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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


INCONTRO ALL’ARCISPEDALE S. ANNA
Presentazione dello Stabat Mater di Pergolesi
Ferrara, 19 marzo 1998


Questa sera la Grande Missione raggiunge il suo momento più intenso: essa viene a collocarsi dentro all’enigma più difficile da risolvere, l’enigma (della sofferenza) della malattia. Essa, la Grande Missione, vuole essere un incontro dell’uomo con Cristo: dell’uomo vero, dell’uomo nella carne ed ossa della sua vita quotidiana. Da questo uomo la sofferenza sembra essere inseparabile. E’ questo uno dei luoghi in cui quindi il volto umano ci si svela in tutta la sua misteriosa verità. La Chiesa che è nata dall’immane sofferenza del Dio crocefisso, non può sfuggire allora dall’incontro con l’uomo che soffre: deve cercare questo incontro. Tuttavia nello stesso tempo è un incontro che intimidisce. Se da una parte sento il dovere del cuore di parlare, dall’altra lo faccio “con timore e tremore”. Ho la coscienza di toccare ciò che nell’uomo sembra più intangibile: il mistero della sua sofferenza.

1. L’uomo che si trova ad essere colpito dalla malattia, sente immediatamente urgere dentro di sé la domanda: perché mi capita questo? Scopriamo subito che la malattia è sempre associata ad una sofferenza non solo fisica, ma spirituale. E’ questa la sofferenza propria di chi ha l’impressione di essere entrato in una situazione, in una condizione priva di senso. E’ per questo che la domanda che nasce nel cuore di chi soffre non è come altre domande. E’ una domanda che mette in questione tutto, poiché mette in questione la bontà stessa dell’essere. Non è esclusa quindi la possibilità stessa che l’uomo in questa condizione giunga alla negazione stessa di Dio. “Se infatti l’esistenza del mondo apre quasi lo sguardo dell’anima umana all’esistenza di Dio, alla sua sapienza, potenza e magnificenza, allora il male e la sofferenza sembrano offuscare quest’immagine, a volte in modo radicale, tanto più nella quotidiana drammaticità di tante sofferenze senza colpa e di tante colpe senza adeguata pena” (Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Salvifici doloris 9; EV 9, pag. 589). Ecco perché non c’è domanda più seria di quella sulla sofferenza umana: essa pone in questione la realtà intera nella sua stessa radice. E lo fa perché sta crollando il senso intero della propria vita.
 Da qui deriva che questa domanda alla fine può avere solo un destinatario: Dio stesso. La grandezza della domanda sulla sofferenza è misurata dal fatto che essa può alla fine essere rivolta solo a Dio. E quindi il soffrire diventa o prima o poi il questionare, il “litigare” dell’uomo con Dio.
Dio aspetta la domanda e l’ascolta. Ed ha risposto. E questa risposta è data nell’intera vicenda di una persona: Gesù Cristo. Più precisamente: questa risposta è stata data da Dio all’uomo nella croce e resurrezione di Gesù Cristo.

