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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Venerdì Santo – "in Passione Domini"
Cattedrale di S. Pietro, 21 marzo 2008

1. In questa santa azione liturgica ci è chiesto di dimenticare completamente noi stessi. "Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto", ci ha detto il profeta. È questo ciò che dobbiamo fare in questo momento: volgere lo sguardo a colui che abbiamo trafitto.

Non possiamo però non chiederci: perché tutto questo? Perché questa passione, questa morte? Certamente disponiamo di risposte pronte, a portata di mano. Da sempre esistono tribunali che emettono sentenze sbagliate: è capitato anche a Gesù. Quanti innocenti sono stati condannati lungo i secoli! Oppure possiamo pensare ad una ragione più alta e misteriosa. In questo mondo il giusto è perseguitato, l’innocente è combattuto, non raramente l’ingiustizia e la prepotenza hanno il sopravvento.

Senza negare che queste ragioni abbiano una loro verità e plausibilità, esse tuttavia sono insoddisfacenti.

L’inizio della narrazione che Giovanni fa della Passione del Signore è impressionante. È Gesù che liberamente decide di consegnarsi; la sua passione e la sua morte è la conseguenza di una scelta libera: "si è offerto perché Lui stesso lo ha voluto". Sempre nel Vangelo secondo Giovanni Gesù aveva detto di non fare nulla da se stesso, ma che il cibo della sua vita era fare la volontà del Padre. Gesù dunque ha scelto liberamente di morire, e nel modo che ora abbiamo sentito narrare.

Il Padre ha voluto che il suo Figlio unigenito subisse il supplizio della croce. Il Figlio ha dato Se stesso alla morte "mosso dallo Spirito eterno" [cfr. Eb 9,14].

Miei cari fratelli e sorelle, la nostra mente prova come una sorta di vertigine nell’ascoltare dalla parola di Dio la rivelazione di questo mistero: la morte dell’Unigenito è un fatto nel quale a titolo diverso sono coinvolte le tre divine Persone. Perché il mistero di Dio ha voluto alla fine mostrarsi, rivelarsi in questo modo, cioè nella passione e morte del Verbo fatto carne?

È ancora il Vangelo di Giovanni che ci mette finalmente sulla strada: "Dio … ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" [3,16]. E l’apostolo Paolo: "Dio dimostra il suo amore verso di noi perché mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi" [Rom 5,8]. La croce è stata pensata, voluta e compiuta perché l’uomo si convincesse che Dio lo ama: è stata pensata e voluta come inequivocabile dimostrazione della passione di amore che Dio ha per l’uomo. Ancora l’apostolo Paolo: "Egli … non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi" [Rom 8,32].

"Non ha risparmiato", dice il testo sacro. Sembra come sottintendere la volontà divina di non fermarsi di fronte a nulla, di non "risparmiarsi nulla" pur di convincere l’uomo che Dio lo ama.

Miei cari fratelli e sorelle, noi questa sera dobbiamo uscire da questa Cattedrale con nel cuore un’intima inconfutabile certezza: "Dio mi ama" e "se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?" [Rom 8,31]. Un grande poeta greco aveva avuto come la percezione istantanea di ciò che tutto questo significa, quando scrisse: "Viviamo un giorno. Cosa siamo noi? Cosa non siamo mai? Sogno di un’ombra/, un uomo. Ma quando un bagliore, che è dono divino, ci giunga,/ lucente fulgore sovrasta noi uomini, e dolce è la vita" [Pindaro, Pitica 8,95-97; trad. C. Neri].

L’uomo cessa di essere il sogno di un ombra, poiché un lucente fulgore questa sera lo sovrasta: la certezza che Dio lo ama e si prende cura di lui.

2. Perché tanto "interesse" di Dio a dimostrare all’uomo il suo amore, se non perché questi Gli corrisponda? "Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me", aveva detto Gesù. L’attrazione non è esercitata da un potere che costringe, ma da un amore che convince.

Fra poco faremo la "Preghiera universale": porremo davanti al Padre tutte le necessità del mondo, della Chiesa, di ogni uomo credente e non. La "causa dell’uomo" sta a cuore a Dio. Anzi nel suo Figlio unigenito l’ha fatta propria: la "causa di Dio" non è altro che la "causa dell’uomo". Dal momento che "la gloria di Dio è l’uomo che vive" [S. Ireneo, Contro le eresie IV,20,7].

Proprio "volgendo lo sguardo a colui che hanno trafitto", chi crede giunge a conoscere la sublime dignità dell’uomo e a dire: "quale valore deve avere l’uomo davanti agli occhi del Creatore se "ha meritato di avere un tanto nobile e grande salvatore"" [Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptor hominis, 10].