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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


DEDICAZIONE DELLA CATTEDRALE
Cattedrale, 20 ottobre 2005


1. "Voi vi siete invece accostati al monte Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste". Carissimi, fin dall’inizio ciò che per il popolo dell’antica alleanza era Sion, la città di Dio cioè ed il Santuario della sua presenza, è per il popolo della nuova alleanza la Chiesa. Non solo, ma il testo santo appena proclamato ci fa comprendere una duplice trasformazione di questa visione. Da una parte questa città santa è diventata il Corpo vivente di Cristo, e dall’altra in essa l’uomo – in forza del sangue di Cristo – diventa partecipe di una santità che trasforma ontologicamente la nostra persona, così da divenire noi stessi il tempio nel quale entra la Gloria di Dio. Fin dall’inizio, la Chiesa apparve agli occhi dei fedeli la santa "adunanza festosa", nella quale in una "eucarestia" che unisce la lode umana alla lode "dei primogeniti inscritti nei cieli", viene celebrata la grandezza del Padre.

In uno dei primi scritti non biblici, S. Clemente papa esprime in modo mirabile questa "beata pacis visio": "miriadi e miriadi stavano intorno a Lui e mille migliaia lo servivano e gridavano: santo, santo, santo il Signore Sabaoth, tutta la creazione è piena della sua gloria. E noi, riuniti nella concordia e dall’intimo come da una sola bocca, gridiamo con insistenza verso di Lui che ci renda partecipi delle sue grandi e gloriose promesse" [Lettera ai Corinzi XXXIV, 6-7; in I Padri Apostolici, CN ed., Roma 1989, pag. 71-72].

Questa visione del mistero della Chiesa non è la fuga in un imprecisato "mondo spirituale". È mistero che in tutto il suo splendore prende corpo in senso letterale nelle nostre comunità. Il santo padre infatti aggiunge: "Si conservi dunque nella sua integrità il corpo che noi formiamo in Cristo Gesù e ciascuno di sottometta al suo prossimo, secondo la grazia in cui fu posto. Il forte si prenda cura del debole, e il debole rispetti il forte. Il ricco soccorra il povero, il povero benedica Dio per avergli dato chi supplisce alle sue indigenze" [XXXVIII, 1-2; ibid. pag. 74] .

Noi stiamo vivendo questo avvenimento mirabile narrato dalla Scrittura. Ci siamo accostati al monte Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, ma soprattutto "al Mediatore della Nuova Alleanza e al sangue dell’aspersione dalla voce più eloquente di quella di Abele". Quel sangue di cui – come amava dire Caterina – la Chiesa è "bottiga".

2. "Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo"; "la gloria del Signore entrò nel tempio per la porta che guarda ad Oriente". Qui si parla dello stesso ingresso. La gloria di Dio entra nel tempio che ne era stato privato quando la salvezza donata gratuitamente al pubblicano ridona all’uomo la figliazione di Abramo. Tutti infatti avevamo peccato ed eravamo privi della gloria di Dio, ma siamo giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù [cfr. Rom 3,23-24]. La giustificazione per pura grazia fa rientrare nell’umanità la gloria di Dio, e nasce la Chiesa "immaculata ex maculatis". La casa di Zaccheo diventa il tempio della gloria di Dio ed accade quanto S. Clemente aveva detto circa il corpo di Cristo ["il ricco soccorra il povero"]: "ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri".

Carissimi è dentro a questo contesto che scopriamo il senso e la verità del ministero apostolico di cui oggi celebriamo il suo simbolo più forte: la cathedra episcopalis.

Ci facciamo aiutare ancora una volta da un Padre della Chiesa, S. Agostino. È il commento ad un testo del Cantico che recita: "Aprimi, sorella mia, mia amica …" "Mi sono tolta la veste, come indossarla ancora? Mi sono lavata i piedi, come ancora sporcarli?" [5,2-3]. Nella sua meditazione, Agostino vede nell’amato che bussa alla porta Cristo stesso e nell’amata la Chiesa, cioè le persone unite a Cristo nella fede e nell’amore.

Ma come ci si può sporcare i piedi andando incontro a Cristo? La risposta ci tocca profondamente. Chi non vuole aprire è chi si dedica alla pura contemplazione del Signore, chiuso nella sua solitudine. Proprio allora Cristo bussa e dice: "tu riposi e la porta è chiusa dinanzi a me, tu godi della quiete riservata a pochi mentre, per il moltiplicarsi dell’iniquità, la carità di molti si raffredda… Aperi mihi, praedica me. Come potrò entrare in coloro che mi hanno chiuso la porta, se non c’è chi mi apre? e come potranno udire, se non c’è chi predica?" [Comm. al Vangelo di Giov. 57,4; NBA XXIV, pag. 1091]. Siamo chiamati ad andare ed annunciare Cristo, anche e soprattutto a coloro ai quali non si arriva per nessuna strada se non per quella sporca del mondo. Anche a coloro che come Zaccheo sono saliti sull’albero della Chiesa ma senza porvi il loro nido, la loro dimora.

La cathedra episcopalis che oggi celebriamo non indica né connota un "ministero seduto", ma un ministero che possiede la forza "per ottenere l’obbedienza alla fede" [Rom 1,5], dal momento che non ci dobbiamo vergognare del Vangelo "poiché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede" [16].

Ecco, carissimi fratelli. Partiamo da questo giorno tanto solenne rapiti dalla bellezza della nuova Gerusalemme presente ed operante nella nostra Chiesa, e perciò decisi a "sporcarci i piedi" lungo le strade del mondo, alla ricerca dell’uomo perché non sia più privo della gloria di Dio.