2. Tenterò questa sera di balbettare qualcosa sul contenuto di questa risposta. Mai come in questo momento sono consapevole dell’insufficienza e inadeguatezza delle mie spiegazioni.
 - Cristo è la risposta perché Egli ha preso su di sé tutte le sofferenze umane. E dunque ha voluto rispondere alla nostra domanda sulla sofferenza, dal di dentro di essa non dal di fuori: soffrendo Egli stesso, soffrendo più di ogni altro. Quando Egli ci risponde, non potremo obiettargli: “fai bene tu a parlare; tu non hai provato”. Egli ha provato: è stato provato come e più di noi. Non ti risponde come risponderebbe uno che non conosce il soffrire.
 - Ma c’è qualcosa di più profondo nella sofferenza di Cristo: Egli ha scelto di soffrire. Per ciascuno di noi, la sofferenza è sempre subita, non è mai voluta. E in un certo senso, questo è stato vero anche di Cristo. Ma in un senso più profondo. Egli ha voluto entrare dentro alla nostra sofferenza. Forse perché la sofferenza è qualcosa di degno di essere voluto e scelto? Assolutamente no: solo il bene possiede questa dignità ed il soffrire è sempre un male. Egli ha scelto, ha deciso di entrare dentro alla nostra sofferenza per liberarcene. Cristo va incontro liberamente alla sua suprema sofferenza (“Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato …: Mc 10,33) con tutta la consapevolezza che la sua missione di liberare l’uomo si realizzerà precisamente in questo modo.
 - E qui tocchiamo finalmente il contenuto della risposta che Dio dà all’uomo che lo interroga sulla sofferenza: il Vangelo della sofferenza. Fratelli, sorelle: prestatemi attenzione! In fondo, questa sera noi siamo venuti qui per dirvi ciò che ora vi dico.
 L’opposizione intima che ogni uomo ed ogni donna sente nel suo cuore contro la sofferenza di ogni genere, è giusta. Contro la sofferenza di ogni genere: quella fisica e quella spirituale, quella dell’innocente e dell’oppresso, quella del povero che non trova aiuto e del debole violato nella sua dignità dal prepotente, di chi sente fame fisica e di chi sente fame di giustizia. L’opposizione è giusta perché questo mondo non è quello voluto dal Creatore; ciascuno di noi custodisce nel cuore la nostalgia di un’originaria giustizia nostra e del mondo che ci rende inaccettabile questa condizione sbagliata in cui si trova la creazione. Nella S. Scrittura troviamo una affermazione stupenda ed inquietante nello stesso tempo: “Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutto per l’esistenza: le creature del mondo sono sane, in esse non c’è veleno di morte” (Sap. 1,13-14).
 Questa parola ci libera dal pensare che la realtà, il mondo, la nostra vita sia lo scontro di due potenze avverse, sovrumane ed uguali: una potenza benefica ed una potenza malefica. Al principio della realtà non c’è «il bene» e «il male»: c’è solo il Bene, c’è solo l’Amore per la vita. Ed allora donde il male? Esso è stato introdotto nell’universo dalle libertà create: dalla nostra libertà. E’ questa l’unica, vera, ultima ragione del male che c’è nel mondo: le decisioni sbagliate, meglio ingiuste (cioè contro il bene), peccaminose della libertà degli uomini. Dalla libertà del primo uomo, che per primo ha introdotto nell’universo sofferenza e morte, fino a ciascuno di noi. Alla base delle umane sofferenze vi è un multiforme coinvolgimento nel peccato. Anche se dobbiamo giudicare in concreto con estrema cautela la sofferenza umana come conseguenza del peccato, tuttavia essa non può essere distaccata dallo sfondo peccaminoso delle azioni personali o dei processi sociali nella storia dell’uomo. La nostra opposizione al male, alla sofferenza è nel nostro cuore, in fondo, l’opposizione alla ingiustizia di cui ciascuno di noi è corresponsabile.
 Cristo  è entrato volontariamente dentro a questa sofferenza, andando alle radici di essa: l’ingiustizia umana. Egli è stato l’unico innocente vissuto su questa terra; è stato la vittima di ogni ingiustizia ed ha preso in sé tutto il male del male. Ma Egli ha vinto ogni ingiustizia colla sua morte sulla croce, ha ridonato la vita vera colla sua risurrezione. Sto parlando di ogni ingiustizia, di ogni sofferenza e di ogni male, anche nella loro dimensione temporale e storica. “E anche se la vittoria sul peccato e sulla morte, riportata  da Cristo con la sua morte e resurrezione, non abolisce le sofferenze temporali dalla vita umana, né libera dalla sofferenza l’intera dimensione storica dell’esistenza umana, tuttavia su tutta questa dimensione e su ogni sofferenza essa getta una luce nuova, che è la luce della salvezza. E’ questa la luce del Vangelo, cioè della buona novella”. (Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Salvifici doloris 15; EV 9, pag. 603).
 E’ questo il Vangelo che doveva essere annunciato qui, questa sera: così Dio ha risposto alla sofferenza umana.

3. Questa risposta di Dio deve ora prendere corpo nella storia umana. Prima di tutto dive risuonare nel cuore di ogni sofferente come risposta vera:  una verità che può essere afferrata solo come risposta alla sua propria sofferenza, dentro al proprio, personale soffrire. C’è di solito bisogno di tempo, anzi normalmente di molto tempo. Prendi coscienza della verità di questa risposta man mano che senti cambiare il senso della tua malattia e della tua sofferenza. Questa diventa significativa perché ti trasforma, ti educa:  rende più buono te e tutto il mondo. Diventa finalmente, profondamente una partecipazione alla stessa sofferenza di Cristo. Cessa di essere un oscuro destino e diventa una chiamata rivolta a te personalmente da Cristo: Egli è in agonia fino alla fine del mondo.
 La risposta di Dio prende corpo nella storia della cura e dell’assistenza alla persona ammalata e sofferente: deve prendere corpo in quest’Arcispedale. Nella professione medica e di tutto il personale sanitario; nella creazione di un ambiente nel quale tutto parta dalla persona dell’ammalato e tutto sia finalizzato alla persona dell’ammalato.
 La risposta che Dio ha dato alla sofferenza umana, non comporta in alcun modo un atteggiamento di passività di fronte alla sofferenza. Ed allora, ciascuno si assuma veramente le sue responsabilità perché quest’Arcispedale diventi un luogo in cui l’uomo-ammalato possa far del bene con la sua sofferenza e ogni altro possa far del bene a chi soffre. La risposta di Dio alla domanda dell’uomo sulla sofferenza gli ha insegnato in fondo due cose: far del bene con la sofferenza, far del bene a chi soffre. Così accada in questo santo luogo!