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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Vangelo e anti-evangelo del matrimonio
Rimini, 20 aprile 1995


Vangelo significa, come è noto a tutti, “buona notizia“: vangelo del matrimonio significa che esiste una buona notizia riguardante il matrimonio. Anti-evangelo è la negazione di questa buona notizia, è il dire che questa buona notizia è falsa. Questa sera vorrei aiutarvi a riflettere su questa situazione drammatica in cui vive l’uomo e la donna di oggi: ad essi giungono il vangelo e l’anti-evangelo del matrimonio e sono chiamati alla decisione di credere all’uno o all’altro. In questo modo abbiamo già indicato anche l’ordine in cui si svolgerà la mia riflessione. In un primo punto parleremo del vangelo del matrimonio; in un secondo punto parleremo dell’anti-evangelo del matrimonio; in un terzo punto vedremo dove vangelo ed anti-evangelo si scontrano, nel cuore cioè di ogni persona umana e nella società.

1. Il Vangelo del matrimonio

Quale è la “buona notizia“ che viene data all’uomo e alla donna che si sposano o si sono già sposati? È molto semplice: la notizia che amarsi è possibile, che l’amore è una reale capacità dell’uomo e della donna, dal momento che la loro libertà è stata liberata dal desiderio di possedere l’altro. La notizia è talmente grande che dobbiamo ora capirla il più profondamente possibile attraverso una scoperta vera e propria di ogni elemento.

Cominciamo dall’esaminare il contenuto di questa buona notizia. Esso è duplice: annuncia la liberazione di una schiavitù, quella del desiderio; annuncia il dono di una capacità, quella di amare. E cosi desiderio-amore sono come, rispettivamente, l’Egitto e la Terra promessa: i due luoghi in cui accade la perdizione e la salvezza della persona umana. Ma che cosa significa tutto questo? di che cosa sto parlando realmente? Vorrei cominciare ad introdurvi in quella profonda esperienza umana denotata dalla parola “desiderio”. E lo farò partendo dai fatti quotidiani più comuni. Tutti noi proviamo il desiderio di mangiare e bere ad intervalli di tempo. Questo desiderio è come la voce che assume una necessità (fisica) della nostra persona, un bisogno che è indice di una mancanza, di un vuoto, che chiede di essere soddisfatto e per cosi dire riempito. Abbiamo dunque una struttura del desiderio, che è la seguente: necessità-mancanza-bisogno-soddisfazione. Se ora volgiamo la nostra attenzione a ciò che viene chiamato “oggetto” del nostro desiderio, il cibo e la bevanda nel caso di cui stiamo parlando, vediamo che esso è ricercato solo in quanto è ritenuto capace di saziare quel bisogno, di soddisfare quella necessità. L’oggetto è come investito di importanza dal desiderio di chi lo vuole: un gelato visto durante una gelida giornata invernale da chi non ha sete, non suscita nessun interesse, nessun desiderio. Possiamo dire che l’oggetto del desiderio è completamente posto al servizio della persona che desidera: il desiderio asservisce la realtà alla persona. Il segno chiaro di questo modo di relazionare la realtà alla persona è che cessato il desiderio, cessa ogni interesse per la realtà. A tutti è capitato di lasciare un piatto a metà, perché non si aveva più fame.

Ho voluto partire da un desiderio particolare, quello di più immediata percezione. Ma l’uomo non desidera solo mangiare e bere. Desidera anche godere della compagnia dei suoi amici, desidera giocare. San Tommaso anzi dice perfino che ogni uomo desidera naturalmente vedere Dio. La struttura del desiderio che abbiamo individuato nel desiderio del cibo, il modo con cui la persona rapporta a se stessa la realtà quando la investe del suo desiderio, li ritroviamo tali e quali in ogni altro desiderio? Non vorrei ora rispondere a questa domanda, ma tenendo conto di quanto abbiamo già detto, facciamoci un’altra domanda. Se una persona desidera un’altra persona, si stabilisce fra le due un vero rapporto inter-personale?

