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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Aula Magna S. Lucia
19 febbraio 2005
Presentazione del libro "Perché la Chiesa" di Luigi Giussani


1. Una domanda è sempre indice di un interesse; quanto più l’interesse è profondo tanto più la domanda nasce dalla persona che la pone.

Esistono almeno due tipi di domande. Domande che chiedono di avere risposte che chiamerò meramente formali, e domande che chiedono di avere risposte che chiamerò esistenziali. Le prime sono risposte che non provocano in alcun modo la nostra libertà: rispondere alla domanda quale sia il fiume più lungo del mondo, non cambia per nulla le scelte della mia libertà, il mio modo di essere libero. E se chi interroga è pur sempre interessato alla risposta, altrimenti non farebbe la domanda, è in fondo indifferente al suo contenuto, indifferente a che gli si risponda in un modo o nell’altro.

La situazione è ben diversa quando si pongono domande per avere risposte che costituiscono una vera provocazione rivolta alla propria libertà. Quando Agostino scrive: "ero diventato a me stesso una grande domanda e una terra di grande sudore", pone una questione che costituisce la suprema provocazione della sua stessa libertà. Ed Agostino stesso nota che la libertà è così poco indifferente alla risposta a quella domanda, che non raramente impedisce alla verità di manifestarsi.

La riflessione agostiniana è importante perché ci aiuta a capire, ci porta a concludere che esiste una sola vera domanda che interessi ultimamente, supremamente l’uomo: la domanda su se stesso; la domanda circa la verità ed il senso del suo esserci. In una parola: circa la sua salvezza.

Anche noi ci troviamo in questo luogo perché abbiamo interesse ad avere la risposta ad una domanda: perché la Chiesa?

Quale è l’intensità di questo interesse? Fino a quale profondità la domanda si radica nella nostra persona? È una dimensione della magna quaestio di cui parlava Agostino o perfino uno dei modi con cui si pone la magna quaestio? Che attinenza ha la domanda sulla Chiesa colla domanda circa la verità ed il senso del proprio esserci?

Qualcuno potrebbe meravigliarsi del fatto che non sia subito partito a costruire la risposta alla domanda "perché la Chiesa", ma vi stia chiedendo di verificare prima quale interesse vi spinge a porre la domanda; anzi, di verificare prima se essa è o non è in stretta connessione colla domanda di supremo interesse, la domanda sul senso della vita.

Perché questa verifica preliminare? Perché è dall’esito di questa verifica che dipende completamente il modo giusto di porci di fronte alla Chiesa, il modo adeguato per conoscere la ragione del suo esserci.

Per capire la Pietà di Michelangelo una domanda sul suo peso non è adeguata: è inutile; ugualmente la domanda sulla composizione chimica del marmo di cui fatta. Queste domande non sono adeguate perché sono generiche: il peso e la composizione chimica sono di tutti i pezzi di marmo. Ora di fronte ad una scultura di Michelangelo ciò che stupisce non è ciò che essa ha in comune con ogni pezzo di marmo [peso e composizione chimica], ma ciò che ha di assolutamente unico: incorporare ed esprimere un evento spirituale, l’ispirazione artistica.

Per avere una risposta alla domanda – perché la Chiesa? – e quindi per conoscere l’intima verità della medesima Chiesa, non si deve considerarne il "generico": ciò che la accomuna, nel bene e nel male, con altre comunità umane. La Chiesa infatti si presenta esibendo all’uomo una singolarità unica, che ovviamente l’uomo può accettare o rifiutare, ma che chiede di essere riconosciuta per ciò che è.

È precisamente questa singolarità unica che l’uomo può riconoscere o non a seconda del rapporto che egli istituisce fra la domanda rivolta alla Chiesa: "perché esisti?" e la domanda rivolta a se stesso: "perché esisto?". Se nell’uomo che chiede "perché la Chiesa" questa connessione esiste, la domanda è posta in modo adeguato; se non esiste, la domanda è posta in modo inadeguato.

2. È essenziale mostrare se e come esiste una connessione fra la domanda sul senso della Chiesa e la domanda sul senso del proprio esserci.

La connessione esiste ed è costituita dalla "pretesa cristiana". Più precisamente: è costituita dalla persona di Cristo.

