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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Solennità del Natale del Signore
S. Messa della notte
Cattedrale, 24 dicembre 2014


1. Cari fratelli e sorelle, celebrando in questa notte santa la nascita del Verbo divino nella nostra natura e condizione umana, la Chiesa parla nei testi liturgici della luce. La luce è la parola chiave di questa liturgia notturna.

Iniziandola abbiamo pregato: «o Dio, che hai illuminato questa santissima notte con lo splendore di Cristo, vera luce del mondo». E nella prima lettura, il profeta ci dice: «il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse». Ed anche S. Paolo nella seconda lettura, con altre parole, parla di luce. Egli dice: «è apparsa la grazia di Dio». L’apparizione è l’irruzione della luce divina nel mondo.

Anche nel santo Vangelo, è narrato che quando l’angelo annuncia ai pastori la nascita di Gesù, dice che ad essi apparve la gloria di Dio e «li avvolse di luce».

Che cosa vuole dirci la parola di Dio e la Liturgia della Chiesa presentandoci la nascita di Gesù come l’irruzione di una grande luce nel nostro mondo pieno di tenebre ed incertezze?

Voi sapete bene, cari fratelli e sorelle, che presso ogni popolo e cultura luce-tenebre denotano due condizioni spirituali in cui può trovarsi a vivere la persona umana. La luce significa conoscenza, significa verità che elimina le tenebre dell’ignoranza e dell’errore. Chi vive nella luce, conosce quale via conduce alla vita.

Allora una seconda domanda: perché proprio questa notte – più precisamente: la nascita del Bambino di Betlemme – fa irrompere nel mondo e nella coscienza dell’uomo la luce che scaccia le tenebre dell’errore e dell’ignoranza? Rispondendo a questa domanda, entriamo in pieno nel mistero natalizio.

La persona umana, se non vuole mutilare la sua ragione, sente il desiderio naturale di avere risposte alla sua ricerca di senso; alla sua domanda sulla costituzione ultima della realtà. Desidera incontrare il Mistero. Desidera guardare oltre le cose penultime e mettersi in ricerca di quelle ultime.

Questa notte abbiamo la risposta a questo desiderio: Dio è quel bambino posto in una mangiatoia. Dio è così grande che può farsi piccolo; così potente che può farsi inerme; così amante dell’uomo da nascere nel modo più umile: perché l’uomo non abbia paura di accostarsi a Lui; non abbia paura di condividere con Lui la sua vicenda umana. 

La luce che rifulge in questa notte è la luce dell’Amore di Dio per l’uomo. E’ questa la verità che questa notte illumina le nostre menti, la verità di un Dio che si priva di ogni gloria per esserci vicino.


2. Ma c’è una seconda dimensione nel mistero di luce che stiamo celebrando. Essa è brillata nella coscienza dei pastori, ed in seguito nella coscienza di ogni uomo che si accosta al Dio-bambino con umiltà.

Cari fratelli e sorelle, il rischio più grande che corre ogni persona umana è di perdere se stessa. Quanta sofferenza portano molte persone nel buio dell’anonimato, della solitudine! Cancellati dai processi della storia, in cui conta la quantità o la massa. Era la condizione dei pastori di cui parla il Vangelo.

Ma una luce si accende nella loro coscienza. “Se Dio mi ama fino a questo punto, quanto sono prezioso davanti ai suoi occhi, quanto sono grande!”. Questa notte per la prima volta nel cuore dell’uomo fiorì lo stupore per la sua dignità. La coscienza della dignità di ogni persona si è accesa, per la prima volta, in questa notte. Conoscendo Dio nel bambino di Betlemme, l’uomo ha conosciuto se stesso.

Veramente, «il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce», poiché in questa notte «è apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza».