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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


VEGLIA PER LA PACE
S.Giorgio
31 dicembre 2001

Questo è un momento di preghiera e di riflessione. Anche di riflessione, per orientarci intelligentemente dentro ad una situazione sempre più drammatica e complessa. Ed anche quest’anno vogliamo farci guidare dal Messaggio del S. Padre: "Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono". La pace cioè poggia su due pilastri: la giustizia e il perdono. Solo uomini giusti e misericordiosi sono capaci di operare per la pace. E’ questa l’idea di fondo sulla quale dobbiamo meditare.

Ma forse è necessario che ci liberiamo subito da due equivoci che possono seriamente disturbare questo momento di riflessione. Il primo è quello di ritenere che la pace non dipenda anche da noi. E’ l’equivoco di chi pensa che la pace sia il risultato dello sforzo solo di alcuni. Il secondo è che non sia necessario anche il pensare con verità sul tema della pace. E’ il grave pericolo che ci accontentiamo di vaghe ed ovvie enunciazioni che per la loro genericità non sono in grado di orientare il nostro giudizio e il nostro operare, col rischio di essere dentro la storia in modo non intelligente.

1. Il rapporto fra la pace e la giustizia non è difficile da capire: "Da oltre quindici secoli" scrive il S. Padre, "nella Chiesa cattolica risuona l’insegnamento di Agostino di Ippona, il quale ci ha ricordato che la pace, a cui mira con l’apporto di tutti, consiste nella tranquillitas ordinis, nella tranquillità dell’ordine (cfr. De civitate Dei, 19.13)".

Ma, sempre per liberarci dalla servitù delle ovvietà, è importante che meditiamo su almeno due passaggi del Messaggio pontificio assai importanti.

Il primo è costituito da una citazione del Concilio Vaticano II, che recita: la pace "è frutto dell’ordine immesso nella società umana dal suo Fondatore" [Gaudium et spes 78]. La società umana, la modalità con cui gli uomini possono convivere non sono interamente frutto delle loro convenzioni, come se nel patto sociale tutto fosse sottoposto alla contrattazione. L’ordine immesso nella società umana dal suo Fondatore denota l’esistenza di esigenze inscritte nella natura stessa della persona umana in quanto essere sociale, e che quindi sono irrinunciabili. Queste esigenze sono solitamente oggi chiamate "diritti fondamentali della persona umana". Non esiste solo una giustizia procedurale secondo la quale è giusto ciò che è stato stabilito secondo le cosiddette "regole del gioco". Esiste anche una giustizia sostanziale secondo la quale è giusto ciò che è semplicemente bene: ciò che costituisce il bene della persona umana. Per esemplificare: la legge che consente in Italia l’aborto è formalmente giusta. Essa però è sostanzialmente ingiusta perché nega il bene fondamentale di ogni persona umana: il bene della vita. La separazione totale del giusto dal bene è una permanente minaccia alla pace perché è una permanente insidia al riconoscimento di quell’ordine immesso nella società umana dal suo Fondatore, il cui frutto è la pace.

Da ciò deriva una conseguenza operativa assai importante e che riguarda ciascuno di noi, soprattutto se investiti di responsabilità educative. Proviamo a porci la seguente domanda, seriamente: "che cosa è capace di opporsi veramente alla violenza, anzi in un qualche modo di estinguerla alla sua sorgente stessa?". Proviamo a rispondere con grande serietà: è forse una forza maggiore di chi fa violenza: violenza contro violenza? Oppure una permanente ricerca di compromessi indipendentemente dai costi morali di essi? Sono sicuro che nel vostro cuore nessuno consente a queste risposte: sono false. Che cosa allora?

L’unica vera forza che può immunizzare la convivenza umana, ogni convivenza umana, da quella coniugale a quella internazionale, è la consapevolezza che esiste una verità sull’uomo dalla cui libera sottomissione dipende esclusivamente quella pace che è "il frutto dell’ordine immesso nella società umana dal suo Fondatore". La terribile esperienza storica del ventesimo secolo ha dimostrato con i suoi milioni di vittime del nazismo e del comunismo il legame inseparabile tra il rispetto per la verità e il rispetto per se stessi: per la propria identità di persona e la propria libertà. Quando nella Polonia degli anni ottanta iniziò quel movimento che portò infine al crollo del muro di Berlino, si disse: "perché la Polonia sia la Polonia, 2+2 deve sempre fare quattro"!

