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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


IL CATECHISTA COME EDUCATORE
Teatro dell’Antoniano
3 ottobre 2004


È questo un momento da me molto atteso perché sentivo forte il bisogno di dirvi la mia gratitudine e la mia stima. Gratitudine e stima perché voi appartenete alla cerchia delle persone che aiutano il Vescovo a svolgere il suo compito primario: comunicare la fede. Siete collaboratori del magistero del Vescovo.

L’aver iniziato il nuovo triennio di riflessione nel quale si metterà a fuoco la figura del catechista con il tema del CATECHISTA EDUCATORE è stata una scelta sapiente. La dimensione educativa è la dimensione costitutiva dell’azione catechetica; anzi in un certo senso ne è la definizione più comprensiva e precisa. L’azione catechetica è una azione educativa.

La mia riflessione cercherà ora di chiarire il significato di questa identità. E lo farò in due tempi cui corrisponderanno i due punti in cui si articolerà la mia riflessione. Dapprima vi presenterò alcune riflessioni sulla relazione interpersonale educativa in genere; nel secondo punto vi parlerò in maniera specifica del catechista come educatore. Capirete nel corso della riflessione perché ho scelto di fare questo percorso. Nella conclusione infine cercherò di individuare alcune difficoltà che possono rendere ardua l’educazione e come farvi fronte.

La relazione educativa

Partiamo da una domanda semplice, ma assai grande: che cosa significa "educare una persona umana"? Cercherò ora di rispondere a questa domanda.

Iniziamo la nostra risposta considerando il

fatto più importante accaduto a ciascuno di noi: la nostra nascita; l’uscita dal grembo materno ed il nostro ingresso in questo mondo. Questo fatto è connotato presso molti popoli da un’espressione assai suggestiva: "venire alla luce". La riprenderemo in seguito.

La grandezza perfino traumatica di questo avvenimento consiste nel fatto che la persona umana neo-nata si incontra/si scontra [sono vere tutte e due le formulazioni] colla realtà. I filosofi direbbero: con l’universo dell’essere. Fermiamoci un momento a riflettere su questo incontro/scontro.

Esso richiama subito una dimensione tanto essenziale alla persona umana da accompagnarci quotidianamente: la dimensione del bisogno. Nel suo incontro/scontro colla realtà l’uomo si avverte come un soggetto che ha bisogno di … e qui potremmo fare un elenco assai lungo: di cibo e bevanda; di vestito; di protezione ed affetto. E di altro ancora. Potremmo trovare una formulazione sintetica di tutti i contenuti del bisogno umano? Io non ne ho trovata una migliore della seguente: l’uomo ha bisogno di essere introdotto nella realtà. Il suo più grande bisogno, meglio, tutti i suoi bisogni si concentrano in uno solo: l’introduzione nella realtà. L’uomo uscito dal grembo materno si trova "esposto" nell’universo dell’essere: ha bisogno di esservi introdotto.

Se fino ad ora la riflessione è proceduta senza troppa difficoltà, almeno così spero, poiché in fondo si è attenuta ad un livello di semplice descrizione, la riflessione esige un impegno maggiore quando ci chiediamo: che cosa significa introdurre una persona nella realtà? Comincio a costruire la risposta partendo da un esempio semplice.

Se io metto sotto gli occhi di una persona che ignora completamente la musica uno spartito musicale; oppure se lo porto ad ascoltare la Passione secondo S. Matteo di J.S. Bach, è prevedibile che egli si annoierà a morte e non avrà nessuna possibilità di comprendere la pagina che ha sotto gli occhi. È necessario che ci sia uno che gli insegni a capire il linguaggio musicale; lo guidi a comprendere la struttura fondamentale del genere musicale oratoriano; ed altro ancora. Alla fine questa persona, possiamo dire, è stata "introdotta nel mondo di Bach": ora lo comprende e lo gusta.

Essere introdotti nella realtà significa essere aiutati a decifrarne il linguaggio e quindi a comprenderne il senso, così che dentro di essa noi possiamo muoverci. Nessuno forse ha saputo esprimere con tanta forza come Leopardi il "bisogno di essere introdotti nella realtà" nel significato suddetto:

E quando miro in cielo arder le stelle;
Dico fra me pensando:
A che tante facelle?
Che fa l’aria infinita, e quel profondo
Infinito seren? Che vuol dir questa
Solitudine immensa? E io che sono?
Così meco ragiono….

