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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


UNA CHIESA ED UN MINISTERO DOCILI ALLO SPIRITO
Ritiro mensile dei sacerdoti
27 febbraio 2003

Durante questo ritiro mediteremo e pregheremo la lettera alla Chiesa di Sardi: Ap 3,1-6.

1. Il Signore si presenta a questa Chiesa con due titoli: Egli è "Colui che possiede i sette spiriti di Dio", e "(Colui che possiede) le sette stelle".

(a) E’ noto a tutti che il numero sette denota la pienezza e la perfezione della realtà numerata: il Signore è Colui che possiede la pienezza dello Spirito di Dio; possiede in modo perfetto lo Spirito Santo. Con questa parole è richiamato il grande vaticinio messianico di Is 11,2-3 (ed anche cfr. Is 42,1). La parola di Dio dunque ci chiede questa mattina di vedere e contemplare il Cristo come Colui che possiede la pienezza dello Spirito Santo.

La trasformazione radicale della nostra condizione umana è accaduta nell’avvenimento Gesù Cristo: nella sua incarnazione, nella sua morte, nella sua risurrezione. Ascoltiamo al riguardo un testo mirabile di S. Ireneo: "in nessun altro modo avremmo potuto ricevere l’incorruzione e l’immortalità se non con l’essere uniti all’Incorrotto e all’Immortale. E come noi avremmo potuto essere uniti all’incorruzione e all’immortalità se prima l’Incorrotto e l’Immortale non si fosse fatto quello che siamo noi, perché ciò che era corruttibile fosse assorbito dall’incorruzione, e ciò che era immortale dall’immortalità, e noi potessimo ricevere l’adozione a figli?" [Adv. Haereses 3, 19,1].

Nel Verbo incarnato ciò che era corruttibile viene assorbito nell’incorruzione e ciò che era mortale nell’immortalità della sua Pasqua. Il principio di questa trasformazione è lo Spirito Santo: al riguardo molteplici testi paolini non lasciano dubbio al riguardo. Se infatti secondo l’apostolo è il Padre il primo attore dell’azione risuscitante, questa non è compiuta senza la mediazione dello Spirito Santo. Così è lo Spirito Santo che ha risuscitato Gesù dai morti [Rom 8,11], il quale pertanto è "costituito" Figlio di Dio mediante la risurrezione dalla potenza dello Spirito Santo [Rom 1,4]. Il Signore risorto è nella sua umanità glorificata nel possesso pieno dello Spirito Santo: Egli è "Colui che possiede i sette spiriti di Dio".

Questo possesso non è tuttavia fine a se stesso: "dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia" [Gv 1,16]. Lo Spirito Santo non solo ha operato sul e nel Verbo incarnato, ma a partire dalla morte-risurrezione di Cristo, lo Spirito Santo viene donato da Cristo stesso. E’ questo un tema centrale sia nel quarto Vangelo sia nelle lettere paoline. La frequenza con cui negli scritti paolini ricorre l’espressione "Spirito di Cristo" [cfr. Rom 8,15; 2Cor 3,17; Gal 4,6; Fil 1,19] sta anche ad indicare precisamente che lo Spirito abita in pienezza nel Cristo per essere donato agli uomini, perché compia nell’uomo ciò che ha compiuto in Cristo. Gesù il Cristo reso perfetto dallo Spirito Santo nella sua morte e risurrezione, mediante lo stesso Spirito rende perfetti i suoi discepoli.

(b) Siamo così già entrati nel secondo titolo con cui il Signore presenta Se stesso: Colui che possiede le sette stelle. Egli cioè è Colui che possiede [che tiene nelle sua mano destra] la Chiesa. E’ un tenere, un possedere che al contempo denota dominio, protezione, unità.

Entriamo qui nella dimensione più profonda della Chiesa. Lascio la parola a S. Leone Magno: "tutto quello dunque che il Figlio di Dio ha fatto ed ha insegnato per operare la riconciliazione del mondo, non si conosce soltanto dalla storia delle azioni passate, ma si avverte altresì nella potenza di ciò che compie al presente. Egli è Colui che, come è nato da una madre vergine per opera dello Spirito Santo, così feconda con il soffio dello Spirito Santo la sua illibatissima Chiesa" [Sermone 63,6; SCh 74,83]. Il legame che unisce la Chiesa a Cristo, che la fa essere in Cristo è lo Spirito Santo; è lo Spirito Santo che tiene la Chiesa, che pone la Chiesa nella destra di Cristo.

Come ci ha insegnato S. Ireneo, il Verbo nella sua incarnazione, nella sua morte e risurrezione ci ha presi in sé e con sé, così che non apparteniamo più a noi stessi ma a Cristo [cfr. 1Cor 6,19-20 e 2Cor 6,15-16], e così ci ha liberato dalla nostra condizione di corruttibilità,. È stato nel momento della sua Pasqua che per noi si è verificato pienamente "l’essere in Cristo". Ma ciò che è stato posto allora come in radice, si manifesta e ci diventa accessibile e presente mediante l’ "essere nello Spirito Santo".

Il Signore è Colui che possiede i sette spiriti di Dio, e quindi possiede la Chiesa: come lo sposo "possiede" la sposa; come il capo il corpo cui è unito. Il Signore possiede la Chiesa perché è Colui che possiede i sette spiriti di Dio.

2. Ora possiamo veramente porci in ascolto del giudizio che il Signore pronuncia nei confronti della Chiesa di Sardi, e può pronunciare nei confronti di ogni Chiesa: "conosco le tue opere; ti si crede vivo e invece sei morto".