Non è possibile rispondere a questa domanda, se prima non richiamiamo brevemente alla nostra coscienza che cosa significa essere persona. La percezione della verità, della dignità del nostro essere persona è un atto fondamentale della nostra vita spirituale. Tutti noi siamo consapevoli che essere qualcuno è più che essere qualcosa, è essenzialmente diverso. Guardiamo attentamente dentro a questa consapevolezza. Ciò che è “qualcosa” è disponibile a tutti nel senso che può essere usato: chi è “qualcuno” non è a disposizione per l’uso: è egli che dispone di se stesso. Ciò che è “qualcosa” è sempre un mezzo di cui mi posso servire per raggiungere i miei scopi; chi è “qualcuno” non può mai essere usato come un mezzo: è un fine in se stesso. La grande tradizione cristiana ha detto tutto questo con una formula: la persona è un soggetto che esiste in se stesso e per se stesso. Questo può bastare per cominciare la risposta alla domanda se un rapporto di desiderio può essere un rapporto inter-personale.

Non è difficile vedere che se trasferiamo la logica del desiderio all’interno del rapporto fra le persone, questo rapporto si distrugge. La logica del desiderio, come abbiamo visto, è una logica di possesso, di uso, di egocentrismo. Ora si possono possedere ed usare le cose, non le persone. Non ho detto che non si posseggano, non si usino le persone. Voglio dire che questo tentativo si rivolge contro se stesso: se la persona accetta di essere usata, non hai più fra le mani qualcuno, ma qualcosa. La persona è stata ridotta a cosa. Comprendiamo un poco la profonda parola di Gesù: “Se uno guarda con desiderio...”. Il desiderio è una degradazione della persona desiderata. Non solo, ma in realtà la persona non solo degrada l’altro, ma non esce da se stesso. In questo senso parlavo di logica egocentrica del desiderio. Infatti, come abbiamo già detto, il desiderio comporta una con-centrazione della realtà attorno a se stesso. Dunque, alla domanda se un rapporto di desiderio può essere un rapporto inter-personale, si deve rispondere negativamente: è la verità stessa della persona a respingere da sé la logica del desiderio.

Ora vorrei essere ancora più preciso ed entrare finalmente dentro a quel rapporto inter-personale che è la base stessa della comunità coniugale, il rapporto fra uomo e donna in quanto costruito attraverso il segno della sessualità. È un grande mistero sul quale cominciano a meditare: il “mistero” della divaricazione dell’umanità nella femminilità e nella mascolinità.

L’uomo, l’essere persona umana è uomo e donna. Quale il significato di questo fatto? Tralasciano per ora la risposta, oggi tragicamente sempre più invadente, di chi dice: nessuno. Di chi nega che questa divaricazione abbia un significato: ritorneremo lungamente sopra questa negazione, in seguito. Per ora procediamo in un modo molto più semplice, facendo semplicemente molta attenzione a ciò che accade in ciascuno di nοί.

La coscienza del proprio essere-uomo/essere-donna si accompagna normalmente colla scoperta dell’altro come “complemento“ di se stesso. Tutti i grandi esperti del cuore umano, da Platone a Freud, hanno descritto questa esperienza. Ed è stato Platone il primo a darle quel nome con cui resterà per sempre identificata: eros. Che cosa è questa dimensione erotica della persona umana? è la consapevolezza di una povertà non a livello dell’avere, ma dell’essere stesso. L’essere-uomo è un essere umanamente “poveri“ perché ti fa difetto tutta la ricchezza dell’essere-donna e viceversa: l’essere umano in tutta la pienezza è essere-uomo e essere-donna. La coscienza di questa povertà crea il bisogno dell’altro. Ma che cosa significa precisamente “dell’altro”? bisogno di possedere l’altro? così hanno pensato molti. E la conclusione è che la dimensione erotica della sessualità umana, è precisamente il desiderio sessuale; il desiderio che costituisce il rapporto fra l’uomo e la donna. Nell’eros troviamo la stessa struttura del desiderio... di mangiare e bere. Ma questo non è tutto ciò di cui ci dà testimonianza la nostra coscienza. Infatti, la persona stessa dell’uomo e della donna si rifiutano, quando vogliono essere custodi della preziosità e dignità della loro persona, ad essere erotizzati in questo modo, cioè desiderati come oggetto da possedere, da usare per il proprio compimento. Ogni cuore di uomo e di donna conserva sempre la nostalgia di un rapporto in cui la bellezza del proprio essere personale non sia deturpata, la propria preziosità non sia dilapidata, la propria dignità non sia violata. È possibile questo? oppure ci si deve accontentare di molto meno? Ecco, questo è il Vangelo: questo rapporto fra uomo e donna è possibile, perché all’uomo e alla donna che si sposano è donata la capacità di amare, cioè è donata la libertà di donarsi.

