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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Solennità di San Silvestro
Crevalcore, 31 dicembre 2007


Testi biblici:
1/Es 32,7-14 (p. 618);
2/2Cor 4,1-2.5-7 (p. 652);
3/Vang Mt 9,35-38 (p.668)


1. Miei cari fratelli e sorelle, la solennità del vostro patrono S. Silvestro ci offre l’opportunità di meditare sulla figura del pastore nella comunità cristiana. Silvestro infatti esercitò il ministero petrino per ben ventidue anni dal 31 gennaio 314 fino al 31 dicembre 334, ed in un momento particolarmente importante nella storia della Chiesa, all’indomani del riconoscimento ufficiale del cristianesimo da parte dell’imperatore Costantino. Quale è dunque l’immagine che la parola di Dio oggi ci offre del pastore della Chiesa?

La prima lettura narra uno dei momenti più drammatici della storia di Israele. Esso ha commesso il grave peccato di idolatria; ha infranto quell’alleanza che aveva appena sancito col Signore. "Si son fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: ecco il tuo Dio, Israele, colui che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto". L’abbandono del Signore comporta la fine del popolo di Israele.

Mosè, il pastore, si pone sulla breccia e "lotta col Signore" perché "desista dall’ardore della sua ira ed abbandoni il proposito di fare del male al suo popolo". Il pastore non separa il suo destino dal destino della comunità: lo condivide fino in fondo e non pensa neppure di abbandonarlo alla sua sorte – alla sorte dell’ira divina – accettando un progetto di gloria personale ["Di te invece farò una grande nazione"].

La condivisione si esprime nella preghiera. E la preghiera ha la forma di un memoriale: "Ricordati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: renderò la vostra discendenza numerosa come le stelle".

Miei cari fratelli e sorelle, questa pagina prefigura profeticamente quanto avviene in ogni comunità cristiana. Una veneranda norma canonica obbliga i parroci a celebrare l’Eucarestia nei giorni di festa per il loro popolo. È la suprema condivisione che i vostri pastori fanno del vostro destino davanti a Dio. Essi fanno memoria davanti al Padre del sacrificio di Cristo – questo è l’Eucarestia – perché il Padre adempia le promesse fatte in Cristo. Ogni domenica i vostri pastori si pongono sulla breccia, come Mosè, e "lottano col Signore" perché vi usi ogni misericordia.

2. La seconda lettura ci presenta l’altro fondamentale servizio che il pastore rende alla sua comunità. L’Apostolo descrive questo servizio nel modo seguente: "rifiutando le dissimulazioni vergognose, senza comportarvi con astuzia né falsificando la parola di Dio, ma annunziando apertamente la verità, ci presentiamo davanti ad ogni coscienza, al cospetto di Dio".

Ciò che i pastori devono in primo luogo ai loro fedeli è di "annunciare la verità". Non una qualsiasi verità: "noi infatti non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore". E lo devono fare, questo insegnamento, "rifiutando le dissimulazioni vergognose, senza comportarci con astuzia né falsificando la parola di Dio". Quando infatti i pastori parlano, hanno un destinatario preciso: la coscienza di chi li ascolta.

Miei cari fratelli e sorelle: ho pronunciato una delle parole più grandi del vocabolario umano. Ho detto: la coscienza. Essa non è affatto l’insieme delle nostre opinioni; non è il nostro gusto o sentire. Essa è il sacrario più intimo dell’uomo, nel quale è Dio stesso che gli si rivolge intimandogli la sua santa legge di fare il bene e di evitare il male. Tradire la propria coscienza è il peggior delitto che un uomo possa compiere. È a questa istanza che il pastore si rivolge quando vi annuncia la verità. Attendendo e sperando che il Dio che all’inizio della creazione ha fatto rifulgere la luce, faccia risplendere nei vostri cuori la viva conoscenza di Cristo.

3. Le prime due letture parlavano di noi pastori. Il santo Vangelo parla di voi, cari fedeli. In esso Gesù vi invita a pregare: "la messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!".

Queste parole di Gesù sono chiare. La messe c’è: è già pronta. È necessario che sia portata nel granaio. E a questo scopo gli operai scarseggiano. Dio ha voluto aver bisogno di essi. Ha bisogno di uomini disposti a "cooperare col Signore" affinché questa messe che sta maturando nei cuori degli uomini possa veramente entrare nei granai dell’eternità.

Miei cari fratelli e sorelle, anche la messe che è il popolo di Dio in Bologna comincia a scarseggiare gravemente di operai. È necessario che preghiate, che scuotiate il cuore di Dio. Fatelo per l’intercessione del vostro patrono S. Silvestro, che fu grande operaio della messe del Signore.