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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


VEGLIA PER LA PACE
31 dicembre 1998


 Il nostro impegno per la pace è continuamente insidiato dall’errore di pensare che essa non dipenda da noi, ma esclusivamente o soprattutto da chi governa le nazioni.  Ancora una volta il Messaggio del S.Padre Giovanni Paolo II per la celebrazione della giornata mondiale della pace aiuta a liberarci da questo errore; ci insegna perché la pace dipende in larga misura da ciascuno di noi. Ed è un insegnamento che si fonda direttamente sul cuore di quel Messaggio: “nel rispetto dei diritti umani il segreto della vera pace”. Vorrei allora riflettere con voi brevemente su alcuni «nodi» teoretici e pratici di questa connessione inscindibile fra il rispetto dei diritti fondamentali della persona umana e la pace, e su come questa connessione dipenda anche da ciascuno di noi.

1. Il Messaggio ci richiama al concetto cristiano, che è il concetto più ragionevole, di pace. La pace coincide con l’ordine istituito dell’esercizio della virtù della giustizia. O meglio: la pace presuppone l’ordine istituito dell’esercizio della virtù della giustizia ed è posta in essere, causata dall’amore. La giustizia rimuove ciò che impedisce la pace; la carità la genera. Ascoltiamo il passaggio fondamentale del Messaggio:
“Ecco la convinzione che, in vista della Giornata Mondiale della pace, mi sta a cuore condividere con voi:      ….." (1,3)

 Nel testo vengono chiaramente indicati i due atti costruttivi della pace. L’uno impedisce di seminare “i germi di instabilità, della ribellione e della violenza”: semina che consiste nell’ignoranza o nel disprezzo dei diritti umani e nel porre l’interesse parti-colare sopra il bene comune. L’altro pone precisamente “solidi e durevoli fondamenti all’edificazione della pace”: fare della promozione della dignità della persona umana il principio guida del proprio agire.
 Già l’anno scorso abbiamo riflettuto su questa dimensione della costruzione della pace: la dimensione etica. Cioè: la pace è frutto di un modo giusto di esercitare la propria libertà. In questo senso, essa dipende in larga misura da ciascuno di noi. Nel Messaggio di quest’anno, l’esercizio della libertà è richiamata all’esigenza assoluta e incondizionata di riconoscere (atto dell’intelligenza) e rispettare (atto della volontà retta) i diritti umani. E questo ci introduce in uno degli aspetti più drammatici del nostro tempo. Lo possiamo individuare nel modo seguente.
 Da una parte, sembra essersi costituito un senso etico concreto e comune all’umanità intera; sembra essersi creato nella coscienza morale degli uomini una sorta di universale etico che per la prima volta nella storia dell’umanità  è riuscito ad esprimersi formulando come «un decalogo per cinque miliardi di individui» (A.Cassese).
 Dall’altra parte, non si può negare che questo senso etico comune non è riuscito a produrre storicamente un rispetto vero e proprio dei diritti fondamentali dell’uomo. Sono sotto gli occhi di tutti le tragedie del Kosovo, la deriva cui sembra condannato in larga misura il continente africano, le tre condanne a diversi anni di prigione comminate in Cina dal regime comunista a chi era solo reo di pensarla diversamente dal potere.
 Dunque, questa è la reale condizione in cui versano i diritti umani: irrinunciabili, irrealizzati. Una tale situazione non può lasciare indifferente nessuno, poiché, come vedremo, essa dipende in larga misura da ciascuno di noi.