A Cana l’acqua del desiderio è trasformata nel vino dell’amore. Ma il punto capitale di ciò che sto dicendo è precisamente la verità sull’amore: vedere questa verità come libertà di donarsi.

Non si tratta in primo luogo di un impegno, di un’esigenza alla quale si deve ubbidire. Si tratta di una nuova generazione del proprio essere. Il concilio Vaticano II (Gaudium et Spes 24) ha detto che l’uomo non può “ritrovarsi pienamente se non attraverso il dono sincero di sé”. Potrebbe sembrare un non senso: ritrovarsi perdendosi, possedersi donandosi. È il grande paradosso che abita nella stessa persona umana: “se il grano di frumento caduto in terra non muore resta solo”. L’amore è l’unica realizzazione vera di se stessi, poiché amare significa donare e ricevere quanto non possiamo né comprare né vendere, ma solo, liberamente e reciprocamente elargire: se stessi. L’essenza dell’amore precisamente questa: dono della persona alla persona. Ed è per questo che l’amore coniugale non può non essere indissolubile.

Se guardiamo ancora nelle profondità dell’amore noi vediamo che esso, in fondo, è l’unica vera risposta alla domanda del desiderio: una domanda rivolta ad una pienezza, perché sia donata ad un vuoto, ad una povertà di esistenza. Infatti, il dono che si riceve dall’altra persona compie quell’ansia di completamento, poiché è finalmente una persona che si riceve, non un oggetto. La si riceve nell’unico modo possibile: come dono. La pienezza del desiderio è l’amore che consiste nel dono: il desiderio si compie quando si supera nell’amore. Il Vangelo del matrimonio ti dice che questo compimento oggi è accaduto.

Ma tutto questo non esaurisce in realtà il contenuto del Vangelo del matrimonio. Ci si potrebbe infatti chiedere: ma come è possibile questo compimento del desiderio, questa realizzazione dell’eros nell’amore? che cosa è accaduto nel cuore dell’uomo e della donna? È accaduto il dono che Cristo fa del suo stesso Amore agli sposi. È il “cuore“ del Vangelo del matrimonio. All’uomo e alla donna è dato di partecipare alla stessa capacità di amare propria di Cristo. È la stessa, sia pure, ovviamente, di grado diverso. È la verità del dono di sé compiuto da Cristo sulla Croce che è la radice, la sorgente dell’amore degli sposi. È nella Chiesa che a questi è dato di partecipare a quel dono e di riprodurlo nella loro quotidiana vicenda.

Alla fine il Vangelo del matrimonio è la persona stessa di Cristo che cambia il cuore dell’uomo e della donna, rendendoli capaci di ritrovare se stessi, perdendosi nel dono di sé.

2. L’Anti-evangelo del matrimonio

Quale e la “cattiva notizia” che viene data all’uomo e alla donna che si sposano o si sono già sposati? è molto semplice: che amarsi è impossibile, che l’amore nel senso pieno del termine non appartiene alle reali capacità dell’uomo e della donna, poiché la loro libertà è invincibilmente schiava del desiderio di realizzare se stessi attraverso l’uso degli altri. È, come vedete, la contestazione speculare del Vangelo che giunge come a negare che possa esistere, che esiste un evento di salvezza nella storia di ogni uomo. Cerchiamo di capire profondamente questo annuncio anti-evangelico che circola da ogni parte oggi, in Italia.