Il grande impegno per la pace come frutto della giustizia esige un grande impegno per riaffermare che "2+2 devono sempre fare quattro" quando si tratta dell’uomo. E’ grave la responsabilità di chi educa ad un relativismo totale! Fondare la pace sulla giustizia, come sempre la tradizione cristiana ha fatto, è un atto che impegna profondamente l’uomo a sottomettersi solo alla verità.

Non possiamo però nascondere una grave difficoltà che può sorgere dentro di noi e sulla quale il S. Padre ci invita a riflettere nel suo Messaggio [cfr. soprattutto n° 6] quando affronta il tema del terrorismo.

Formulata in termini brutali la difficoltà è la seguente: è precisamente il convincimento di essere in possesso della verità che genera violenza e quindi ingiustizia. Ascoltiamo quello che scrive il S. Padre: "La verità, invece, anche quando la si è raggiunta – e ciò avviene sempre in modo limitato e perfettibile – non può mai essere imposta. Il rispetto della coscienza altrui, nella quale si riflette l’immagine stessa di Dio (cfr Gn 1,27-27), consente solo di proporre la verità all’altro, al quale spetta poi di responsabilmente accoglierla. Pretendere di imporre ad altri con la violenza quella che si ritiene essere la verità, significa violare la dignità dell’essere umano e, in definitiva, fare oltraggio a Dio, di cui egli è immagine. Per questo il fanatismo fondamentalista è un atteggiamento radicalmente contrario alla fede in Dio. A ben guardare il terrorismo strumentalizza non solo l’uomo, ma anche Dio, finendo per farne un idolo di cui si serve per i propri scopi" [n° 6].

2. E vengo ora al secondo passaggio del testo pontificio: "… non c’è giustizia senza perdono". E’ forse il passaggio più nuovo, sul quale è necessario soffermarci.

"L’esperienza del passato e del nostro tempo dimostra che la giustizia da sola non basta e che, anzi, può condurre alla negazione, all’annientamento di se stessa, se non si consente a quella forza profonda, che è l’amore, di plasmare la vita umana nelle sue varie dimensioni" [Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Dives in misericordia 12,3; EV 8/175].

Donde viene all’esercizio della virtù della giustizia questa permanente insidia o rischio a negare se stessa? Nell’esercizio di questa virtù può sempre insinuarsi il rancore, l’odio e perfino la crudeltà. C’è sempre la possibilità di andare ben oltre a ciò che la giustizia esige: l’uguaglianza. Da ciò deriva che "il mondo degli uomini potrà diventare sempre più umano, solo quando in tutti i rapporti reciproci, che plasmano il suo volto morale, introdurremo il momento del perdono… un mondo, da cui si eliminasse il perdono, sarebbe soltanto un mondo di giustizia fredda e irrispettosa" [ibid. 14,7; ibid. 193].

Già S. Agostino aveva scritto: "bisogna usare molti accorgimenti, ricorrendo anche al castigo dei riottosi, con un’asprezza per così dire benigna: si deve badare alla loro utilità più che alla loro volontà. Fu questa saggezza che gli scrittori romani elogiarono con somma eloquenza nel capo dello Stato… Se quindi lo Stato terreno osservasse i precetti di Cristo, neppure le guerre stesse si farebbero senza quella benevolenza, in modo che si provvederebbe più facilmente ai vinti in vista d’una società pacificata nell’amore e nella giustizia" [Lett. 138-2,14: NBA XXI, pag. 165-167].

Il perdono è in primo luogo un’attitudine personale, ma essa deve anche esprimersi socialmente: come? Forse non si è ancora voluto dare una risposta seria a questa domanda.

Noi siamo qui questa sera per essere illuminati ed aiutati dal Signore ad essere "strumenti di pace": la pace che è frutto della giustizia; una giustizia che può essere difesa e realizzata dentro ad un’attitudine di perdono.

Conclusione

Mi piace concludere con una riflessione di Chiara Lubich: "Certo, per chiunque si accinga oggi a spostare le montagne dell’odio e della violenza, il compito è immane e pesante. Ma ciò che è impossibile a milioni di uomini isolati e divisi, pare diventi possibile a gente che ha fatto dell’amore scambievole, della comprensione reciproca, il movente essenziale della propria vita" [La dottrina spirituale, ed. Mondadori, Milano 2001, pag. 55]. E questo perché? perché dove sono due o tre riuniti nel suo nome lì c’è Cristo: la persona di Cristo dentro alla nostra storia è la nostra pace.