Nei suoi termini essenziali la "pretesa cristiana" è la seguente: la tua beatitudine o infelicità eterna è decisa da te nel tempo, dentro ad un rapporto con un fatto storico. La pretesa si giustifica perché il fatto storico in rapporto al quale tu decidi la tua beatitudine o infelicità eterna, è Gesù Cristo, Dio fatto uomo. In altri termini, "secondo il Cristianesimo… pur restando che il finito per se stesso non può venire a contatto con l’infinito e il tempo con l’eternità, c’è tuttavia un fatto storico del tutto singolare in cui finito e infinito, tempo ed eternità … vengono a contatto nel senso più reale ed è l’incarnazione dell’Uomo-Dio, Gesù Cristo. Ma unicamente con essa…" [C. Fabro, Dall’essere all’esistente, Marietti 1820, Genova 2004, pag. 198].

La pretesa cristiana quindi è di essere una novità assoluta per l’uomo di ogni tempo e luogo "in quanto afferma: 1) che Dio è apparso nel tempo nella Persona di Cristo – ecco l’infinito e l’eterno commensurati in qualche modo al finito e al tempo, - e 2) che l’uomo si salva nell’eternità mediante una decisione – con la scelta appunto dell’Assoluto – ch’egli deve fare nel tempo, fin quando è in vita e per suo conto – ecco il finito e il tempo ch’è divenuto in qualche modo commensurato all’infinito e all’eternità" [ibid.]. Insomma, una beatitudine eterna può essere decisa nel tempo, perché l’Eternità è nel tempo, e questa presenza dell’Eternità nel tempo è Gesù Cristo. Mai e da nessuno la libertà umana era stata provocata con una tale intensità, "perché una decisione per l’eternità nel tempo è l’intensità più intensiva, il salto più intensivo" [S. Kierkegaard, Diario ( a cura di C. Fabbro) 11, Morcelliana ed., Brescia 1982, pag. 27].

In che senso la "pretesa cristiana" connette nell’uomo la domanda sulla Chiesa alla domanda sul senso della sua vita? Perché fondando la beatitudine eterna dell’uomo sulla decisione, sul rapporto a qualcosa di storico; perché essendo ogni avvenimento storico dentro a precise coordinate spazio-temporali, è ragionevole chiedersi come possono uomini non contemporanei e non testimoni di quell’avvenimento porsi in rapporto ad esso, decidersi a riguardo ad esso. Tutto il cristianesimo, tutta la sorte del cristianesimo dipende dalla risposta a questa domanda. E la risposta a questa domanda è la Chiesa. Quindi la "pretesa cristiana" prende oggi la forma della "pretesa ecclesiale". Ma fermiamoci un momento su questo punto.

La "pretesa ecclesiale" è la coerente continuazione della "pretesa cristiana". Alla domanda "perché la Chiesa", essa risponde: "perché la beatitudine dell’uomo possa essere decisa nel tempo nel rapporto con l’Eterno nel tempo, cioè con Cristo, di cui io - Chiesa – sono la presenza". Il senso della Chiesa è di essere la presenza di Cristo in ogni tempo e spazio.

Qualcuno potrebbe chiedersi perché questa presenza, questa modalità di presenza. Ancora una volta la domanda sulla Chiesa alla fine rimanda alla domanda su Cristo: cur Deus homo? Perché Dio ha voluto mostrarsi e farsi incontrare nella modalità dell’incarnazione? Esiste una unità nel "metodo" di Dio, una coerenza: è la fedeltà di Dio. Egli si mostra in carne ed ossa all’uomo perché l’uomo è carne ed ossa.

Questo metodo divino è stato stupendamente descritto da V. Solov’ëv nel modo seguente: "La Chiesa, fondata da Cristo, Dio-uomo, ha anche una composizione divinoumana … La Chiesa è santa e divina perché è santificata dal sangue di Gesù Cristo e dai doni dello Spirito Santo; ciò che direttamente procede da questo principio che santifica la Chiesa è divino, puro ed immutabile; invece le opere degli uomini di Chiesa, compiute secondo il carattere umano, benché fatte per la Chiesa, hanno qualcosa di molto relativo e, lungi dall’essere qualcosa di perfetto, solo sono in via di perfezionamento. Questo il lato umano della Chiesa. Ma dietro il torrente mutevole ed ondeggiante dell’umanità ecclesiale si trova e si costituisce la Chiesa stessa di Dio, la sorgente infinita della grazia divina, ininterrotta azione dello Spirito Santo che dà all’umanità la vera vita in Cristo e in Dio. Quest’azione di grazia divina è sempre esistita nel mondo; ma dall’incarnazione di Cristo ha assunto una forma visibile e tangibile … così che, nonostante non tutto nella Chiesa visibile sia divino, tuttavia il divino in essa è già visibile" [I fondamenti spirituali della vita, ed. LIPA, Roma 1998, pag. 106-107]. Perché la Chiesa? Perché il Mistero sia visibile, tangibile, incontrabile.