[Canto notturno di un pastore errante in Asia]

Ora potete comprendere la profondità dell’espressione: "venire alla luce".

Ma cerchiamo di disegnare in maniera più esplicita i sentieri o i percorsi lungo i quali la persona umana può essere introdotta nella realtà.

Nelle settimane scorse un bambino vedendo le immagini di Beslam disse a sua madre: "perché nel mondo succedono queste cose? Perché è capitato a quei bambini e non è capitato a me e ai miei amici?". La domanda – che è richiesta, bisogno di essere introdotto dentro la realtà – ha in sé due interrogativi di fondo. È richiesta di sapere la ragione di ciò che sta accadendo; è richiesta ancora più radicale se un mondo nel quale si spara a bambini che fuggono abbia un senso. Ossia: è domanda sulla verità delle cose; è domanda sulla bontà della cose. Questi sono i due percorsi lungo i quali la persona è introdotta dentro la realtà: viene alla luce. È il percorso verso il vero; è il percorso verso il bene.

Facciamo un passo ulteriore che ci porterà alla conclusione di questo primo punto. Parto sempre da un esempio. Ci sono cose che sono "importanti" [non specifico per ora il concetto di importanza] e cose che non hanno nessuna importanza: nessuno mette sotto cristallo anti-proiettile una pietra qualsiasi come fu fatto invece per la Pietà di Michelangelo. Ma fra le cose importanti ve ne sono alcune che lo sono per me ma non per te: avere un frigorifero in casa, è importante per noi, mentre non lo è per niente per un esquimese! "Per me" significa: sono la risposta ad un bisogno. Diciamo in maniera più tecnica: sono importanti perché sono utili. La misura del loro valore è data dalla misura della loro utilità. Proviamo ora a chiederci: tutto il valore di ogni realtà consiste nella sua utilità? è l’utilità l’unica misura del valore di ogni realtà?

La risposta a questa domanda che ora non possiamo costruire, è la seguente: esiste una realtà che non desume il suo valore dall’utilità che essa può offrire, ma desume il suo valore semplicemente da se stessa. E questa realtà è la persona. L’introduzione dentro alla realtà scopre che questa è "gerarchica" nel senso che "essere qualcuno" è infinitamente diverso da "essere qualcosa"; nel senso che "essere qualcuno" vale infinitamente più che "essere qualcosa". L’universo ci appare distinto e graduato in due grandi regioni: l’universo delle persone; l’universo delle realtà non persone.

Finalmente possiamo sintetizzare tutto quanto ho detto in questo primo punto: essere introdotti nella realtà significa sapere la verità delle cose e porci in relazione ad esse nel modo adeguato alla misura del loro valore. Più brevemente ancora: sapere la verità circa il valore [=bene] di ogni realtà e corrispondervi adeguatamente.

Due corollari. Il primo. Quali sono le … gambe di cui l’uomo dispone per percorrere i due sentieri che lo introducono nella realtà? Sono la ragione e la libertà. Potremmo dunque dire che educare una persona significa educarla all’uso della sua ragione ed all’esercizio della sua libertà: generare un soggetto ragionevole e libero.

La relazione educativa è precisamente quel rapporto fra due persone nel quale una che già conosce la verità circa il valore di ogni realtà, che già conosce il territorio del reale, vi introduce chi vi sta arrivando.

Il secondo. È ovvio che non posso guidare una persona in un territorio, se io, guida, non lo conosco: sarei un irresponsabile. Il principio di autorità nella relazione educativa è di fondamentale e decisiva importanza.

Poiché è un’educazione alla libertà, chi è introdotto può sempre rifiutare la guida oppure può ritenere che i percorsi indicati non portino a niente: siano sentieri interrotti. Il principio del rischio educativo nella relazione educativa è di fondamentale e decisiva importanza.

Autorità ed accettazione del rischio sono i due fuochi dell’ellisse educativa: eliminarne uno significa uscire dallo spazio della relazione educativa.