A prima vista, questo annuncio sembra nascere da un cuore disperato: “amarsi è impossibile, poiché io ci ho provato e non ci sono riuscito”. In realtà oggi, generalmente l’annuncio anti-evangelico non nasce nel terreno della disperazione: nasce in quello della debolezza. Mi spiego. Se facciamo un po’ di attenzione alle nostre vicende quotidiane, vediamo che si può essere disperati in due modi profondamente diversi. Se uno si propone di raggiungere un obiettivo al quale attribuisce tanta importanza da ritenerlo la realizzazione stessa della sua vita, e fallisce, può reagire in due modi. Può semplicemente convincersi che quella è la sua realizzazione, ma di non poterla raggiungere: è la disperazione per debolezza. Può più fortemente decidere che quella non è la sua realizzazione e quindi di non-volerla raggiungere: è la disperazione per ostinazione.

L’annuncio anti-evangelico nasce oggi comunemente dal terreno della disperazione per debolezza: non è possibile amarsi; schiavi come siamo del nostro desiderio. Ora mentre la disperazione per ostinazione conserva in sé una sua tragica magnanimità, il disperato per debolezza diventa un pusillanime è decapita anche il suo desiderio. Gli Ebrei in Egitto stavano, alla fine, bene: avevano cibo in abbondanza e di vario genere. Perché, dunque, — si chiedevano — dovremmo ascoltare questo messaggio di libertà, che ci apre solo la prospettiva immediata di un deserto? Ma è arrivato il momento in cui vedere concretamente i contenuti di questo anti-evangelo, di verificare come in esso anche il desiderio stesso sia decapitato.

L’amore è impossibile, perché la libertà che esso implica, non è data all’uomo: non è possibile essere liberi nel modo proprio dell’amore. Possiamo infatti notare una concezione ed un’esperienza di libertà dimezzata. La libertà è stata progressivamente ricondotta alla spontaneità: essere liberi significa essere spontanei. Ora questa riduzione è un pauroso impoverimento della nostra vita spirituale.

La spontaneità connota esclusivamente la dimensione passionale della nostra vita interiore, cioè il nostro essere/non essere mossi da una presenza vera o fantastica. Essa, la spontaneità, esclude il nostro muovere-se stessi. San Tommaso con grande ardire speculativo dice che in forza della propria libertà la persona è “causa di se stessa”, in forza della propria spontaneità la persona “è causata da altri”. Ho parlato di un pauroso crollo della nostra vita interiore quando riduciamo il nostro essere liberi al nostro essere spontanei. Non è un’esagerazione retorica: è la pura realtà. Non possiamo ora esaminare tutto ciò che accade nella persona. Mi limito solo alle osservazioni attinenti al nostro campo.

Mentre un atto di libertà implica sempre un giudizio della ragione che radica la persona nell’essere, l’esercizio della nostra spontaneità implica solo una sensazione che come tale non è capace di far abitare la persona nella verità. Non è forse vero che si può provare paura anche di fantasmi? non è forse vero che si giustifica spesso l’infedeltà coniugale dicendo che non si sente più nulla nei confronti della propria sposa?

All’interno di un tale modo di essere (si fa per dire) liberi, l’amore e ridotto esaustivamente all’attrazione che si prova verso un’altra persona, anche dello stesso sesso. Amare significa essere-attratti. E poiché l’attrazione non può durare sempre, parlare di definitività in questo contesto è un puro non senso. E qui scopriamo uno dei punti più oscuri di questo anti-evangelo del matrimonio. Amare non può essere dono di sé, poiché semplicemente è stato smarrito il “sé”. Non si può donare ciò che non si possiede: non puoi donare te stesso se non sei in possesso di te stesso. Ora l’anti-evangelo del matrimonio dice: non ci si può chiedere di donare se stessi poiché semplicemente non siamo in possesso di nessuno “se stesso”. Non esiste una soggettività spirituale. È una delle caratteristiche fondamentali: la perdita del soggetto. È un punto difficile, ma dobbiamo capirlo.

Possiamo partire da una domanda. Tutti noi viviamo un insieme di “emozioni” (o passioni) come re-azioni alla situazione in cui viviamo, nella rete dei rapporti con le persone e così via: l’esistenza si trasforma in un’apparenza di esistenza, la vita in un sogno, abbiamo paura o coraggio, nutriamo speranze 0 siamo scoraggiati, siamo tristi o allegri e così via. Ora la domanda che prego ciascuno in questo momento di fare a se stessi: io sono l’insieme di queste emozioni? io sono l’incrociarsi permanente ed instabile di queste reazioni? io sono la composizione di tutte queste realtà, il loro risultato? Oppure: io non sono il mero comporsi o scomporsi di tutti questi eventi? io non sono una mera costruzione di essi? io sono un principio (causa di sé: san Tommaso) e non un semplice luogo di passaggio, del mio agire? io sono un soggetto capace di iniziare? parlando del Vangelo del matrimonio vi dicevo che la percezione del proprio essere una persona, qualcuno e non qualcosa, è l’atto che fonda tutta la nostra vita spirituale. Ora di che cosa si nutre l’anti-evangelo del matrimonio? della negazione che l’uomo a) sia un soggetto capace di iniziativa; b) sia un individuo irriducibile ed indivisibile, di non-costruibile; c) sia più che, e diverso dalla situazione, dall’insieme degli elementi che la compongono e dagli stati d’animo che spontaneamente sorgono in noi; d) sia capace di astrarsi, tirarsi fuori da tutto questo per sottoporsi liberamente alla verità di ciò che è in sé e per sé bene, bello, giusto: sia capace di “liberarsi da” ed “essere libero per....”.

Ora penso che queste quattro negazioni si tengono strettamente per mano: l’una sta in piedi con l’altra o cadono assieme. Poiché è lo stesso dire che sono individuo, che sono libero, che sono, che sono soggetto alla verità. Poiché la porta d’ingresso nella scoperta del mio essere individuo, un soggetto è la libertà: se confondo libertà con spontaneità, mi precludo questa scoperta e dico: l’uomo non è un soggetto, non è un “se stesso”: è sempre “un altro”. Che senso ha parlare di amore come dono di sé? nessuno ed oggi, nella cultura dominata dall’anti-evangelo dell’amore, l’amore è pura vicenda della propria spontaneità che racchiude l’assenza totale della persona. Personaggi in cerca di autore, come già all’inizio di tutta questa vicenda Pirandello aveva già ben visto, poiché ciascuno è uno, nessuno, centomila. Maschere dietro cui non c’è nulla; personaggi non persone. Con piena logica l’anti-evangelo del matrimonio comincia il suo triste annuncio: amarsi è impossibile poiché l’uomo e la donna non posseggono la libertà del dono di sé, non possedendo libertà, ma solo spontaneità, né il sé ma solo il costruito da altro.

Quali possibilità allora si aprono a questa persona? quale progetto di esistenza offre l’anti-evangelo del matrimonio? Se non esiste la persona nel senso forte del termine; se esiste solo la spontaneità del proprio sentire, alla ricerca della propria felicità, una comunione vera e propria non è più possibile. Sono due che si incontrano senza alcun legame reciproco: ciascuno vuole affermarsi indipendentemente dall’altro, anzi vuole fare prevalere i propri interessi. Tuttavia, in questa condizione di contrapposti interessi è possibile solo una forma di rapporto: concedersi reciprocamente l’uso l’uno dell’altra in ordine alla felicità di ciascuno. L’incontro possibile e il fragile miracolo della convergenza di interessi opposti.

Vorrei aiutarvi a capire bene questo progetto di amore e di matrimonio veicolato dall’anti-evangelo, richiamando la vostra attenzione su alcuni fatti, su due precisamente, che in quel progetto si inseriscono coerentemente.

Il primo. Poiché non esiste la consapevolezza di una propria soggettività personale, di una consistenza ontologica di un proprio io, nell’incontro con l’altro tutto diventa contrattabile: il tempo, le condizioni, il senso del proprio amore (si fa per dire). Non esiste più una verità cui riferirsi: esiste solo la sincerità (cioè la spontaneità) come unico valore. Ora ci può essere un rapporto sincero, ma falso, poiché si può dire anche la più grande menzogna con sincerità.

Il secondo. La negazione della verità dell’essere umano è giunta ormai fino a negare che essere-uomo/essere-donna abbia in sé e per sé un senso obiettivo e così si è ormai arrivati ad equiparare in ogni senso l’amore fra l’uomo e la donna all’amore fra uomo e uomo, donna e donna e a chiedere pari riconoscimento ad un sedicente matrimonio omosessuale.