Certamente l’uomo può preferire altre vie per incontrare il Mistero, diverse dal metodo divino. Questa preferenza può perfino giustificarsi con ragioni religiose: quale Dio è quello dei cristiani che "si sporca" le mani con la nostra povera umanità? E le "anime religiose" possono essere le più impermeabili al messaggio cristiano, e scandalizzarsi più di ogni altro del "peso" della dimensione umana della Chiesa.

È tuttavia necessario chiedersi: a quale esito porta una ricerca del volto del Mistero che voglia seguire un metodo diverso da quello indicato dal Mistero stesso? Passando accanto alla Chiesa, non si arriva alla persona viva del Dio fatto uomo, ma tutt’al più alla sua dottrina religiosa, al suo insegnamento morale, cioè ad una idea. È questa la soluzione della "magna quaestio" di cui ci parlava Agostino? L’uomo, l’uomo nella sua concreta esperienza quotidiana, ha bisogno solo di una "sublime dottrina religiosa"? ha bisogno solo di un "elevato insegnamento morale?" o non piuttosto di un incontro con una persona, che sia tale da fargli sentire che Essa, solo Essa è la risposta vera ed adeguata al suo cuore? Come vedete, la domanda sulla Chiesa rimanda sempre alla domanda su Cristo. E la domanda su Cristo reciprocamente coinvolge sempre la Chiesa. Cristo e la Chiesa hanno una sorte comune nella coscienza religiosa dell’uomo. È soprattutto il quarto evangelista che ci educa a vedere questa condivisione dello stesso destino da parte di Cristo e della Chiesa, vedendo nel rifiuto incontrato da Gesù il "tipo" del rifiuto che la Chiesa va incontrando.

Credere infatti in Cristo significa accettare per sempre l’evento dell’incarnazione di Dio: questo evento, accaduto duemila anni orsono, è reso permanente perché riguarda ogni uomo. Esso non può mai essere staccato dalla concretezza visibile della Chiesa in tutta la sua completa organicità.

Ora penso vi rendiate conto che la domanda sulla Chiesa è radicata nella "magna quaestio" che è ogni uomo a se stesso e per se stesso.

"Purtroppo molti che discutono di teologia e di catechesi, hanno oggi una tale sottigliezza e scaltrezza di linguaggio da poter coniare innumerevoli espressioni e giri di frase che lasciano costantemente incerti il lettore e il fedele proprio sulla questione essenziale: se Gesù Cristo sia vivo oggi tra noi, come persona, unica irripetibile, singolare, così come lo era prima della sua morte, e con tutta la pienezza di vita … dovuta alla risuscitante azione divina del Padre" [A. Sicari, Viaggio nel Vangelo, Jaca Book ed., Milano 1995, pag. 142]. E la risposta a questa essenziale questione è l’esistenza, la realtà della Chiesa.

3. La provvidenza divina ha voluto che fosse presente in mezzo a noi un figlio di Israele: un grande dono questa presenza. Non è certo il luogo e il tempo ora per meditare, sia pure brevemente, fra l’Israele di Dio e noi l’Israele delle genti, fra il popolo di Dio che possiede "l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi" [Rom 9,5] e noi popolo di Dio chiamato per totalmente immeritata misericordia fra i pagani. Mi limiterò ad alcune riflessioni, in continuità penso con ciò che ho detto finora. Sono riflessioni che spero ci aiuteranno a cogliere più profondamente quanto detto finora.

