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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Ultimo venerdì del Crocefisso
Pieve di Cento, 30 marzo 2012


1. Il Vangelo che abbiamo ascoltato, cari fratelli e sorelle, ci rivela la coscienza che Gesù aveva di se stesso. "Io e il Padre siamo una cosa sola". Queste parole rivelano che Gesù ha la consapevolezza, nella sua umanità, di avere una relazione con Dio assolutamente unica, tale che nessun profeta prima di lui si era attribuita.

Sulla base di questa coscienza che Gesù aveva di Se stesso, ogni domenica la Chiesa proclama la sua fede e dice: "Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio nato dal Padre prima di tutti i secoli, Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero".

Da che cosa l’uomo può essere condotto ad affermare l’unicità incomparabile di Gesù? Il Vangelo appena letto lo dice: "vi ho fatto vedere molte opere buone [ … ] se non compio le opere del Padre mio, non credetemi". Come in fondo avviene per ogni persona: la si riconosce dal suo agire, così la divina persona di Gesù si rivela nelle opere da Lui compiute, anzi nelle "opere buone". Di che cosa parla Gesù? A quali opere intende riferirsi?

Le "opere buone" sono dette da Gesù anche "le opere del Padre mio": compiute cioè dal Padre. Possiamo allora dire che si tratta della grande opera della nostra salvezza che Dio compie per mezzo di Gesù; si tratta dell’azione redentiva che il Padre compie in Gesù, e che si rivela in tutto l’operare di Gesù. È quest’azione, questa opera che rivela la persona di Gesù a chi vuole vedere.

"A chi vuole vedere". In forza della fede, la narrazione evangelica delle opere compiute da Gesù non è estenuata nella sua storica concretezza, ma è letta nella sua profondità; la comprendiamo come la testimonianza sicura e certa dell’opera di Dio per la nostra salvezza. Il papa S. Leone, rivolgendosi ai suoi fedeli, dice: "o anima cristiana, rifuggendo dall’errore e dimostrandoti discepola della verità, affidati alla narrazione del Vangelo e, come se tu stessa ti trovassi in compagnia degli apostoli, considera sia con lo sguardo del corpo sia con la vista dello spirito le opere che il Signore ha compiuto visibilmente" [Sermone 33, 2. 3]. La fede supera la barriera del tempo ed istituisce una vera e propria contemporaneità con Cristo mediante i santi Sacramenti.

2. Esiste un’opera buona compiuta da Gesù che dona al credente la suprema rivelazione della Sua divina persona. Quale opera?

C’è una pagina del vangelo di Marco di struggente bellezza. Si parla del centurione romano che aveva la responsabilità dell’esecuzione della condanna capitale di Gesù; un uomo dunque pagano, che semplicemente da militare leale stava eseguendo ordini. Avviene qualcosa di straordinario: "Allora il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse: veramente quest’uomo era Figlio di Dio" [Mc 15, 39]. Notate bene. Il centurione non crede ascoltando dottrine sublimi o vedendo fatti miracolosi. Crede, "vistolo morire in quel modo". In che modo? Come mai la morte sulla Croce fu la suprema rivelazione della sua identità? Posso solo balbettare una risposta.

La morte di Gesù è la rivelazione che Dio ama l’uomo di un amore incondizionato, un amore che è offerto all’uomo e lo invita ad un’incomprensibile amicizia. Di fronte ad un amore offerto si hanno solo due scelte: acconsentirvi - rifiutarlo. La prima si chiama fede; la seconda, incredulità. Per l’incredulo questa mendicanza da parte di Dio dell’amore dell’uomo, è vergognosa e indegna di Dio; per il credente è l’unica vera "cifra" del Dio fattosi uomo, che lo rende credibile.

Noi questa sera vogliamo vivere come un momento di contemplazione della grande opera di Gesù: la sua morte sulla Croce. I vostri padri introducendo nella comunità questa celebrazione, hanno compiuto una scelta pedagogicamente sapiente. Vi hanno educato a "guardare a colui che hanno trafitto". Cioè a credere sempre saldamente all’amore che Dio ha per ciascuno di noi.

Sì, Signore Gesù crocefisso: donaci di credere al tuo amore; di credere che niente ci potrà separare dall’amore che tu hai per noi, se non siamo noi a deciderlo. Che ciò non accada mai, perché sarebbe per noi la morte e la disperazione eterna.