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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Solenne "Te Deum" di ringraziamento a fine d’anno
Basilica di S. Petronio, 31dicembre 2007


1. Miei cari fratelli e sorelle, la vostra presenza tanto numerosa in questa basilica, gloria e gioia del popolo bolognese, dice che la sera ultima dell’anno induce a pensieri solenni, e non solo a vacui divertimenti. Da domani non cambia solo una cifra nelle date: al posto del 7 scriveremo 8. Cambiamo anche noi: ci inoltriamo ancora di più nel cammino della nostra vita, segnato anch’esso e numerato da anni.

Ed allora nascono in noi tante domande, questa sera. La prima è inevitabile in un certo senso: questo susseguirsi di anni ha avuto un principio oppure è un movimento circolare che gira sempre su se stesso? Il nostro modo di datare contiene già la risposta a questa grande domanda. Esso ci ricorda che il susseguirsi degli anni ha avuto il suo principio in quella Nascita nella quale il Padre ci ha donato il suo Figlio unigenito; nella quale "il Verbo si fece carne e venne ad abitare fra noi"; nella quale Dio si è fatto uomo. E lo è diventato "… perché ricevessimo l’adozione a figli". Cioè, perché l’uomo fosse elevato a suprema dignità. È stata quella nascita che ha detto all’uomo la sua verità piena, quale fosse la grandezza ed il mistero della sua umanità. Il figlio di Dio facendosi uomo ha pronunciato colla sua nascita la più grande ed indistruttibile verità sull’uomo: "… perché ricevessimo l’adozione a figli".

Ma l’uomo ha saputo custodire sempre la consapevolezza della sua vera dignità? Ha saputo costruire la società a misura della dignità di ogni persona? l’organizzazione del lavoro, i rapporti fra l’uomo e la donna, l’amministrazione della giustizia? Già il nostro modo di misurare il tempo ci ricorda che esiste un Inizio, un Principio. Se di questo Inizio e Principio perdiamo la consapevolezza, rischiamo di perdere la vera misura della dignità dell’uomo. Di non essere più capaci di dire all’uomo la verità sull’uomo.

Custodire la coscienza di quell’Inizio è fondamentale, perché l’uomo non perda mai quella capacità di stupirsi di fronte a se stesso, nata nella notte in cui dei poveri pastori videro l’amore di Dio per l’uomo.

2. Ma la consapevolezza del passare degli anni, vissuta più esplicitamente questa sera, genera in noi anche una seconda domanda, speculare alla prima: questo susseguirsi di anni ha una meta a cui è orientato, una pienezza a cui è diretto ed in cui terminerà? La sera dell’ultimo giorno dell’anno ci svela se siamo uomini e donne capaci ancora di sperare o se siamo rassegnati a vivere in questo mondo senza speranza.

Infatti la misura delle nostre speranze è determinata dalla coscienza della nostra dignità: l’uomo ha diritto di sperare tanto quanto è grande la sua dignità. Se egli "non sbaglia a riconoscersi superiore alle cose temporali e a considerarsi più di una semplice particella della natura o un elemento anonimo della città umana" [Cost. past. Gaudium et spes 14,2; EV1/1364], allora ha il diritto di sperare che non lo attende il nulla eterno. Se in quanto dotato di un’anima spirituale ed immortale, l’uomo "sporge" sul fluire del tempo e trascende l’intero universo, non può forse attendere una "beata speranza"?

È a questa attesa dell’uomo che Dio ha risposto venendo a vivere la nostra vita mortale per farci dono della sua vita eterna. La nostra speranza quindi non è priva di fondamento, perché si appoggia su un fatto che accaduto dentro al tempo lo eccede: è l’avvenimento della nascita del Verbo-Dio da una donna.

Il nostro desiderio però è in grado di aprirsi all’infinito, solamente se allarghiamo la nostra ragione oltre i confini della conoscenza empirica. Se la chiudiamo dentro gli spazi del verificabile, anche il nostro desiderio non andrà oltre a ciò che è transeunte ed effimero. Questa decapitazione del desiderio è la radice della nostra infelicità, poiché "ciò che l’uomo cerca nei piaceri è un infinito e nessuno rinuncerebbe mai alla speranza di conseguire questa infinità" [C. Pavese].

Miei cari amici, la nascita di Gesù segna la pienezza del tempo, poiché Lui è la via che conduce l’uomo verso la meta desiderata, la pienezza della vita, che è Lui stesso. Egli non è un grande maestro di morale: è la via che conduce l’uomo alla Vita. È la risposta reale e piena al desiderio più profondo di ogni uomo.

3. Siamo forse portati fuori dalla realtà presente? Proponiamo forse un disimpegno nel presente? Al contrario. Se noi ci orientiamo verso il futuro, è perché mediante la fede già nel presente possiamo vivere ciò che speriamo e pregustare già ora ciò che ci attende. L’augurio che questa sera noi ci scambiamo quindi non è un vuoto formalismo, perché nasce dalla certezza che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio e sono stati da Lui visitati.

Ed è sulla base della speranza cristiana che la nostra città può rifiorire. E di questa fioritura ogni uomo, anche non credente, può essere responsabile. Purché prenda sul serio il proprio desiderio e la propria aspirazione, e li condivida. Che cosa infatti è più attraente una società, una città nella quale ciascuno "non sappia andare di un passo oltre se stesso" oppure una società, una città nella quale il destino di ciascuno sia condiviso da ciascuno? Nel Natale Dio ha dato la sua risposta. Questa sera è la sera della speranza: non di una speranza vaga ed illusoria, perché è "ancorata" nel Dio fatto uomo, roccia della nostra salvezza.

È a causa di uomini e donne ricolmi di speranza, che la nostra città possiede ancora la capacità di costruire il suo futuro, non di subirlo.

Lo dimostra il fatto che esistono nelle nostre scuole uomini e donne che si appassionano al destino dei nostri giovani.

Lo dimostra il fatto che ogni mattina tanti uomini e donne, nonostante tutto, ricominciamo il loro lavoro, perché la nostra città possa vivere una vita buona.

La nostra forza è la nostra speranza, ugualmente contraria alla cecità dell’ottimismo e alla pigrizia del pessimismo.

La speranza cristiana ci fa signori del tempo non già negandolo, ma donandogli tutto il suo senso. Ci libera dal nostro male più grave, "l’amnesia dell’eterno" [Ch. Peguy], perché si fonda sul mistero del Natale: l’Eterno nel tempo.