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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


"TRE GIORNI DEL CLERO"
Introduzione generale
Seminario, 11 settembre 2006


La mia riflessione ha un carattere introduttivo alla riflessione ed al lavoro di domani. Vuole semplicemente indicarne il contesto e le linee fondamentali. E lo farò rispondendo ad una serie di domande.

1. Perché questo lavoro?

È necessario che fin dall’inizio ci poniamo nella prospettiva giusta, che è quella teologica.

L’avvenimento cristiano suscita un inesauribile stupore. Lo stupore che proviamo di fronte ad ogni realtà che ci si mostra al contempo imprevista ed imprevedibile e perfettamente corrispondente ai desideri più profondi del cuore. E l’avvenimento cristiano è semplicemente narrato così da Giovanni: "e il Verbo si fece carne e venne ad abitare fra noi" [Gv 1, ], e da S. Paolo nel modo seguente: "factum ex muliere" [Gal 4, ]. Ciò che non finisce mai di stupire è quel "si fece carne", è quel "factum ex muliere". Il S. Padre Benedetto XVI ha iniziato la sua prima enciclica dicendo che l’inizio dell’esistenza cristiana coincide con un incontro, non con una conversione morale né con un’idea. Fonte di stupore per chi crede, ma vera pietra di scandalo per ogni gnostico di ieri e di oggi: "la brutta positività" di cui parlava Hegel. È scandaloso che Dio incontri l’uomo nell’umiltà e nella fragilità di carne ed ossa di un corpo umano "factum ex muliere".

L’avvenimento cristiano oggi continua nella Chiesa: oggi è la Chiesa. Ed in verità di fronte ad essa chi crede, prova lo stesso stupito rapimento. Tesoro in un vaso d’argilla, vita divina – la stessa vita di cui vive la Trinità santa ed indivisibile – che si diffonde mediante uomini: questo è il mistero della Chiesa, sacramento della continuata presenza di Cristo dentro la nostra quotidianità. La Chiesa è una realtà divino-umana.

Domani rifletteremo su problemi che chiedono soluzioni anche necessariamente istituzionali. Non dovremmo mai dimenticare le verità espressa molto bene da P. Evdokimov quando scrive: "L’essenziale è non opporre e non separare questi due aspetti della medesima grazia, che sono complementari. L’istituzione ha le sue radici profonde nella sorgente traboccante dello Spirito, e l’evento si opera soltanto nel quadro dell’istituzione ecclesiale" [L’Ortodossia, ed. Il Mulino, Bologna 1981, pag. 186].

Ho voluto premettere questa riflessione perché indica il principio e il fondamento del nostro lavoro in questi giorni. La visione teologica del mistero della Chiesa è come una specie di mappa fondamentale, la carta geografica sulla quale noi camminiamo in questi giorni, il "basso continuo" che accompagna ogni nostro discorso. Riprendo dunque la riflessione.

L’evento cristiano non può non porsi, realizzarsi in un territorio poiché questa è la condizione umana, e pertanto il mistero della Chiesa incontra l’uomo normalmente in un territorio. È per questo che "di regola la porzione del popolo di Dio che costituisce una diocesi o un’altra Chiesa particolare" è "circoscritta da un determinato territorio, in modo da comprendere tutti i fedeli che abitano in quel territorio" [C.J.C. can. 372§1], e ogni diocesi o altra Chiesa particolare deve essere divisa in parti distinte, innanzitutto le parrocchie [cfr. can. 374§1]. Nella Chiesa particolare che è la Diocesi, è veramente presente e operante la Chiesa di Cristo una, santa, cattolica e apostolica; è nelle e dalle Chiese particolari che sussiste la sola ed unica Chiesa cattolica [cfr. Cost. dogm. Lumen gentium 23,1].

Fermiamoci un momento a pensare. Tutto, assolutamente tutto ciò che è il Mistero della Chiesa, di cui sopra ho balbettato qualcosa, è veramente presente ed operante in questa Chiesa di Dio che è in Bologna: la sua [della Chiesa] unità, santità, cattolicità ed apostolicità. È presente in mezzo a noi Cristo stesso, il Signore crocifisso risorto che ci dona il suo Spirito; e tutto questo è dentro alla nostra quotidianità. Ma ora riprendiamo ancora la riflessione, richiamando alcuni presupposti del nostro lavoro.

