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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


RITIRO MENSILE SACERDOTI
31 Ottobre 2002

MEDITAZIONE [Ap 2,1-7]

Ho voluto che durante i nostri ritiri mensili ci ponessimo in ascolto di "ciò che lo Spirito dice alle Chiese", attraverso la meditazione di ciascuno delle sette lettere dell’Apocalisse. Voglio dirvi brevemente perché questa scelta e così indicarvi il frutto proprio o il dono che attraverso questo percorso chiediamo al Signore di ricevere.

01. La nostra missione di evangelizzarecatechizzare, sulla cui prioritaria urgenza non mi stancherò mai di richiamare me e voi, si definisce in rapporto al soggetto che evangelizza – catechizza, ed in rapporto al destinatario che deve essere evangelizzato – catechizzato.

Nei nostri ritiri spirituali dobbiamo porre la nostra attenzione sul soggetto, su ciascuno di noi investiti di questa missione.

02. In quanto missionari del Vangelo dobbiamo porci in ascolto di ciò che Cristo vivente sempre nella sua Chiesa dice alla Chiesa e nella Chiesa a ciascuno di noi: questa è la grazia che dobbiamo chiedere come frutto di quell’itinerario spirituale che iniziamo oggi. E’ la grazia dell’ascolto attento ed obbediente, per dire all’uomo solo ciò che abbiamo ascoltato da Cristo.

03. Perché l’Apocalisse? Perché le "sette lettere"? Al chiudersi della Rivelazione neo-testamentaria, il Signore parla alla Chiesa. Anche ragioni di carattere letterario che non è ora il caso di dire, ci fanno pensare che l’espressione "sette Chiese" designa la Chiesa come tale: le lettere sono dunque inviate a tutta la Chiesa. E’ in un certo senso la Parola che Cristo dice continuamente alla sua Chiesa. Poniamoci dunque in ogni Ritiro in un vero, profondo ascolto. Che Maria, la Vergine beata perché ha ascoltato la Parola dettale, ci ottenga questo dono.

1. [Chi è che parla: Cristo e lo Spirito Santo]. Il comando che conclude ogni lettera, "chi ha orecchi, ascolti", viene da Cristo stesso. Egli ci chiede di porci in primo luogo in quest’attitudine: l’attitudine dell’ascolto. Senza volere esagerare indebitamente nel sottolineare questa differenza, non c’è dubbio che mentre l’uomo greco era l’uomo che guardava, l’uomo latino era l’uomo che organizzava, l’uomo biblico è l’uomo che ascolta. La modalità con cui la persona si appropria della divina Rivelazione è la modalità dell’ascolto [cfr. GLNT I, pag.583].

Che cosa significa? Significa che l’attitudine con cui l’uomo si pone di fronte a Cristo nella Chiesa è quella dell’obbedienza della fede: l’udito della fede, dirà S.Paolo con una formula stupenda. E’ stato opportunamente notato che questo invito all’ascolto ha la sua radice soprattutto nella letteratura sapienziale, ed è invito a penetrare sempre più profondamente nel mistero di Cristo [cfr. U.Vanni, La riflessione sapienziale come atteggiamento ermeneutico costante dell’Apocalisse, in RivBibl 24, 1976, pag. 185-187].

Quando S.Paolo ha voluto dare il saluto definitivo ai sacerdoti della Chiesa di Efeso, nella consapevolezza che lui, l’Apostolo, non sarebbe più stato in mezzo a loro, disse: "Ed ora vi affido al Signore e alla parola della sua grazia" [At 20,32]. La nostra persona è affidata al Signore risorto e vivente in mezzo ai suoi discepoli, e alla sua Parola: siamo stati consegnati.

Ma il comando conclusivo di ogni lettera, che stiamo meditando, dice: "ciò che lo Spirito dice alle Chiese".

Notiamo bene: "dice". E’ un’azione espressa da un presente continuativo: ogni momento lo Spirito parla, continua a parlare alla Chiesa. Notate ancora: ogni lettera inizia con "così parla… " e si mette un titolo cristologico. Dunque è Cristo che parla. E poi alla fine: "chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese". Dunque è lo Spirito Santo che parla. Ritroviamo in questo procedimento letterario una delle idee-chiave di tutto il corpus giovanneo sulla quale dovremmo spesso e lungamente ritornare nella nostra meditazione e nella nostra preghiera.

E’ lo Spirito Santo, primo dono fatto ai credenti, che rende sempre attuale, viva ed operante la Parola che Cristo ha detto alla Chiesa una volta per sempre. Nel Vangelo Gesù aveva detto: "quando verrà Lui, lo Spirito della Verità, vi guiderà alla Verità tutta intera, non parlerà infatti da se stesso" [16,12]. Fino a quando restiamo nella nostra condizione "psichica", direbbe S.Paolo, esseri cioè in possesso solo delle nostre naturali facoltà spirituali, non siamo capaci di ascoltare – comprendere ciò che Cristo dice alla Chiesa, dice a ciascuno di noi. E’ necessario essere trasformati dalla presenza in noi dello Spirito Santo, ed allora saremo capaci di ascoltare ciò che Cristo dice alla Chiesa, dice a ciascuno di noi [cfr. 1 Cor 2,14; 3,1]. E’ lo Spirito Santo che ci fa sentire la parola di Cristo: "emerge dall’Apocalisse una profonda teologia dell’ascolto centrata su Cristo come sorgente e sullo Spirito che deve aprire "l’orecchio" della Chiesa, cioè la vita dei credenti" [M.Mazzeo, Lo Spirito parla alla Chiesa, nel libro dell’Apocalisse. Paoline ed., Milano 1998, pag. 58].

