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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Settimana Mariana 1998
S. MESSA DI ORDINAZIONE
Cattedrale di Ferrara 10 ottobre 1998

1. “Carissimo, ricordati che Gesù Cristo, della stirpe di Davide, è risuscitato dai morti”. La successione apostolica nella Chiesa si continua attraverso l’imposizione delle mani, perché all’uomo sia sempre ricordato “che Gesù Cristo, della stirpe di Davide, è risuscitato fai morti”. Il divino mistero che stiamo celebrando, la sacra ordinazione di don Francesco, non ha altra ragione d’essere. “Il Signore ha manifestato la sua salvezza, agli occhi dei popoli ha rivelato la sua giustizia”, quando risuscitando dai morti Gesù Cristo, ci ha rigenerati per una speranza viva, per una eredità che non si corrompe (cfr. 1Pt 1,3). Questo avvenimento egli dovrà annunciare.
 La parola di Dio oggi configura le tre possibili risposte a questo annuncio.
 La prima risposta dell’uomo all’annuncio cristiano può essere il rifiuto netto, ostile e chiaro: Paolo, scrivendo la sua lettera a Timoteo, si trova in carcere. A causa del Vangelo soffre fino a portare le catene come un malfattore. Le parole di Gesù si adempiono puntualmente: “se il mondo vi odia sappiate che prima di voi ha odiato me”. E Gesù dà la ragione vera di questa situazione: “Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo … per questo il mondo vi odia” (Gv 15,18-19). E’ una delle peggiori illusioni quella di credere che predicando il Vangelo, il mondo possa ascoltarci sempre volentieri. Lo Spirito Santo che viene questa sera a  prendere dimora del tuo cuore, non è uno spirito di timidezza: è uno Spirito di forza, di amore, di sapienza. Perciò, don Francesco, nella tua fedeltà al Vangelo sopporta ogni cosa per gli eletti, perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo  Gesù, insieme alla gloria eterna. Ben consapevole che se soffrirai per Cristo, con Lui regnerai.
 La seconda risposta dell’uomo all’annuncio cristiano può essere l’indifferenza, il disinteresse superficiale e vacuo. I nove lebbrosi del Vangelo sono guariti dal Cristo: obiettivamente essi sono stati toccati dalla sua potenza salvifica. Di fronte a questo evento accaduto e sperimentato essi restano indifferenti. Sconcertante questa reazione! Essa suscita perfino la dolorosa ammirazione di Cristo: “non sono stati guariti tutti e dieci? e gli altri nove dove sono?” Nell’annuncio del Vangelo, don Francesco, tu avrai a che fare soprattutto con questa reazione: raramente troverai l’ostilità; spesso ti scontrerai con l’indifferenza di chi pensa che la fede cristiana sia un’ipotesi inutile. La vera sfida al nostro annuncio è questo uomo: l’uomo che ha scommesso di poter vivere senza nevrosi in un mondo senza Dio. A dire il vero, il prezzo della scommessa è stato assai elevato: ha dovuto rinunciare al desiderio più profondo del suo cuore. Ha dovuto rinunciare al desiderio di una pienezza di beatitudine: di una pienezza di essere. Ha dovuto rinunciare a se stesso. Tu, don Francesco, anche a questo uomo continua a ricordare “che Gesù Cristo, della stirpe di Davide, è risuscitato dai morti”; perché la Parola del Vangelo possa suscitare la nostalgia di una Presenza, di un incontro atteso sempre, anche se continuamente censurato da una cultura vacua e alleata colla morte.
 La terza risposta dell’uomo all’annuncio cristiano può essere l’accoglienza stupita, gioiosa, di un dono sentito immeritato e necessario allo stesso tempo. Vorrei attirare la vostra attenzione su un particolare. Le due figure che incarnano questa terza risposta sono due “stranieri”. L’uno è un siro; l’altro è un samaritano: due personaggi appartenenti a popoli estranei alla promessa di Dio, secondo la mentalità comune al tempo di Gesù.
 Il fatto ci dona molta materia di riflessione. Il Vangelo che tu don Francesco dovrai annunciare non è un «dialogo colle ideologie» del momento: è all’uomo che tu ti rivolgi, ad ogni uomo. “Tutti i confini della terra hanno veduto la salvezza del nostro Dio”. Solo la persona libera dagli idoli delle piazze culturali, imposti dai potenti di turno; solo la persona libera perché in ascolto solo del suo cuore, incontra la salvezza che è Cristo. Lo Spirito del Signore viene su di te e tu sarai consacrato con l’unzione, perché tu porti il lieto annuncio all’uomo mendicante della vera felicità, tu proclami la vera libertà ad ogni cuore.

2. Ma la S. Chiesa di Ferrara-Comacchio vive quest’ordinazione questa sera con un gioia particolare: è il primo monaco della comunità pomposiana dei “Ricostruttori nella preghiera” che viene ordinato sacerdote. Gioia particolare, perché sono sicuro che la presenza di una sacerdote in quella comunità, la renderà ancora più capace di fare di quel luogo, così santo e carissimo alla nostra Chiesa, una luce che guida l’uomo a Cristo. Ma c’è anche un’altra ragione per provare questa sera una gioia particolare: è un monaco ad essere ordinato sacerdote. Non è una giustapposizione casuale quella fra professione monastica e ministero sacerdotale: esiste fra i due carismi una profondissima connessione. Se il ministero apostolico non assume l’essenza del monachesimo, si burocratizza: che cos’altro è il monachesimo infatti se non «apostolica vivendi forma» (il modo di vivere proprio degli apostoli)? Se reciprocamente il monachesimo non è vissuto nel mistero della comunione ecclesiale, si corrompe nell’evasione. Ti dirò, caro don Francesco, con S. Agostino: “ama la tua quiete e non abbandonarla per nessun motivo al mondo. Però se la madre Chiesa richiede la tua opera, con cuore mite ubbidisce a Dio: non anteporre mai la tua quiete alle necessità della Chiesa” (cfr. Ep. 48,2). Così sia.