Primo presupposto: poiché è la Diocesi la Chiesa particolare nella quale è presente ed operante la Chiesa di Cristo, la parrocchia resta l’istituzione fondamentale, il luogo imprescindibile mediante il quale e nel quale accade l’incontro con Cristo e l’educazione nella fede. Pensare la missione della Chiesa particolare prescindendo o negando questo presupposto, è camminare fuori strada.

Secondo presupposto: lo Spirito del Risorto ha suscitato nella Chiesa lungo i secoli "carismi fondazionali" che hanno indicato e proposto forme varie di vita cristiana. Si pensi al monachesimo ed alla sua origine; agli istituti di vita consacrata. Si pensi ai movimenti ecclesiali. Come di fronte ad ogni dono dello Spirito, la prima e fondamentale attitudine è quella della grata accoglienza: non della paura, del sospetto o addirittura del rifiuto.

Terzo presupposto: le attuali condizioni civili ed ecclesiali hanno mostrato che la singola parrocchia normalmente non è più auto-sufficiente. Si faccia bene attenzione ad ogni parola. Questo terzo presupposto non afferma il superameno dell’istituzione parrocchiale dovuto alle attuali condizioni: sarebbe in contraddizione col primo presupposto. Non afferma neppure l’insufficienza dell’istituto parrocchiale. Dice semplicemente che normalmente, oggi, pensare ogni singola parrocchia in se stessa e per se stessa autosufficiente in ordine alla missione della Chiesa particolare, è porsi fuori dalla realtà.

Da questi tre presupposti e tenendo conto della riflessione iniziale, possiamo dare la prima risposta alla nostra domanda: durante questi giorni dobbiamo condividere riflessioni, progetti ed eventualmente proposte perché la Chiesa di Cristo operante nella Chiesa che è in Bologna sia istituzionalmente sempre più adeguata alla sua missione.

Vorrei ora elaborare la risposta alla stessa domanda partendo da un altro punto di vista non meno importante: dal punto di vista del ministero sacerdotale.

Partiamo da alcuni fatti. Non c’è dubbio che la progressiva diminuzione del numero dei sacerdoti e il correlativo aumento dell’indice medio della loro età ha comportato un aumento del "carico pastorale". Non è necessario esemplificare.

Inoltre, nessuno di noi vive in un casa senza porte e senza finestre ed inevitabilmente lo "spirito oggettivo" del tempo su cui viviamo entra nella costituzione della nostra identità o quanto meno della nostra condizione esistenziale. È un’esistenza – quella della persona, oggi – che fa sempre più fatica a trovare una sua unità interna, e quindi una sua armonia, e quindi una pace del cuore vera e forte. La conseguenza non rara di questo "spirito oggettivo" del tempo è il turbamento psichico.

Inoltre – e questo ci riguarda più direttamente – l’annuncio del Vangelo oggi deve confrontarsi con sfide culturali inedite. Esso ha affrontato il paganesimo, l’ateismo organizzato, l’uno e/o l’altro persecutorio. Forse è la prima volta che ha a che fare con la sfida della "insignificanza"; e/o del rifiuto del confronto veritativo; e/o dell’equiparazione relativistica. Può accadere che il pastore viva quotidianamente l’esperienza di una incapacità culturale a far fronte a queste sfide, trovando dolorosa conferma di questo nel fatto che nel momento in cui la persona "entra nella vita", esce dalla Chiesa [= percentuale di abbandono nel dopo-cresima; progressivo aumento dei matrimoni civili; diminuzione delle vocazioni di speciale consacrazione].

Queste tre constatazioni non sono, non vogliono essere la fotografia della vita e del ministero del sacerdote oggi. Mettono solo in luce qualche causa che può essere sorgente di condizioni psicologiche e/o spirituali problematiche. Ciò premesso, vorrei ora richiamare alcuni presupposti, come ho fatto prima, e così giungere a dare una risposta più completa alla nostra prima domanda.

Primo presupposto: esiste una coincidenza perfetta nel sacerdote fra la propria auto-coscienza e la propria missione sacerdotale.

La coscienza che il sacerdote ha di se stesso deve essere piena fino all’orlo, se così posso dire, della propria missione sacerdotale. Questa coincidenza è costituita, realizzata dalla carità pastorale, vera chiave interpretativa di tutta l’esistenza sacerdotale. Come è vero infatti della persona umana come tale, che cioè essa non può ritrovare se stessa se non nel dono sincero di se stessa [cfr. Cost. past. Gaudium et spes 24,3; EV 1/1395], così è vero del sacerdote che non può ritrovare se stesso, realizzare se stesso se non donando se stesso nella "forma amoris" che gli è propria, la carità pastorale.

