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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Terza Veglia di Quaresima
13 marzo 2004

Nel nostro cammino verso la Pasqua questa è una veglia per chiedere al Signore di liberarci da tutto ciò che ci impedisce di essere suoi testimoni nel mondo, missionari del suo Vangelo.

La conversione a Cristo coincide col divenire consapevoli della missione di annunciare ciò che ci è accaduto, come in forma esemplare è avvenuto in S. Paolo.

Poniamoci dunque in ascolto docile della parola di Dio perché vivifichi in ciascuno di noi una vigile coscienza missionaria.

1. "La missione è un problema di fede, è l’indice esatto della nostra fede in Cristo nel suo amore per noi": ci ha detto il S. Padre Giovanni Paolo II nella seconda lettura. Ecco questo è il punto centrale. L’essere missionari non è un obbligo che noi di assumiamo divenendo cristiani, ma è più profondamente un’esigenza intrinseca al nostro rapporto di fede con Cristo.

Quando per la prima volta nella storia due cristiani, Pietro e Giovanni, furono richiesti di dare ragione della loro pubblica testimonianza che stavano rendendo a Cristo sulle piazze di Gerusalemme, essi semplicemente risposero: "noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto ed ascoltato" [cfr. At 4,18-19]. Non possiamo tacere: quando un uomo si trova in questa condizione di "non poter tacere"? quando ha vissuto un’esperienza, quando nella sua vita è accaduto un avvenimento di una tale bellezza e grandezza da non poterlo non condividere con gli altri. Nel cuore dell’uomo che sente di "non poter tacere quello che ha visto ed ascoltato" si intrecciano due sentimenti: un immenso stupore di fronte ala bellezza dell’incontro fatto; l’amore verso ogni uomo che non piò essere privato di quell’incontro. Ed infatti molto più avanti negli anni, lo stesso Giovanni narrerà la stessa esperienza: "ciò che era fin dal principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la Vita si è fatta visibile…) noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con voi" [1Gv 1,1-3].

Se noi scorriamo le pagine del Vangelo, possiamo costatare che ogni persona incontrata in senso vero e proprio da Cristo, sente il bisogno di narrare agli altri quanto gli è accaduto. Così Andrea con suo fratello Pietro, così Filippo col suo amico Bartolomeo, così la samaritana coi suoi concittadini, così tutti i miracolati nonostante che Cristo imponesse loro il silenzio: "noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto ed ascoltato".

Ma perché quell’incontro, fra i mille incontri anche significativi che compongono la vita di una persona, perché proprio quello non può non essere narrato agli altri? La risposta l’abbiamo ascoltata dal S. Padre nella seconda lettura: perché "in lui, soltanto in lui siamo liberati da ogni alienazione e smarrimento, dalla schiavitù al potere del peccato e della morte. Cristo è veramente "la nostra pace" (Ef 2,14), e "l’amore ci spinge" (2Cor 5,14), dando senso e gioia alla nostra vita".

Nell’incontro con Cristo l’uomo comprende ed esperimenta che Egli è l’unica risposta vera ad ogni domanda dell’uomo.

Alla luce di questa riflessione possiamo individuare le insidie alla coscienza missionaria di un cristiano; possiamo sapere che cosa spegne nel cristiano il bisogno di testimoniare Cristo.

2. La coscienza missionaria si oscura fino a scomparire, quando nella nostra vita non è mai accaduto l’incontro colla persona vivente di Cristo. Perché questo è la fede cristiana! Se scambiamo il cristianesimo con qualcosa di diverso da questo avvenimento, anche se il "qualcosa di diverso" è degno di ogni rispetto, non abbiamo più nulla da narrare, da testimoniare. Al massimo, avremo un insegnamento da trasmettere o una morale da osservare.

Ma esiste anche una seconda e non meno grave insidia alla coscienza missionaria del fedele.

La grande evangelizzazione del mondo occidentale fatta dagli Apostoli nasceva da una certezza: la fede cristiana poteva/doveva essere annunciata ad ogni uomo semplicemente perché è vera. Quando l’Apostolo Paolo lasciò l’Asia per portarsi a Filippi in conseguenza di una visione avuta in sogno, compì un gesto che rivoluzionò il corso della storia perché vi introdusse un fatto assolutamente nuovo: la missione cristiana. Il fatto cioè che esiste una risposta adeguata alla domanda di senso propria di ogni uomo, sotto qualsiasi cielo, condizione e latitudine si trovi: risposta adeguata perché vera. Se nel cristiano si estingue la consapevolezza della verità della propria fede, non ha più senso parlare di missione.

Carissimi fedeli, il particolare legame di fraternità con la Chiesa di Dio che in Iringa è un dono che ci è stato fatto. Esso tiene viva in noi la dimensione missionaria della nostra vita cristiana, e ci consente di condividere il nostro tesoro più prezioso: la fede in Cristo.