto ... figurato ed antropomorfico.
Creando l’uomo rendeva possibile il peccato: ogni libertà
di una creatura è fallibile. Egli, il Padre, avrebbe potuto realizzare
un universo dal quale fosse assente il peccato. Egli ha voluto invece un
universo nel quale il peccato dell’uomo (voluto esclusivamente dall’uomo,
poiché Iddio non può volere il peccato) fosse già
compreso dentro all’atto redentivo di Cristo; anziché un uomo di
fatto senza colpa, ha preferito un uomo perdonabile, anzi “da perdonare”.
Che cosa significa tutto questo? Il Verbo incarnato voluto non è
altri che il Crocefisso-risorto. Le cose non sono andate nel modo seguente:
Dio ha voluto che il Verbo divenisse uomo perché in Lui ogni uomo
divenisse figlio del Padre; poi, essendo intervenuto come triste imprevisto,
il peccato dell’uomo, il Verbo incarnato ha dovuto subire la morte per
salvare l’uomo medesimo. No: nel progetto del Padre nulla è imprevisto.
Egli fin dal principio ha voluto il Verbo incarnato nella “forma” del Crocefisso
risorto, perché ad un universo senza peccato ha preferito un universo
nel quale l’uomo peccatore fosse già perdonato nella morte risurrezione
del Verbo incarnato.
Quindi:
- tutta la creazione è in vista di Cristo, nel senso preciso
che tutto è stato pensato e voluto in vista del Crocefisso risorto;
- la persona umana è stata voluta in Cristo crocefisso risorto;
cioè come “un essere cui rimettere i peccati” (S. Ambrogio), nel
quale cioè manifestare la sua sola misericordia;
- il peccato è previsto come già estenuato, già
vinto: è la solidarietà con Cristo nuovo Adamo che è
stata voluta, non la prima col primo Adamo;
- ad ogni uomo è già offerta la salvezza: per perdersi,
deve decidere di sua propria iniziativa di “chiudere le finestre e non
lasciare entrare i raggi del sole” (S. Ambrogio).
Nella prospettiva quindi del piano divino, la morte di Cristo
che lo introduce nella Gloria, è il punto culminante di tutta la
storia e di tutta la creazione, oltre il quale non c’è più
nulla di nuovo. E’ il fine e la fine di tutto. Quando infatti il suo Corpo
è offerto ed il suo Sangue è sparso, l’intenzione del Padre
si è compiuta: essa non mirava ad altro se non che ci fosse il Verbo
incarnato morto e risuscitato. Tutta la grazia del Padre si esaurisce:
è tutto fatto, donato, perdonato. Le braccia sono aperte ed il fianco
squarciato: una volta per sempre.
2. In che cosa consiste la salvezza di ciascuno di noi? O meglio: come
ciascuno di noi può salvarsi? Non c’è un altro modo che questo:
morire con Cristo, risorgere con Lui. Essere cioè resi partecipi
della sua morte-risurrezione e così realizzare in se stessi quel
“disegno” secondo il quale ciascuno di noi è stato voluto, predestinato
nel Crocefisso risorto. Ora, non si può pensare che il Corpo di
Cristo sia nuovamente, continuamente offerto in sacrificio; che il suo
Sangue sia continuamente effuso per i nostri peccati. Si può solo
attendere che anche a me sia dato oggi di poter “fruire” di quel sacrifico,
di poter partecipare a quel Corpo e a quel Sangue. L’attesa è di
un “sacramento” del Corpo e Sangue, perché io possa “comunicare”
ad essi e così vivere quella vita per cui sono creato, compiere
quel destino per cui sono stato voluto.
“L’eucarestia non «ripete» la passione di Gesù,
non «rinnova» la sua morte; e, d’altra parte, neppure consiste
nel semplice ricordo o nella lode di un evento ormai del passato che ci
si occupi a recuperare, o in un simbolo che lo evochi, ma sia sprovveduto
della sua «realtà». Al contrario, nella memoria eucaristica
emerge la presenza del Corpo e del Sangue di Cristo.