Secondo presupposto: donare se stessi significa, o meglio implica sempre un’auto-espropriazione. È come il concavo ed il convesso della stessa figura: l’uno non è senza l’altro. Occorre perciò distinguere una prassi, un impegno anche immenso che non nasce dalla carità pastorale da una prassi, un impegno che è espressione della medesima ["se mi ami, pasci le mie pecorelle"; probatio amoris exhibitio operis (S. Gregorio M.)].

Il primo stanca non solo fisicamente e/o psichicamente, ma anche spiritualmente; e genera non raramente amarezza e scontento.

Il secondo stanca fisicamente ed anche non raramente psicologicamente [di qui la necessità, oggi più di ieri, del riposo], ma rinnova continuamente l’energia dello spirito. Tutte le stanchezze di ogni genere è come se si deponessero su un fondo di pace e di abbandono, generato nel cuore da una profonda carità. È in essa e con essa che il sacerdote sente riversate su di lui da Cristo addirittura tutte le necessità della Chiesa particolare al cui servizio ha posto se stesso. Strano, ma così è accaduto: chi ha insegnato tutto questo alla Chiesa moderna sono state soprattutto due carmelitane scalze, Teresa d’Avila e Teresa di Lisieux [la patrona dei missionari!].

Siamo ora in grado di rispondere alla prima domanda: perché il lavoro di questi giorni? Per condividere riflessioni, progetti ed eventualmente proposte perché la Chiesa di Dio in Bologna ed in modo speciale i presbiteri in essa, sia istituzionalmente sempre più adeguata a compiere la sua missione.

Nessuno di noi vuole "lavorare" di meno per l’edificazione della Chiesa. Desideriamo tutti "lavorare" bene. Non è la quantità del "lavoro ministeriale" che attira la nostra attenzione in questi giorni, ma la sua qualità umana e cristiana. Cioè la sua capacità a farci ritrovare noi stessi nel dono sincero di se stessi.

2. Che cosa dobbiamo fare in questi giorni?

Dobbiamo ora avere chiaro l’obiettivo che a Dio piacendo ci proponiamo in questi giorni, iniziando col dire che cosa non ci proponiamo.

Non è una riflessione che tenda ad una "programmazione pastorale". Che cosa pensi delle programmazioni pastorali l’ho detto all’inizio della mia Nota pastorale dello scorso anno. Né ora mi ripeto. Mi sia tuttavia consentito una sottolineatura o se volete un … pro-memoria.

L’incontro con Cristo è un incontro personale [che non è sinonimo di individuale] e l’atto redentivo transita normalmente attraverso un rapporto interpersonale. Ignazio di Loyola dava gli esercizi spirituali solo ad una persona per volta. Una di queste fu Francesco Saverio, uno dei più grandi missionari di tutti i tempi. È uno degli errori antropologici più gravi confondere "persona" con "individuo". Ci sono giovani che pregano [?] solo se assieme con altri: non sono capaci di preghiera personale. Dobbiamo fortemente recuperare la prassi autentica della vera direzione spirituale, ed essere convinti che essa è espressione preziosissima del nostro ministero. In ogni caso quest’anno non siamo qui per fare programmazioni pastorali.

Cerchiamo ora di dire positivamente che cosa dobbiamo fare in questi giorni. La nostra è una riflessione che ha per oggetto una dimensione istituzionale della nostra Chiesa particolare.

Tenendo conto di quanto ho detto nella prima parte del paragrafo precedente, la nostra è una riflessione – se così posso dire – sul modo con cui istituzionalmente la nostra Chiesa particolare è presente nel territorio che la circoscrive. Ancora più concretamente: sulla presenza nel territorio mediante la modalità parrocchiale.

La nostra riflessione a fatta alla luce di due criteri, di cui il primo è inclusivo del secondo.

Il primo criterio e luce che deve illuminare la nostra riflessione è la missione della Chiesa. Più concretamente: la salvezza della persona. Salus animarum suprema lex in Ecclesia, dicevano i canonisti medioevali. Ogni proposta fatta deve sottoporsi all’esame e passare … indenne attraverso la seguente prova: giova alla salvezza della persona? Nella Chiesa non esiste altra verifica, alla fine.