Con prima logica, l’anti-evangelo del matrimonio continua il suo triste annuncio: amarsi è impossibile poiché non esiste una libertà del dono, ma solo la spontaneità del desiderio della propria felicità. È solo possibile negoziare compromessi al fine di raggiungere un piacevole uso uno dell’altro.

Ho parlato di “disperazione per debolezza”: non posso amare, poiché sono schiavo del mio desiderio; non posso donare me stesso, perché ho perso me stesso. Devo accontentarmi di meno.

Tuttavia, molto spesso la disperazione per debolezza si capovolge nella “disperazione per ostinazione”: non voglio amare, poiché voglio rimanere schiavo del mio desiderio. Quando avviene questo capovolgimento? quando a chi è disperato per debolezza viene annunciato il Vangelo dell’amore e del matrimonio. Il Vangelo è fuoco: non lascia mai l’uomo come lo trova. O lo rigenera lo indurisce ancora di più. Quali sono i segni di questo capovolgimento? Il primo è di ridurre il Vangelo a comandamento, l’esperienza cristiana a dottrina morale.

Provate ad osservare come spesso viene accolto, sentito l’annuncio che del Vangelo dell’amore e del matrimonio sta facendo instancabilmente il Santo Padre: è troppo esigente. Ma dove vive, ci si chiede; oggi non è più possibile vivere rispettando quelle norme. In questa reazione sta racchiuso tutto quel capovolgimento della disperazione per debolezza nella disperazione per ostinazione. Egli non ascolta che cosa gli dice in primo luogo il Vangelo: oggi si compie questa Scrittura. Cioè: oggi, se credi, ti è donata la pienezza della libertà perché ti è donata la capacità di amare. Non ascolta perché non vuole ascoltare ed allora, tolta la grazia che cosa resta del Vangelo? solo inumane esigenze. E si rifiutano. Qui troviamo il secondo segno che la disperazione per debolezza è diventata disperazione per ostinazione.

Non solo si accusa la Chiesa di essere troppo esigente: la si accusa di essere inumana. È il peccato contro lo Spirito Santo l’unico che non sarà mai perdonato: chiamare male il bene, odio dell’uomo ciò che ne esprime il più grande amore.

La figura emblematica di questa disperazione e il Grande Inquisitore: fa morire Cristo per amore dell’uomo. È la disperazione di Caifa: meglio uno che tutto il popolo.

L’anti-evangelo dell’amore e del matrimonio ha terminato così il suo triste annuncio: nulla di nuovo è possibile, poiché non esiste l’evento del perdono che rigenera l’uomo. L’anti-evangelo così ora ha generato solo noia: la vita è sempre uguale.

3. Lo scontro nel cuore e nella società

In questo ultimo punto, vorrei farvi vedere dove e come avviene lo scontro fra Vangelo ed anti-evangelo dell’amore e del matrimonio.

È una riflessione difficile a compiersi dovendo affrontare un profondo mistero: l’incrociarsi di tre libertà, quella di Dio, dell’uomo e di Satana.

Vorrei dare inizio a questo punto chiedendovi un piccolo sforzo di immaginazione. Tutti noi conosciamo il racconto dell’Esodo. Immaginiamo di trovarci precisamente noi al posto di Mosè, quando si trovò posto fra l’esercito del Faraone alle sue spalle ed il mare davanti: una situazione davvero disperata... Quali prospettive egli aveva davanti. Combattere contro il Faraone? follia il solo pensarlo, il risultato sarebbe stato l’auto-distruzione totale. Volgendosi dall’altra parte, fuggire attraverso il mare? ancora più insensata questa soluzione di quella precedente, il risultato sarebbe stato l’auto-distruzione totale. Ed allora non c’era via d’uscita?