E’ una Chiesa operosa; non è una Chiesa neghittosa. Tuttavia questa vitalità che si mostra nelle opere è solo apparente. Ad un giudizio superficiale appare viva: in realtà è morta. Ed infatti, considerate "davanti a Dio" quelle opere non risultano perfette.

Carissimi fratelli, questo giudizio è veramente una spada che penetra fino in fondo al nostro essere. Essa infatti ci costringe a porci una domanda: quando il nostro operare – quello nostro personale e quello ecclesiale – è segno vero e non apparente di vita? quando possiamo dire con realtà che il nostro agire è segno di vita? Questa è la domanda a cui oggi la parola di Dio ci chiede di rispondere.

In primo luogo, essa ci libera subito da una pericolosa illusione, quella di ritenere che noi siamo ciò che sembriamo. E’ uno degli idoli della nostra società c.d. mass-mediatica: il contenuto è il messaggio. Da questo idolo, dal culto di questo idolo la parola di Dio ci libera: "ti si crede vivo e invece sei morto". Ne era completamente libero l’apostolo Paolo che giunge perfino a dire che neppure l’essere approvato dal giudizio della propria coscienza basta per essere in verità giustificati [cfr. 1Cor 4,4]. Non è facile liberarsi da questa idolatria.

Liberati dall’idolo, quando il nostro operare mostra veramente che siamo viventi? La parola di Dio ci insegna ancora una profonda verità. La vita vera non consiste precisamente in ciò che facciamo: la Chiesa di Sardi si sente dire che proprio in ciò che fa dimostra di essere morta. Chi è che vive veramente? Facciamoci la domanda in termini biblici: chi vive una vita eterna?

Abbiamo la risposta esplicita in 1Gv 2,15-17: "ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno". Che cosa vuol dire "fare la volontà di Dio"? "non vuol dire fare: vuol dire aderire. Il Signore non sa cosa farsene delle nostre opere: quello che vuole il Signore è questa adesione perfetta della nostra volontà alla sua" [D. Barsotti]. Siccome egli ti ha voluto sacerdote, in questa Chiesa, tu evi vivere il tuo ministero in essa senza risparmiarti. Le opere dimostrano che sei vivo se in esse tu aderisci con tutto il tuo essere alla divina volontà.

La riflessione vale anche per il nostro agire ecclesiale: più precisamente per il nostro agire come ministri di Cristo. Ed a questo punto ci aiuta a capire che cosa vuol dire agire in modo da essere vivo, un testo di S. Paolo: 1Cor 3,10-15. Da esso deduciamo due affermazioni fondamentali.

La nostra opera di "costruzione" della comunità cristiana deve avere come fondamento Gesù Cristo. L’affermazione di Paolo è escludente: "nessuno può porre un fondamento diverso…". Egli si riferisce alla sua opera fondativa (cfr. 1Cor 2,2) consistente nella predicazione di Cristo crocifisso. Introdurre come fondamento qualcosa d’altro, mina le basi della comunità cristiana. Ma anche l’opera di "edificazione" che segue alla "fondazione" può essere più o meno solida. Dunque potremmo parafrasare la parola di Dio nel modo seguente: conosco le tue opere; ti si crede vivo e invece sei morto, perché la tua opera di fondazione della comunità non pone a fondamento Gesù Cristo e perché il materiale che stai usando non è solido [non resiste al fuoco]".

Come vedete, c’è un legame profondo fra la presentazione che Cristo fa di se stesso ed il rimprovero. Egli ha la pienezza dello Spirito Santo e mediante esso tiene nelle sue mani la Chiesa. Dentro di essa se non si agisce guidati dallo Spirito di Cristo, si può anche dare l’impressione di essere vivi perché ci si agita molto: in realtà si è morti.

Come allora ci si converte alla vita? "Ricorda dunque come hai accolto la parola, osservala e ravvediti". Il primo atto dello spirito in cui si converte è il ricordo: "ricorda". E’ un tema costante nella S. Scrittura. Chi ricorda infatti può vedere come era disponibile nei confronti dello Spirito, e così può misurare il divario esistente fra l’inizio e il presente. L’infedeltà attuale non deve precluderci la memoria del passato; questa non farà certo scomparire il presente, ma lo farà emergere nella nostra coscienza in una nuova luce. "Come hai accolto la parola": letteralmente "come hai accolto ed ascoltato". L’accoglienza è l’attitudine più importante, perché è l’unica che consente un vero e proprio ascolto. La memoria del proprio passato di fedeltà ci rende atti oggi a ritornare ad essere viventi in Cristo. Ed in questa condizione l’arrivo del Signore non sarà quello del ladro inatteso e temuto, ma dello sposo atteso e desiderato.

3. Meditiamo ora brevemente sulle promesse. La prima: "Il vincitore sarà dunque vestito di bianche vesti" [cfr. 7,9]. È la promessa di essere rivestiti di Cristo stesso, della sua stessa gloria ad innocenza. "Non cancellerò il suo nome dal libro della vita": il tema del "libro della vita" è presente sia nel Vecchio [cfr. Sal 69 (68), 29] sia nel Nuovo Testamento [cfr. Lc 10,20] e significa l’elenco anagrafico degli abitanti del cielo. È la più grande promessa! È la promessa che ci sarà donata la vita eterna, la perfetta beatitudine nel Signore. E’ questa la nostra speranza. Infatti "il bene che propriamente e principalmente dobbiamo sperare da Dio è il bene infinito… questo bene è la vita eterna, che consiste nella fruizione di Dio stesso. Non si deve sperare da Lui niente di meno che Lui stesso" [2,2, q.17,a.2]. "Non cancellerò il suo nome dal libro della vita".