Il secondo criterio è incluso nel primo. È ciò che chiamavo la qualità del nostro ministero sacerdotale, nel senso che ho già spiegato. Le proposte devono essere tali da rendere possibile una sempre più profonda qualificazione spirituale [nel senso biblico del termine] del nostro ministero in quanto è attraverso esso che l’atto redentivo di Cristo raggiunge l’uomo. Ogni proposta fatta deve sottoporsi all’esame e passare … indenne attraverso la seguente prova: promuove la qualificazione spirituale del nostro ministero?

Che cosa può disturbare la nostra riflessione, oscurando questi criteri?

In primo luogo assumere come referenti fenomeni contingenti. Noi non conduciamo questa riflessione perché …c’è stato un calo di vocazioni sacerdotali per cui si cerca in un modo o nell’altro di correre ai ripari.

Non c’è dubbio che il problema delle vocazioni sacerdotali sia di drammatica centralità e vada ormai affrontato con tutta la serietà dovuta. Ciò che stiamo facendo in questi giorni non è però risposta a questo problema.

In secondo luogo disturba la nostra riflessione, assumere il criterio organizzativo come referente fondamentale. Riprendo un tema che ho già accennato e che mi sta molto a cuore. La salvaguardia e la promozione del rapporto personale è esigenza intrinseca al ministero apostolico. Una delle più suggestive e potenti metafore bibliche per narrare la vita è, come è noto, quello della paternità/maternità. S. Paolo vi ricorre più di una volta. Ed è sempre esigenza intrinseca alla natura della persona umana, come tutte le grandi visioni antropologiche [anche pre-cristiane] hanno mostrato. È l’esigenza "di costruire la propria identità sia a partire dall’imitazione di modelli forti che affascinano per un quid di inimitabile e sublime che essi incarnano sia – ma l’una cosa non esclude l’altra – lasciandosi guidare da un consigliere esperto che aiuti a individuare la propria meta e fornisca gli strumenti necessari per orientarsi e non perdersi in quel viaggio particolare che è la propria salvezza" [G. Filoramo, Storia della direzione spirituale, I L’età antica, Morcelliana, Brescia 2006, pag. 4]. Faccio un esempio per spiegarmi meglio. Supponiamo che tutto considerato attentamente sia opportuno che la proposta cristiana ai giovani di un determinato territorio sia fatta a un livello interparrocchiale. È assolutamente necessario che una tale proposta non renda più difficile o perfino impossibile un rapporto personale del giovane che lo chiede col sacerdote. Se così non fosse, se non avessimo avuto quest’attenzione, né il criterio della salus animarum né il criterio della qualificazione spirituale del nostro ministero sarebbero stati guida nella nostra riflessione. Avremmo assunto il criterio organizzativo come referente fondamentale.

In terzo luogo la nostra riflessione sarebbe disturbata se non ci immunizzassimo dall’insidia dell’instabilità. Mi spiego. Tutti, credenti e non, i più profondi diagnostici della nostra situazione attuale sono concordi nel dire che una delle cause principali del malessere di cui soffriamo è la mancanza di "stabilità" [Zaugmann, Finkelkraut, Donati …]; è quella sorta di instabilità oggettiva che priva di fondamento il vivere umano. Dobbiamo essere consapevoli che le decisioni istituzionali della Chiesa devono essere prese a lungo termine. Essa accompagna il pellegrinaggio dell’uomo lungo i secoli. Possono certo esserci "proposte leggere", ma anche più forti.

Quale sia concretamente il contenuto delle vostre riflessioni è già indicato in maniera precisa nel documento di lavoro che vi verrà poi consegnato. Non è il caso di ripetere.

Conclusione

La problematica che ci vede impegnati in questi tre giorni è importante, ma si colloca sul piano – se così posso dire – dei mezzi; meglio sul piano delle realtà "quae sunt ad finem" direbbe Tommaso.

Non perdiamo mai di vista che la gioia e l’impegno di fondo è "predicare il Vangelo di Cristo", è rigenerare in Cristo l’uomo. Se noi stiamo concentrando la nostra attenzione alla problematica di questi giorni, lo facciamo senza distogliere il nostro sguardo, neppure per un istante, dalla missione di evangelizzare.

Il fatto che il nostro anno pastorale sarà l’anno del Congresso Eucaristico Diocesano è anche da questo punto di vista provvidenziale. Risuonerà sempre nel cuore della nostra Chiesa la parola apostolica: "se uno è in Cristo, è una nuova creatura".