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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


"Mistica ed etica della comunione"
Ritiro sacerdoti
Idice, 20 febbraio 2008


01. Può essere che nel nostro cammino verso una vera pastorale integrata sorga in noi un attitudine di "scoraggiamento", nel senso ben più forte di quello che a questa parola attribuisce la psicologia.

Per uscire da questa situazione dobbiamo evitare di percorrere alcune vie che non ci porterebbero fuori da quella condizione.

La prima è la via del moralismo: la pastorale integrata è frutto soprattutto di impegno etico e/organizzativo. Risulterà poi perché questa via non deve essere percorsa.

La seconda è la via dello scetticismo: è una via, questa, di una spaventosa pericolosità perché può costituire una vera e propria devastazione della coscienza del sacerdote. Prendiamo "scetticismo" nel senso più alto del termine. Un senso che potrei esprimere nel modo seguente: "non esistendo alcuna possibilità che realisticamente e non solo verbalmente accada il fatto di una comunione che diventi visibile in una pastorale integrata, mi sento spiritualmente estraneo a questo processo". Normalmente l’estraneità va dal disinteresse alla contrarietà vera e propria.

02. S. Ignazio raccomanda molto nei suoi Esercizi spirituali che ci sia chiaro ciò che vogliamo ["chiedere ciò che voglio"]. Noi in questo incontro spirituale "che cosa vogliamo"? verificare se la nostra volontà sta dicendo al Signore che lo chiama alla comunione presbiterale espressa nella pastorale integrata il suo "eccomi", nonostante le tante voglie contrarie.

Quanto io dirò in seguito, ci deve precisamente aiutare a far questa verifica.

1. [Mistero ed ascesi]. Nel Mistero cristiano avviene l’unione di due grandezze incommensurabili. Ed anche noi questa mattina meditiamo sull’unione di due realtà incommensurabili: la comunione dello Spirito Santo e la comunione presbiterale nostra, che si esprime nella pastorale integrata.

La percezione di questa incommensurabilità è di fondamentale importanza per la nostra coscienza sacerdotale. Non è semplicemente espressione della naturale socialità umana la nostra comunione presbiterale: ancor meno essa è il risultato di naturali e buone simpatie reciproche e/o modi comuni di pensare e di valutare. La comunione presbiterale è la "comunione dello Spirito Santo": la comunione che è lo Spirito Santo, di cui in Cristo noi siamo gratificati. La nostra comunione presbiterale è un evento che accade dentro al nostro quotidiano con-vivere, ma che è opera di Cristo mediante il suo Spirito. È un fatto soprannaturale.

Ma questa è solamente la metà della verità. Il soprannaturale non si giustappone alla nostra natura, ma la trasforma. Questa è la vera ragione dell’ascesi cristiana: essa è la condizione indispensabile perché si realizzi l’unione fra le due grandezze incommensurabili. Senza questa intima trasformazione l’evento cristiano non accadrà mai dentro l’uomo. Senza questa intima trasformazione del nostro modo di pensare, valutare, sentire, dentro al nostro presbiterio non potrà mai accadere il "miracolo" della comunione presbiterale come evento soprannaturale. S. Teresa d’Avila e S. Giovanni della Croce, fra gli altri, hanno scritto pagine famose circa questo intimo nesso fra trasformazione ed unione. Senza un’ascesi seria e rigorosa nel territorio della fede non si va da nessuna parte.

Il fatto che ci troviamo ad esercitare il ministero sacerdotale in questa Chiesa di Bologna; il fatto che ci possa essere fra noi una naturale condivisione, non basta. È necessaria una vera e propria rinuncia a se stessi; una dolorosa, faticosa auto-espropriazione. Solo così le due grandezze incommensurabili, la comunione mistico-sacramentale e la nostra naturale socievolezza, possono unirsi.

Voglio intrattenermi un poco su questo punto. La comunione presbiterale è un fatto che può essere percepito solo mediante la fede. Non si tratta di un fatto che possa accadere in forza di ricorsi alla psicologia, alla sociologia, all’organizzazione istituzionale. È un fatto divino, è un opus Dei, uno dei mirabilia Dei.

Ma attenzione. Quando Dio comincia ad operare questo fatto, a compiere questo gesto – a riunire i dispersi – non trova un terreno vergine. Trova persone che già vivono una loro storia; che hanno una loro visione precisa della vita, della Chiesa e del loro sacerdozio; che hanno un loro proprio sistema di valutazione. Non solo. Trova persone nelle quali le conseguenze del peccato originale, le tre concupiscenze di cui parla Giovanni, non sono estinte.

Se non c’è un itinerario quotidiano verso l’accordo fra la nostra persona e l’evento della comunione dello Spirito, non succederà nulla in profondità. E l’obbedienza al Vescovo è la modalità obiettiva e soggettiva in cui si cammina verso questa sintonia.