2. Le soluzioni che sono state trovate per questa situazione contraddittoria sono state molteplici. Ne accenno solo a due.
 Una prima è stata una sempre più ampia produzione, proliferazione di dichiarazioni di diritti: se ne contano, più o meno, circa ottantotto (iniziando a contare dal  Bill of Rights del 1689). La tendenza a questa proliferazione non è da condannare o da sottovalutare: essa, in sostanza, cerca di ovviare alla difficoltà di trovare una difesa reale dei diritti umani, individuandoli con una completezza e precisione sempre maggiore.
 Una seconda è il tentativo, tuttora in atto, di creare un tribunale penale internazionale che sia in grado di sanzionare con pene ogni violazione dei diritti umani. E’ questa una soluzione ben più efficace della precedente. Essa infatti cerca di ovviare ad un limite assai grave che oggi incontra la promozione dei diritti umani: il limite politico. Cioè: oggi l’uomo è normalmente tutelato nei suoi diritti fondamentali dentro lo Stato, che riconosce solitamente costituzionalmente quei diritti. Ma non esiste una garanzia analoga contro lo Stato: una vera cittadinanza cosmopolita non è realizzata. In questo la cultura medioevale era assai più avanzata.
 Ma non è su queste soluzioni giuridico-politiche che vorrei attirare questa sera la vostra attenzione. Il Messaggio pontificio richiama infatti la nostra meditazione su quella che è la causa più profonda dell’irrealizzazione dei diritti umani. E’ la più difficile a rimuovere, ma la cui rimozione dipende veramente da ciascuno di noi. Riascoltiamo il S.Padre:
  “ La storia contemporanea ha evidenziato in modo tragico  il pericolo che deriva dal dimenticare la verità sulla persona umana” (2,2).
Ecco il punto centrale dell’attuale situazione in cui versa la realizzazione dei diritti umani: ha senso parlare di diritti dell’uomo se esiste l’uomo. Se la persona umana ha una sua consistenza meta-storica, ha senso parlare di diritti umani, universali e indivisibili. L’affermazione di diritti umani inviolabili implica come prima e fondamentale condizione che sia fondata la loro trascendenza rispetto ai meri fatti storici: che la persona umana non sia interamente riducibile alla sua storia. Altrimenti parlare di diritti umani diventa una maschera per affermare praticamente colla forza il «proprio utile» sul più debole. Se questa consapevolezza si oscura, l’uomo non sarebbe garantito neppure da un consenso puramente fattuale di tutta la società umana su dichiarazioni universali di diritto.
“Perché è perfettamente concepibile, e in pratica politicamente possibile, che un bel giorno un’umanità altamente organizzata e meccanizzata decida in modo democratico, cioè per maggioranza, che per il tutto è meglio liquidare certe sue parti. Qui, a contatto col reale, ci troviamo di fronte a uno dei più antichi dubbi della filosofia politica, che è potuto rimanere nascosto finchè una solida teologia cristiana ha fornito la cornice per tutti i problemi politici e filosofici, ma che già a Platone aveva fatto dire: «non l’uomo, ma un Dio dev’essere la misura di tutte le cose».
(H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Ed. di Comunità, Milano 1997, pag. 414).

