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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Domenica Quarta di Pasqua
Cattedrale, 26 aprile 2015


Molte sono le immagini, cari fedeli, di cui si serve il Signore Dio per esprimere il suo amore verso il suo popolo; e Gesù verso la sua Chiesa. Una di esse è l’immagine del Pastore.

Certamente essa nasce da un contesto economico del quale la pastorizia era un fattore importante. Tuttavia l’immagine pastorale trasmette significati molto profondi e permanenti. Quali? Poniamoci all’ascolto della pagina evangelica.

1. «Il buon pastore offre la vita per le pecore». Vengono totalmente capovolti i rapporti. Ma da che mondo è mondo, non sono le pecore a essere sfruttate e uccise per il pastore? Fuori dalla immagine: chi esercita un potere non è continuamente tentato di servirsi di coloro su cui lo esercita, anziché servirli? Gesù dona la sua vita per noi che siamo il suo gregge. 

Considerate, cari fratelli e sorelle, come di fronte a questo pastore che dona la sua vita noi ci rendiamo conto che è il suo modo di amare che misura la distanza fra il Dio fattosi uomo e l’uomo medesimo. Non è la distanza fra la sua onnipotenza e la nostra fragilità; fra la sua sapienza e la nostra stoltezza. E’ il suo modo di amare: «il buon pastore offre la sua vita per le pecore»

Non c’è nulla e nessuno che lo costringa a questo. E’ la libertà propria dell’amore: «nessuno me la toglie [la vita]; ma la offro da me stesso» Il donarsi di Gesù è atto supremamente libero.

«Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me». Con queste parole viene indicata una qualità dell’amore di Gesù, buon pastore. Il suo non è un amore generico. È un amore che si rivolge a ognuno di noi singolarmente preso: «mi ha amato e ha dato se stesso per me» [Gal 2,20] scrive San Paolo. Un amore così personale implica che Gesù conosca ciascuno di noi, uno a uno.

2. Ma la Chiesa oggi ci chiede di volgere il nostro sguardo su un fatto particolare compiuto dall’amore di Gesù: Egli ha voluto che la cura che si prende del suo gregge fosse resa visibilmente presente mediante coloro cha ha scelto come suoi pastori. E’ Lui, il Signore, che guida la sollecitudine di noi pastori, «così che ovunque appaia lo stesso splendore per mezzo di molti raggi dell’unica fonte luminosa, e non possa essere che a gloria di Cristo il merito di qualsiasi pastore» [SAN LEONE MAGNO, Sermone 50,7.1].

Pregate, dunque, cari fedeli, perché ciascuno di noi sia il sacramento vivente del Cristo che «offre la vita per le pecore» perché ciascuno di noi vi faccia sentire il calore e la luce dell’affetto che lega Cristo a ciascuno di noi; perché nessuno di noi “quando vede venire il lupo, abbandoni il gregge e fugga”, più preoccupato del consenso degli uomini che del vero bene del gregge. 

Ma la celebrazione odierna ci rende pur consapevoli anche di un altro fatto. I pastori delle comunità cristiane sono necessari alla vita cristiana delle medesime, poiché le nutrono colla predicazione del Vangelo e le santificano coi sacramenti. La loro mancanza priva i credenti di una presenza voluta da Cristo stesso.

La nostra Chiesa sta soffrendo di questa mancanza; sta attraversando, al riguardo, una grande prova. Preghiamo perché il Signore ci illumini circa le nostre responsabilità; ci faccia vivere questa grave prova in spirito di penitenza e di conversione al suo Vangelo; ci doni quel numero di sacerdoti tale da impedire che le nostre comunità siano “rapite e disperse” da chi le vuole staccate da Cristo, unica fonte di vita.