Nona Catechesi dei Giovani
L’INCONTRO CON CRISTO: I SANTI
Mottatonda, 24 maggio 1997
Lc 19,1-10
La catechesi del mese scorso ci ha fatto scoprire un avvenimento
stupendo: Gesù Cristo, poiché è Risorto, è
sempre presente in mezzo a noi, e tu lo puoi incontrare personalmente.
Cioè: tu non solo puoi “sentire parlare” di Lui e così conoscerlo
per “sentito dire”; tu non solo puoi leggere un Libro che riferisce con
totale verità ciò che ha detto ed ha fatto e così
conoscerlo “attraverso uno scritto”. No: tu puoi conoscerlo personalmente,
perché tu lo puoi incontrare veramente. Ed infatti, gli Apostoli
dicevano: “abbiamo mangiato e bevuto con Lui”.
Nell’incontro poi regionale che abbiamo avuto il primo maggio,
abbiamo visto che questo incontro-conoscenza personali di Cristo accadono
nell’Eucarestia.
Oggi, facciamo un passo avanti, chiedendoci: che cosa succede
nella vita di una persona, quando incontra Gesù Cristo? (non ho
detto: “quando sente parlare di Gesù Cristo” oppure “quando legge
- studia qualche libro su Gesù Cristo” oppure “quando cerca di mettere
in pratica ciò che ha insegnato Gesù Cristo”).
E’ ovvio non possiamo rispondere a questa domanda, se non ascoltando
la narrazione delle persone che hanno vissuto questo incontro. Ho pensato
di riflettere con voi su alcune storie di incontro.
1: l’incontro con Zaccheo (Lc 19,1-10). Parole chiavi: capo dei pubblicani
e ricco (chi è Zaccheo); Gesù alzò lo sguardo e disse:
devo fermarmi a casa tua (che cosa dice e fa Gesù); Zaccheo lo accolse
e dice: “do’ la metà ...” (che cosa dice e fa Gesù).
2: l’incontro di Agostino con Cristo (leggere i testi delle Confessioni)
- Quando accade l’incontro, accade qualcosa di improvviso, imprevedibile
e non programmato (Ricordate la catechesi sulla grazia: il primato della
grazia! E’ Lui che ha l’iniziativa, senza nostri meriti).
- E’ un incontro che ha sempre una lunga preparazione nella quale spesso
la persona umana è tormentata, è come tirata da parti e forze
contrarie.
- Normalmente la persona è condotta a questo incontro, è
guidata da altre persone che già hanno vissuto questa esperienza.
- E’ un incontro che cambia completamente la vita, nel senso che ormai
tutto è vissuto in quella luce.
- Immette in chi l’ha vissuto un incontenibile desiderio, necessità
di testimoniare ciò che ha vissuto.
Chi sono i santi? Coloro che hanno vissuto questo incontro ed hanno
lasciato che tutta la loro vita ne fosse plasmata.
Dalle CONFESSIONI di S. Agostino (Lib. VIII)
1. E mi stupivo di amare proprio te, non più un fantasma in tua
vece, ma non gioivo stabilmente del mio Dio: rapito verso di te dalla tua
bellezza, subito ero strappato a te dal mio peso e precipitavo gemendo
tra le cose di questo mondo; e questo peso era la consuetudine della carne.
Ma restava in me la memoria di te, e non dubitavo affatto dell’esistenza
di un essere a cui dovevo aderire, anche se io non ero ancora in grado
di aderirvi.
2. E cercavo la via per acquistare la forza necessaria a goderti, ma
non l’avrei trovata, finché non avessi abbracciato «il mediatore
fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che è sopra ogni
cosa Dio benedetto nei secoli», e che ci chiama e dice: «Io
sono la via, la verità e la vita», e che mescola alla carne
il cibo che non avevo ancora la forza di prendere, poiché «il
Verbo si è fatto carne» affinché la tua sapienza, con
la quale hai creato ogni cosa, diventasse latte per la nostra infanzia.
Non ero infatti abbastanza umile da possedere l’umile Dio mio Gesù
e non conoscevo gli insegnamenti della sua debolezza.
3. Io però pensavo diversamente e guardavo a Cristo mio signore
come a un uomo d’eccellente sapienza e al quale nessuno poteva stare alla
pari, soprattutto in quanto, miracolosamente nato da una vergine - perfetto
esempio di come si debbano disprezzare le cose di questo mondo al fine
di conseguire l’immortalità - , mi sembrava essersi meritato, per
volere della provvidenza divina che ha cura di noi, una straordinaria autorità
di magistero. Ma qual mistero si racchiudesse nel «Verbo fatto carne»,
non ero in grado nemmeno di sospettare. Di lui sapevo soltanto quel che
tramandano le Scritture: che mangiò e bevve, dormì, camminò,
fu gioioso e fu triste, conversò, e che quella carne non avrebbe
potuto unirsi al tuo Verbo se non con un’anima e in una mente di uomo.