Carissimi, fermiamoci in un profondo esame di coscienza. La nostra opera, il nostro ministero è "strumentale" in rapporto a Cristo: non dobbiamo mai porci come "causa principale". Quando accade questo? Quando concretamente nella nostra giornata, la più comune delle nostre giornate, la sorgente del nostro agire non è la meditazione della Parola di Dio. Non è l’ascolto. Piani pastorali hanno un valore molto relativo. E’ il Signore che vuole farsi "sentire": se noi chiudiamo il nostro spirito, rendiamo vana la sua opera. Siamo fedeli ogni giorno ad almeno mezz’ora di meditazione – orazione.

2. [La lettera alla Chiesa di Efeso]. Ed ora poniamoci in ascolto di "ciò che lo Spirito dice alle chiese": la prima delle sette lettere.

E’ Cristo che si presenta a noi con due qualifiche o titoli cristologici: Egli è "Colui che tiene le sette stelle nelle sue mani"; Egli è Colui che "cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro".

Il Signore Gesù è Colui che tiene nelle sue mani la Chiesa. Questa metafora biblica significa appartenenza e protezione: la Chiesa è la Chiesa di Cristo; la Chiesa è difesa da Cristo. L’appartenenza a Cristo genera la protezione: Cristo difende e protegge la Chiesa perché è la sua Chiesa. Carissimi confratelli, questa verità di fede sia profondamente assimilata dal nostro cuore. Essa infatti ci dona la vera sicurezza. Nelle molteplici difficoltà noi siamo sicuri che niente e nessuno potrà strappare la Chiesa dalle mani di Cristo. Ricordiamo quanto dice S.Paolo: "chi ci separerà dall’amore di Cristo? ….. ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di Colui che ci ha amati" [Rom 8,35-37].

Il Signore Gesù è Colui che "cammina in mezzo a sette candelabri d’oro". L’immagine ha un significato liturgico. Il Signore è "cammina" nella sua Chiesa: la conduce cioè come il suo pastore ed è presente nella celebrazione liturgica. Leggete e meditate un testo mirabile della Cost. dogm. Sacrosantum Concilium 7,1 [EV 1/9].

Attraverso la sua continua presenza, Cristo guida la sua Chiesa e la protegge.

E’ per questo che il Signore ora compie un giudizio, opera un discernimento: in positivo e in negativo.

In positivo: "conosco le tue opere, la tua fatica, la tua costanza". Ecco il buon pastore per Cristo pastore dei pastori: uno che opera, che fatica, che è costante. Carissimi confratelli, come questa parola "è viva, efficace, e più tagliente di ogni spada a doppio taglio" [Eb 2,12]! Fermiamoci un momento e lasciamoci giudicare da questa parola. Essa ci chiede un ministero operoso, un ministero faticoso, un ministero che non indietreggia di fronte alle difficoltà: "sei costante e hai molto sopportato per il mio nome, senza stancarti".

In negativo: "hai abbandonato il tuo amore di prima". Non hai più il fervore di prima. Certamente non bisogna confondere l’amore con ciò che psicologicamente sentiamo quando amiamo. L’amore è un atto dello spirito. La parola di Dio ci dona pensieri profondi.

"Il principio motore dell’uomo non è l’intelligenza, non è la sensibilità come coscienza, ma è l’amore, è la libertà, è l’esercizio della volontà" [C. Fabro, ]. E l’atto fondamentale della volontà è l’amore. Dal dialogo fra Gesù e Pietro risulta chiaramente che il "principio motore" del ministero è l’amore a Cristo. E’ possibile abbandonare l’amore di prima: porre altri "principi motori" alla base del proprio ministero. In questa condizione non c’è più totale dedizione alla Redenzione alla giustizia del Regno. Non è totale, perché in realtà è anche in vista di qualcosa d’altro; è in parte condizionata.

Quali rimedi ci propone oggi il Signore? "ricorda dunque da dove sei caduto, ravvediti e compi le opere di prima". Tre dunque sono i rimedi: ricordare, ravvedersi, compiere le opere di prima. La via della conversione ha come tre tappe: la memoria dei doni e dell’alleanza vissuta nella pienezza dell’amore; il cambiamento interiore del cuore; la ripresa zelante delle opere proprie del ministero.

Quale esito sta davanti a chi, caduto dal primo amore, si ravvede? Ha l’accesso all’albero della vita. Ha cioè la partecipazione alla vita eterna, alla vita stessa di Dio: "chi non ama rimane nella morte" [1 Gv 3,14 b].

Poniamoci alla presenza del Signore; sottoponiamoci al suo giudizio e ravvediamoci, per ritornare all’amore di prima.