3. Dunque: il fondamento dei diritti umani è la persona umana in ragione della sua peculiare dignità. Vorrei brevemente fermarmi su quest’affermazione centrale. Il nostro contributo all’edificazione della pace non avrà alcuna consistenza se non nasce in noi dalla chiara, acuta, intensa percezione della realtà propria della persona e di ciò che ne costituisce la dignità. Ogni insidia alla chiarezza di questa percezione, ancor più allo stesso sorgere e/o permanere di essa nel nostro spirito, da noi ammessa o tollerata, è un’insidia da noi ammessa o tollerata alla pace. La pace infatti – è questo il nucleo essenziale del Messaggio pontificio – dipende dal rispetto dei diritti umani; e non ha senso parlare di diritti umani se non in una visione vera della persona. E’ il valore intrinseco, inerente alla persona come tale, in quanto valore infinito, che eticamente parlando resiste ad ogni tentativo di ridurre la persona ad essere «parte di un tutto», o «funzione di qualcosa d’altro da sé». Ed è questo valore che fonda  in modo intelligibile i diritti. Per quali ragioni? Quattro sono le ragioni in forza delle quali la persona, e solo la persona, è dotata di diritti inviolabili.
 La prima ragione è costituita dal fatto che la persona è un «soggetto che è in sé e per sé». E’ l’essere in sé, questo stare come entità in se stessa e non come parte di un tutto che la integra, che costituisce la colonna portante di ogni visione vera dell’uomo. Se si pensa alla persona, consapevolmente od inconsapevolmente, come semplice individuo di una specie vivente (umana), come semplice momento dell’intero processo storico, come puro risultato sempre interamente modificabile di forze impersonali o fisiche o sociali, non si è ancora percepito la più semplice verità sull’uomo. E’ a causa dell’essere che è proprio della persona  - essere in sé e per sé -  che esiste un diritto inviolabile alla vita (cfr. 4). Non la vita come tale esige di essere rispettata incondizionatamente: anche la vita di una pianta è vita! E’ la vita della persona che esige un rispetto assoluto: non perché è vita, ma perché è la vita di una persona.
 La seconda ragione che fonda la dignità della persona è la sua capacità di pensare, di volere liberamente, di amare. Attraverso questi atti, infatti, la persona è in grado di trascendere il dato sensibile, di porsi perfino in una relazione con l’Assoluto stesso, di costituire significati. Molte affermazioni del Messaggio pontificio sui diritti umani si comprendono alla luce di questa seconda ragione (cfr. n. 5,6,8).
 La terza ragione che fonda la dignità della persona è la sua moralità: l’agire liberamente bene. E’ la dimensione più sublime della dignità umana poiché solo l’esercizio retto della libertà genera il vero essere personale. Attraverso infatti le tue scelte libere tu configuri nel senso più profondo il tuo volto. La mancanza di questa dimensione della dignità umana è un fatto così grave da giustificare la negazione di fondamentali diritti nell’uomo che ne è privo: si pensi alla perdita della “patria potestà”, della propria libertà colla prigione.
 La quarta ragione che fonda la dignità della persona è la più profonda di tutte, e solo la fede è in grado di scoprire: ogni uomo è chiamato in Cristo a partecipare alla vita divina stessa, a ricevere in dono la divina persona dello Spirito Santo. Chi non vede che, in questa visione, la persona umana ha una dignità divina?
 Tutte e quattro le ragioni devono essere tenute presenti: negarne anche una sola di esse significa esporre concretamente la persona umana ad un rischio continuo di essere violata nella sua dignità e nei suoi diritti fondamentali. Significa cioè mettere a rischio la pace.
 Nella cultura contemporanea e moderna ciascuna delle quattro ragioni suddette è stata progressivamente insidiata ed alla fine negata. E cioè: la progressiva negazione della consistenza reale cioè della sostanzialità del soggetto personale; la riduzione delle capacità spirituali a processi biochimici più perfetti (progressiva scomparsa della distinzione fra l’Umano e l’animale); la riduzione della distinzione fra giusto-ingiusto alla distinzione utile-dannoso  e/o piacevole-spiacevole; la negazione del cristianesimo come religione soprannaturale, come grazia.
 Uno dei segni di questa situazione è il parlare sempre più esteso dei «diritti degli animali». Se le ragioni suddette sono vere, ne segue che è impossibile considerare gli animali come soggetti morali in senso proprio e di conseguenza come soggetti di diritti e, correlativamente, noi soggetti di doveri nei loro confronti. Gli animali non hanno diritti. Il che non significa che noi possiamo comportarci nei loro confronti in un qualunque modo: non esiste nessuna scelta libera che non esiga di essere ragionevole, conforme alla retta ragione.
L’ideologia animalista è una grave insidia alla pace.
Veramente la triste profezia di M.Foucault: “l’uomo è un’invenzione, di cui l’archeologia del nostro pensiero mostra agevolmente la data recente. E forse la fine prossima” (in Le parole e le cose, ed. Rizzoli, Milano 1967, pag. 414) si sta compiutamente realizzando.

 Il compito di costruire la pace è immane poiché esso coincide col compito di ricostruire la verità intera dell’uomo: in noi e fuori di noi.
“Ma rimane altresì vero che ogni fine nella storia contiene necessariamente un nuovo inizio; questo inizio è la promessa, l’unico «messaggio» che la fine possa presentare. L’inizio, prima di diventare avvenimento storico, è la suprema capacità dell’uomo; politicamente si identifica con la libertà umana. «Initium ut esset, creatus est homo», «affinché ci fosse un inizio, è stato creato l’uomo», dice Agostino (De civitate Dei XII, 20). Questo inizio è garantito da ogni nuova nascita; è in verità ogni uomo”.
(H.Arendt, op. cit., pag. 650. In realtà la citazione esatta è: hoc (= initium) ergo ut esset, creatus est homo, ante quem nullus fuit).

L’angelo disse ai pastori: “questo per voi il segno: troverete un bambino”.