Il catechista come educatore

Leggendo i Vangeli possiamo notare subito che vi sono tante categorie che richiamano quell’esperienza educativa di cui abbiamo parlato. Ma soprattutto richiamo la vostra attenzione sul testo di Gv 2,3-6.

In questo testo si afferma la necessità per l’uomo di "rinascere di nuovo/ dall’alto". L’espressione è di una forza significativa dal punto di vista pedagogico straordinaria: si afferma che l’uomo deve essere rinnovato alla e dalla sua radice. La nascita è l’ingresso nella realtà. Esiste una realtà, il Regno di Dio, dentro la quale l’uomo non può entrare, che l’uomo non può vedere, se non "ri-nasce".

Siamo così nella seguente situazione. Esiste una realtà che l’uomo può "vedere"; nella quale può entrare in forza della sua nascita e delle sue naturali capacità "visive". Ne abbiamo parlato nel punto precedente. Ma esiste una realtà che l’uomo non può "vedere"; nella quale "non può" entrare se non ri-nasce, se non subisce una trasformazione della sua natura.

È fondamentale notare che questa ri-generazione non è opera dell’uomo ["può forse ritornare nel grembo della madre e nascere?"], ma è opera dello Spirito Santo e dell’acqua: è innegabile il riferimento al battesimo. Lo Spirito Santo è il vero rigeneratore del rinato, la forza misteriosa ed invisibile come il vento, che agisce rigenerando la persona umana e quindi introducendola nella realtà del Regno. Dona all’uomo una capacità di vedere e di valutare [si ricordino le due … gambe di cui parlavo] che è assolutamente nuova.

La narrazione quindi della biografia umana conosce due momenti o passaggi fondamentali: dal grembo materno all’universo dell’essere; dall’universo dell’essere al Regno di Dio. Se il passaggio-nascita è istantaneo, esso però costituisce l’inizio di un percorso di "introduzione nella realtà" lungo e difficile.

L’introduzione nell’universo dell’essere è una esigenza della persona umana come tale; l’introduzione nel Regno è opera dello Spirito Santo il quale rende capace la ragione e la libertà dell’uomo rigenerato a vedere e ad amare il nuovo universo che si rivela al suo spirito. Possiamo dire che il primo, insostituibile educatore è lo Spirito Santo.

Il Concilio Vaticano II ci ricorda a questo punto una legge fondamentale dell’economia salvifica dicendo: "La creatura… non può mai addizionarsi al Verbo incarnato e redentore. Ma … l’unica mediazione del Redentore non esclude, ma suscita nelle creature una varia cooperazione, che è partecipazione dell’unica fonte" [Cost. dogm. Lumen gentium 62,2; EV 1/437].

Il Redentore dell’uomo che inviando il suo Spirito porta a compimento la sua opera di salvezza, suscita in voi una vera e propria cooperazione all’attività educativa dello Spirito, di cui Egli è l’unica fonte. Questa chiamata è sigillata dal mandato con cui il Vescovo vi chiama.

Vista, sia pure assai brevemente, la radice teologica della vostra attività educativa, ora dobbiamo vedere in che cosa essa consiste precisamente. Che cosa significa "introdurre il rigenerato dallo Spirito e dall’acqua nella realtà del Regno"?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo prima risolvere una questione assai difficile, che però cercherò di semplificare il più possibile.

Se vi ricordate, poc’anzi vi parlavo di un "universo dell’essere" [chiamandolo più semplicemente: questo mondo] e del Regno di Dio. La questione è la seguente: sono separati, sono identici, sono distinti? Voglio essere più concreto: vita umana e proposta cristiana in che rapporto stanno? Il seguito del discorso vi aiuterà a comprendere che il contenuto del vostro impegno educativo come catechista ed il metodo dipendono in larga misura dalla risposta che date a questa domanda.

Prima risposta possibile: esiste una totale separazione fra la vita umana e questo mondo da una parte, e il Regno di Dio e la proposta cristiana dall’altra. Se così fosse, l’introduzione alla realtà del Regno consisterebbe nella preparazione del rigenerato ai Sacramenti e alla preghiera. Ossia: a quei gesti che indicano un’appartenenza alla fede cristiana come tale.