Una via di uscita c’era: venire a patti cui faraone. Più o meno fargli questo discorso: “Abbiamo sbagliato volendo sottrarci al tuo potere, per un sogno di libertà. Ora ritorniamo a vivere sotto il tuo potere, lavorando per te e tu in cambio ci assicurerai la vita”. In realtà questa soluzione era la morte spirituale del popolo di Israele: ritornare in Egitto era rinunciare definitivamente ad essere se stessi. Oppure c’era un’altra via? Mosè ne conosceva un’altra: egli aveva ricevuto la promessa di Dio, credere a questa promessa nella certezza che Dio è fedele e può perfino aprire una strada in mezzo al mare e distruggere il Faraone. Questa fu la scelta di Mosè ed è a causa di questa scelta che Israele fu rigenerato nella sua identità.

Ritorniamo a noi stessi. L’uomo, ciascuno di noi, si trova collocato fra il Vangelo (del matrimonio e dell’amore) e l’anti-evangelo (del matrimonio e dell’amore). Che fare? ciascuno di noi può pensare che quel progetto di esistenza promesso dal Vangelo sia impossibile: impossibile come attraversare il mare a piedi. Ed allora che cosa fare? Combattere contro il Faraone del desiderio, come oggi viene proposto dalle grandi religioni orientali: se non vuoi essere infelice non avere desideri e non potendo avere ciò che desideri, cerca di desiderare ciò che puoi avere. Il risultato è la distruzione di se stessi, la decapitazione di quel desiderio naturale di pienezza di beatitudine di cui è testimone a noi stessi il nostro cuore. Ed allora cosa fare? Camminare a piedi sul mare, come oggi viene proposta da ogni forma di neo-pelagianesimo: il progetto di esistenza proposto dal Vangelo è un compito affidato alla tua volontà, poiché nella sua essenza il Vangelo è una dottrina morale. Il risultato è la disperazione o il cinismo: poiché non è possibile per la libertà umana osservare il comandamento evangelico, all’uomo non è possibile raggiungere nessuna felicità. Ed allora che fare? Venire a patti col Faraone del proprio desiderio: è la situazione che abbiamo descritto nel secondo punto della nostra riflessione. Non è possibile amare; la libertà come capacità di auto-donazione definitiva all’altro è una chimera: è posta al di là del mare. Non resta che pensare e vivere l’amore come un compromesso fra due opposti egoismi, fra due ricerche della propria felicità per mezzo dell’altro. Ma questa è l’unica soluzione? ne esiste un’altra: credere al Vangelo (del matrimonio e dell’amore).

E che cosa significa credere? essere certi che Dio in Cristo manterrà la sua promessa di donarmi la pienezza della libertà e quindi sulla base di questa certezza seguire il Cristo che mi dice essere più beato colui che dona di colui che riceve.

Ecco, questo è lo scontro nel cuore dell’uomo fra Vangelo ed anti-evangelo (dell’amore e del matrimonio): nella libertà dell’uomo chiamata a fidarsi della promessa di Dio in Cristo. Questa scelta si chiama fede. Lo scontro è fra decidersi a credere o decidersi a non credere. Esattamente la situazione in cui si trovò il giovane ricco quando si incontrò col Cristo: gli fu chiesto di rischiare l’abbandono di tutto per avere la beatitudine piena di seguire Cristo. Gli fu proposto di perdere tutto per poter guadagnare tutto.

Conclusione

Vi ho già parlato della figura del Grande Inquisitore. Che cosa rimproverò al Cristo? di aver promesso troppo all’uomo, avendogli promessa la piena libertà. L’uomo in fondo non deve essere turbato da “sogni” troppo grandi. Egli si accontenta alla fine di molto meno: alla pura gioia del donare si può sostituire un compromesso fra le opposte esigenze dei due egoismi, cosa meno rischiosa. Ho parlato di disperazione per debolezza. Ma il Grande Inquisitore non si ferma qui: egli deve eliminare, far tacere la voce di Cristo.

È esattamente la stessa situazione di oggi. La Chiesa continua ad annunciare il Vangelo del Matrimonio e dell’amore. I grandi Inquisitori di turno le contestano che possa fare questo, in nome delle esigenze dell’uomo. Come risponde Cristo al Grande Inquisitore? non discute più: lo bacia. Come risponde la Chiesa? bacia l’uomo di oggi col bacio della Misericordia di Dio, cioè semplicemente gli annuncia la buona notizia: l’amore è possibile perché “Dio ha tanto amato il mondo da donare il suo figlio Unigenito, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”.