Il popolo di Israele è il segno visibile della presenza nella storia dell’Eterno: la visibilità del Mistero comincia nella vicenda storica di Israele. Il metodo con cui l’Eterno intende incontrarsi con l’uomo inizia a documentarsi e ad esibirsi quando inizia Israele. Esso nasce da un intervento di Dio nella storia umana. "Interroga pure i tempi antichi, che furono prima di te: dal giorno in cui Dio creò l’uomo sulla terra e da un’estremità dei cieli all’altra, vi fu mai cosa grande come questa e si udì mai cosa simile a questa?… ha mai tentato un Dio di andare a scegliersi una nazione in mezzo a un’altra con prove, segni … come fece per voi il Signore vostro Dio in Egitto, sotto i vostri occhi?" [Deut 4,32.34]. Israele nasce da questo incontro e vive di questo incontro. E questa è la sua grandezza unica; è la sua profonda ragione d’essere. Per questo motivo teologico il tentativo di sterminarlo è stato un atto sacrilego che non può essere comparato a nessuna tragedia storica.

La celebrazione della Pasqua è centrale nella vita di Israele perché è in essa che Israele custodisce la sua identità: popolo che incontra il Mistero dentro alla sua storia. Infatti, "l’agnello-pasquale, l’azzima e l’erba amara, che l’Israele delle generazioni nelle sue presenti coordinate spazio-temporali è chiamato a mangiare, non sono qualcosa che si situi a un livello di ordine convenzionale, o tutt’al più psicologico, per richiamare l’uscita dall’Egitto, ma sono proprio essi a far sì che l’Israele delle generazioni sia ora intento a uscire dall’Egitto per mano del Signore" [C. Girando, Eucarestia per la Chiesa, Gregorian University Press-Morcelliana, Roma-Brescia 1989, pag. 142]. È nella concreta visibilità di un rapporto istituito dalla celebrazione, che ogni israelita incontra il Mistero che lo libera: "in ogni generazione e generazione, ognuno è obbligato a vedere se stesso come essendo proprio lui uscito dall’Egitto, siccome è detto: e annuncerai a tuo figlio in quel giorno …". Dice la Mišná [cit. ibid. pag. 135].

Il "metodo" di Dio si continua e raggiunge il suo compimento insuperabile ed insperato nel fatto che Dio stesso si rende visibile perché si fa uomo: "e il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi".

Dio stesso, in persona, ha piegato i cieli ed è disceso; personalmente – non più attraverso i profeti – si è fatto pastore del suo popolo per donargli la vita vera, la vita eterna.

C’è un testo della Pesiqta Rabbati che sembra esprimere l’istante unico, ancora sospeso [fino a quando?], dell’attesa da parte di Israele di uno che sia più che profeta.

Israele rifiuta le parole dei profeti, dicendo a ciascuno di loro: "queste sono consolazioni vane. Come mi consolate invano! Delle vostre risposte non resta che perfidia. Tutti i profeti vanno dal Santo – benedetto Egli sia – e gli dicono: sovrano del mondo abbiamo cercato di consolare Sion, e non ha accettato. Dice il Santo – benedetto Egli sia – venite con me. Io e voi andremo da lei e la consoleremo" [cit. da U. Neri, Ho creduto perciò ho parlato, EDB, Bologna 1998, pag. 138].

Io e voi: questo è accaduto e continua ad accadere oggi perché esiste la Chiesa. E da Israele e in Israele nasce la Chiesa: gli apostoli – le sue colonne – e i primi discepoli, Maria – il cuore della Chiesa – e le prime donne di cui anche conosciamo i nomi, sono figli e figlie di Israele. E con questa primizia di Israele sono chiamati i pagani.

Mi piace allora concludere accostando due testi biblici. Nell’Apocalisse viene descritta la Chiesa nella quale la grazia e la santità abita in pienezza: è la "nuova Gerusalemme … pronta come una sposa adorna per il suo sposo" [Ap 21,1], vera dimora di Dio fra gli uomini. In essa si compie quanto Tobia aveva profetizzato su Gerusalemme: "Generazioni e generazioni esprimeranno in te l’esultanza, e il nome della città eletta durerà nelle generazioni dei secoli … beati coloro che ti amano" [Tb 13,13b.14b].

Ma già ora la nuova Gerusalemme non esiste solo nei desideri, nelle aspirazioni dei cristiani e di ogni vero israelita: la sua intima bellezza e splendore è già ora presente, "così che, nonostante non tutto nella Chiesa visibile sia divino, tuttavia il divino in essa è già qualcosa di visibile". E la sua edificazione è affidata a ciascuno di noi.