Seconda risposta possibile. La proposta cristiana consiste nell’insegnare all’uomo a vivere bene la propria vita umana. Il Regno di Dio è la perfetta osservanza della legge morale insegnata da Cristo. Se così fosse, l’introduzione alla realtà del Regno consisterebbe nella formazione morale del rigenerato. Più concretamente: formazione alla carità del prossimo, all’impegno sui valori morali più importanti.

Terza risposta possibile: la proposta cristiana è la proposta di un incontro, l’incontro con Cristo vivente nella sua Chiesa. Questo incontro è l’avvenimento nel quale ogni esperienza umana viene compresa nella sua intera verità, è resa vivibile nella sua completa positività, in attesa che si compia la suprema speranza dell’uomo: la visione eterna del Padre.

Questa terza risposta recupera ciò che c’è di vero nelle sue risposte precedenti, ed è quella interamente vera. Pertanto, vita umana e proposta cristiana non sono originariamente estranee l’una all’altra; non sono identiche: la proposta cristiana è "più che" una vita semplicemente umana [Gesù parla di un "centuplo"]. La vita umana trova nella proposta cristiana la pienezza del suo compimento.

Stando così le cose, come si configura l’educazione cristiana e quindi il compito del catechista come educatore?

Mediante la catechesi, il catechista introduce il bambino, il ragazzo, il giovane dentro alla realtà – dentro alla vita – perché lo aiuta a vedere la realtà stessa nella luce della Rivelazione cristiana ed a valutare la preziosità di ogni realtà secondo i criteri rivelati di valutazione.

L’apostolo Paolo dice ai cristiani di Filippi: "abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù". Qui abbiamo la migliore definizione di "educazione cristiana". La persona umana dimora nella realtà come vi dimora Cristo: ha la stessa visione-valutazione della realtà che aveva Cristo; lo stesso senso della realtà.

Un altro testo paolino di grande rilevanza pedagogica è 1Cor 2,14-16. Esistono due modi di porsi nella realtà, di dimorare nell’essere. L’uno è proprio dell’"uomo naturale", di colui cioè che si introduce nel reale facendo uso solamente della sua ragione. L’altro è proprio dell’"uomo spirituale", di colui cioè che si introduce nel reale guidato dalla sua ragione illuminata dallo Spirito Santo. L’educazione cristiana consiste nell’introdurre nella realtà "uomini spirituali". Nel far sì che abbiano la stessa "nous - mente" di Cristo, come è detto nella lettera ai Filippesi.

Questo è il compito arduo ma di splendente gloria del catechista: in fondo, si porta a termine quanto ha iniziato "l’acqua e lo Spirito Santo" nel santo Battesimo.

Ed ora alcune conclusioni. La prima conclusione la desumiamo da S. Paolo: l’educazione cristiana introduce in tutta la realtà; è un’educazione "cattolica". Ascoltiamo l’Apostolo: "tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri" [Fil 4,8].

Una seconda conclusione. L’uomo cristiano ha tuttavia una "forma" specifica, un "volto" inconfondibile ed originale: è la "forma", è il "volto" di Cristo. Esiste uno stile cristiano di vita: è lo stile di Cristo.

Conclusione

Può essere che il catechista si spaventi di fronte all’altezza di questo compito. Voglio ora … immunizzarvi da questa insidia.

In primo luogo l’educazione cristiana non è compito solo vostro. È compito del Vescovo e dei sacerdoti; è compito dei genitori cristiani. Non solo. Voi intervenite nella educazione della persona attraverso uno "strumento" ben preciso: la catechesi. Esso è imprescindibile, ma non è l’unico. La Chiesa educa anche mediante la Liturgia; educa attraverso la vita comune propria della famiglia cristiana; educa attraverso le sue scelte. In un certo senso l’impegno educativo definisce la missione della Chiesa, dal momento che essa è la Madre che genera i fedeli.

In secondo luogo la difficoltà che provate dipendono anche da condizioni oggettive, indipendenti cioè dalla vostra volontà. In condizioni di obiettive difficoltà è pressoché inevitabile una certa inefficacia del proprio impegno educativo. Ciascuno è responsabile solo di ciò che dipende da se stesso.

In terzo luogo, ma è la conclusione più importante, non dobbiamo mai dimenticare che "né chi pianta, né chi irriga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere" [1Cor 3,7]. È lo Spirito Santo che educa il rigenerato.