Vi dicevo che questo nesso fra mistero e ascesi va custodito con cura nella nostra coscienza sacerdotale. Se si spezza, delle due l’una. O si concepisce e si vive la pastorale integrata come un fatto puramente umano: primato della legge. O si concepisce la pastorale integrata come un fatto estraneo, perché estrinseco, a quella che si giudica essere la vera esperienza sacerdotale, la propria: primato del soggettivo. Ma ora vorrei essere anche più preciso, muovendomi in una seconda prospettiva.

2 [Ascesi e martirio]. Abbiamo iniziato la quaresima celebrando il mistero delle tentazioni di Gesù. Si tratta di un vero e proprio scontro fra Cristo ed il potere di Satana. L’evangelista mette in risalto la vittoria del Signore.

Tuttavia questa vittoria non sarebbe reale se non si prolungasse in ciascuno di noi; se non diventasse anche la mia vittoria sul Satana e la mia liberazione dal potere delle tenebre.

Che cosa significa "mia"? che la vittoria di Cristo deve farsi presente in me. Ma ciò non avviene se non si fa presente in me anche la lotta di Cristo: non si vince se non si combatte. La presenza della lotta di Cristo in me è la mia ascesi. Se questa fosse altro dalla lotta di Cristo, sicuramente ne uscirei sconfitto. E sconfitta significa conformismo allo spirito del mondo di cui – non dimentichiamolo mai – è principe il Satana. Sconfitta significa divisione interna e schiavitù delle passioni, e quindi incapacità di comunione. Sconfitta significa porsi sotto il primato della legge o divenire schiavi della tirannia del soggettivismo, nel senso già detto.

"Gli antichi monaci entravano nel deserto per combattere direttamente contro il demonio, ma anche il mondo, anzi soprattutto il mondo è un deserto. Il deserto dell’assenza di Dio. La Chiesa che getta i sacerdoti nel mondo, li getta proprio nella mischia. La solitudine dei chiostri è l’atrio del cielo, il mondo invece è sotto il potere del maligno. Se i sacerdoti debbono entrare nel mondo per affrontare il demonio nel suo regno, è perché i sacerdoti non sono soltanto degli asceti come ogni cristiano che debbono combattere in se stessi l’influenza e il potere del demonio; ma si suppone che abbiano già vinto in loro stessi il maligno. Proprio per questo i continuatori veri della lotta combattuta e vinta dai padri del deserto non sono i monaci ma sono i sacerdoti che vivono nel mondo: il Santo Curato d’Ars, S. Giovanni Bosco ecc."

[D. Barsotti, Il Mistero cristiano nell’anno liturgico,
San Paolo, Milano 2004, 302].

Qual è il punto in cui avviene questo scontro nella coscienza del sacerdote? Nel pensare che ci possa essere un’auto-realizzazione che non consista nell’auto-donazione; e che ci possa essere un’auto-donazione che non presupponga un’auto-espropriazione.

Ci sono tre parole chiavi: auto-realizzazione, cioè la pienezza della propria vita, la beatitudine; auto-donazione, cioè l’atto che esprime e realizza l’amore; auto-espropriazione: non si può fare una donazione se si intende conservare la proprietà di ciò che si dona.

La domanda che dobbiamo farci è la seguente: nella mia coscienza, nella coscienza che ho di me stesso, il mio bene consiste nel bene dei fedeli che la Chiesa mi affida? Oppure c’è una qualche "riserva mentale" per la quale il bene che perseguo è il mio bene, che normalmente coincide col bene dei fedeli, ma non sempre e non necessariamente.

Dobbiamo fare molta attenzione nel distinguere la volontà e le voglie. La volontà è la direzione, il movimento fondamentale e strutturante della nostra esistenza; è una sola. Le voglie sono molte, disordinate [non in senso morale]. Esempio: posso avere la "voglia" di studiare ciò che mi attrae, di andare a fare una gita …, ma ho la volontà di donarmi ai fedeli interamente e sempre; e quindi in particolari circostanze, quelle voglie non devono essere seguite.

La confusione più tragica consiste nel giungere a credere che seguire le proprie voglie sia il nostro vero bene. L’esame di coscienza è fondamentale, perché possiamo essere talmente presi dalle nostre voglie da non sapere più quale è la nostra volontà. In questa condizione, la confusione regna sovrana nella coscienza del sacerdote. Comincia a scendere la nebbia della tristezza del cuore: nulla e nessuno ci accontenta.

La riflessione sulla mistica e sull’etica della comunione deve sempre accompagnare il nostro cammino verso una pastorale integrata. Questa infatti trova la sua fonte prima e la sua ragione decisiva nel mistero di Cristo e della Chiesa.