4. Così, il fardello della vita mondana, come accade nel sonno,
mi pesava dolcemente, e i pensieri che ti rivolgevo assomigliavano agli
sforzi di chi vorrebbe svegliarsi ma, vinto dalla profondità dell’assopimento,
ripiomba nel sonno. E come non c’è chi voglia dormire sempre, e
per comune buon senso è preferibile star svegli, e tuttavia, quando
il torpore appesantisce le membra amiamo ritardare il momento di scuoterci
dal sonno, e pur avendone già abbastanza lo assaporiamo con più
gusto, sebbene sia giunto il momento di alzarci: così ero certo
ch’era meglio consegnarmi tutto al tuo amore che cedere alla mia passione,
ma quello mi piaceva e vinceva, questo mi era gradito e mi avvinceva. Non
sapevo cosa rispondere a te che mi dicevi: «Sorgi, tu che dormi,
e risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà», e mentre dovunque
mi mostravi la verità di quanto dicevi, io, pur di tale verità
convinto, non sapevo rispondere se non parole strascicate e sonnolente
come «Tra poco», «Ecco, tra poco», «Ancora
un istante». Ma quei «tra poco e tra poco» duravano non
poco e quell’«ancora un istante» durava un’eternità.
Vanamente mi compiacevo «della tua legge secondo l’uomo interiore»,
quando «un’altra legge, nelle mie membra, lottava contro la legge
della mia mente e mi faceva prigioniero contro la legge del peccato, che
era nelle mie membra». E questa legge del peccato è la forza
dell’abitudine, che trascina e lega l’anima anche suo malgrado, e giustamente,
poiché vi cade di sua volontà. Chi dunque poteva liberarmi,
nella mia miseria, «da questo corpo di morte» se non «la
tua grazia per Gesù Cristo, nostro signore»?
5. E da profondità misteriose una profonda meditazione trasse
e riunì tutta la mia miseria «al cospetto» del mio cuore,
si scatenò un’immane tempesta portando un’immane pioggia di lacrime.
E per scaricarla tutta con i suoi gemiti, mi alzai dal fianco di Alipio
- la solitudine mi appariva più adatta alle esigenze del pianto
- e mi ritirai di quel tanto che impedisse anche alla sua presenza d’essermi
di peso. Ero in questo stato, ed egli se n’accorse: devo forse aver detto
qualcosa da cui si capiva che il suono della mia voce era già carico
di pianto, e in questo stato mi alzai. Egli rimase dove eravamo seduti,
esterrefatto. Non so come io mi gettati a terra sotto un albero di fico
e allentai le briglie delle lacrime, e proruppero i fiumi dei miei occhi,
sacrifico a te accetto, e ti parlai a lungo, se non con queste precise
parole, con questo sentimento: «E tu, Signore, fino a quando? Fino
a quando, Signore t’adirerai sino alla fine? Dimentica le nostre iniquità
d’un tempo». Sentivo infatti che continuavano a trattenermi; lanciavo
grida miserevoli: «Quanto tempo ancora e ancora, domani e domani?
Perché non subito? Perché non farla finita proprio ora con
la mia turpitudine?».
Questo dicevo, e piangevo in tutta l’amarezza del mio cuore contrito.
Ed ecco, odo una voce come di un fanciullo o fanciulla, non so, dalla casa
vicina che cantando diceva e più volte ripeteva: «Prendi,
leggi; prendi, leggi». Subito mutai volto e cercai intensissimamente
di ricordare se non vi fosse qualche gioco infantile in cui si ripetesse
qualcosa di simile a quel ritornello, ma non mi sovvenne d’averlo mai udito
e, soffocato l’impeto delle lacrime, mi alzai interpretando che nient’altro
mi si ordinasse dall’alto se non di aprire il libro e leggere il primo
capoverso in cui m’imbattessi. Così, tutto eccitato, tornai al luogo
in cui sedeva Alipio: lì infatti avevo lasciato il libro dell’Apostolo
quando m’ero alzato. L’afferrai, aprii e lessi in silenzio il primo versetto
su cui caddero i miei occhi: «Non nelle gozzoviglie e nelle ubriacature,
non nelle alcove e nelle lascive, non nella contesa e nell’invidia, ma
rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non prendetevi cura della
carne nelle sue concupiscenze». Oltre, leggere non volli, né
occorreva. Perché con la fine di questa frase, come se la luce della
certezza fosse penetrata nel mio cuore, all’istante tutte le tenebre del
dubbio si dissiparono.
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