In virtù dell’azione trasformante dello Spirito, il pane e il
vino, presentati dalla Chiesa, diventano - «veramente, realmente
e sostanzialmente» - il Corpo e il Sangue del Signore: «Il
calice della benedizione, che noi benediciamo, - sono ancora parole di
Paolo - non è forse comunione al sangue di Cristo? e il pane, che
noi spezziamo, non è forse comunione al corpo di Cristo? (1 Cor
10,16).» (I. Biffi, op. cit. pag. 55-56)
L’Eucarestia appare così il sacramento della presenza del Corpo
«dato» e del Sangue «sparso», e insieme il sacramento
dell’attuale mediazione salvifica di Gesù, sommo sacerdote della
nuova ed eterna alleanza (Eb 8,1.6;9,6).
Essa è il sacramento del Corpo e del Sangue del Signore, perché
prima ancora, è il “sacramento del suo attivo offrirsi”.
Quindi:
- l’Eucarestia (la celebrazione dell’Eucarestia) è il sacramento
per eminenza; gli altri lo sono in quanto preparano ad essa o sono una
conseguenza di essa.
- si può dire che in un certo senso tutta la fede cristiana
è l’Eucarestia: è il centro da cui partono ed a cui
confluiscono tutti i raggi.
Fino ad ora, in fondo, abbiamo parlato dell’Eucarestia come SACRIFICIO.
Gesù nella celebrazione eucaristica consegna (prendete)
il suo Corpo ed il suo Sangue, perché gli uomini ne diventino partecipi
(mangiate-bevete): solo così essi si salvano. E’ questa la ragione,
l’intenzione della COMUNIONE EUCARISTICA: divenire con-sorti di Cristo.
Più precisamente: divenire partecipi della stessa carità
del Cristo mediante il dono dello Spirito Santo. Ecco come spiega la cosa
S. Tommaso:
“Ha la vita eterna colui che mangia e beve non solo sacramentalmente,
ma anche spiritualmente. Mangia e beve sacramentalmente colui che mangia
e beve il sacramento in quanto tale; spiritualmente invece colui
che raggiunge la realtà profonda del sacramento [pertingit ad rem
sacramenti], che è duplice: l’una contenuta e significata, ed è
il Cristo, contenuto integralmente sotto le specie del pane e del vino;
l’altra è significata e non contenuta, ed è il corpo mistico
di Cristo [...]. Rispetto al Cristo contenuto e significato, mangia spiritualmente
la carne e beve il sangue chi si unisce a lui mediante la fede e la carità,
così che viene trasformato in lui e diviene suo membro: questo cibo,
infatti, non si trasforma in colui che lo mangia, ma trasforma in sé
chi lo mangia, come dice S. Agostino: “sono il cibo dei grandi; cresci
e mi mangerai; e non sarai tu a trasformarmi in te, ma tu sarai trasformato
in me”. E’ quindi un cibo capace di rendere divino un uomo e di inebriarlo
di divinità. Rispetto al corpo mistico soltanto significato [mangia
spiritualmente] chi diviene partecipe dell’unità ecclesiale. Ha
la vita eterna chi mangia in questo modo. Questo appare sufficientemente
chiaro per quanto riguarda il rapporto con Cristo. E similmente per la
relazione con il corpo mistico necessariamente avrà la vita eterna,
se persevererà. Infatti l’unità della Chiesa avviene in virtù
dello Spirito Santo, secondo Efesini 4,4: “Un solo Spirito e un solo corpo”,
che è pegno dell’eredità eterna (Ef. 1,14).” (Super Ev. S.
Joannis Lectura, ed Marietti, pag. 183, n. 972)
Ma perché tutto questo accada è necessaria che la comunione
al Cristo sia sacramentale-spirituale. Dall’Eucarestia nasce la Chiesa
che è l’Eucarestia realizzata.
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