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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Celebrazione Francescana
Cattedrale, 17 settembre 2009


1. "Fratelli, quanto a me, non sia mai che io mi vanti di altro che della croce del nostro Signore Gesù Cristo". Cari fratelli e sorelle, queste parole dell’Apostolo illuminano di luce singolare questa solenne celebrazione dell’ottavo centenario dell’approvazione della prima regola di S. Francesco. E reciprocamente questa celebrazione ci fa entrare più profondamente nel significato della parola apostolica.

L’apostolo pone ogni suo vanto nella croce di Cristo. "Ogni (suo) vanto": cioè ogni sicurezza, ogni motivo di gloria, ogni ragione di vivere, nella croce, nell’amore crocefisso di Cristo. Tutto il resto lo ritiene una perdita [cfr. Fil 3,7-9].

"E dopo che il Signore mi dette dei fratelli" scrive Francesco nel Testamento "nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del vangelo. E io lo feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor Papa me lo confermò" [Opuscola S. Patris Francisci A., Grottaferrata 1978, pag. 310 ]. "Vivere secondo la forma del vangelo", è ciò che viene rivelato a Francesco come il progetto della sua vita e della vita dei fratelli datigli dal Signore. È il vangelo come "forma vitae" che viene divinamente ispirato a Francesco.

Ma che cosa significa "vivere secondo la forma del vangelo"? non hanno questo progetto tutti i grandi fondatori? Benedetto nel prologo della sua Regola designa la sua comunità come "scuola del vangelo". Ignazio coi suoi Esercizi Spirituali non ad altro vuole portare l’esercitante che ad una perfetta sequela Christi. "Io porto nel mio corpo il marchio di Gesù", ci ha detto l’Apostolo. Francesco pensa ad un stile di vita che porta il "marchio di Gesù"; nella quale cioè si imprime così profondamente lo stile, la forma di vita di Cristo che la vita del frate esprime oggi la stessa esistenza di Gesù.

Ciò spiega perché Francesco non prende a modello, come al suo tempo avveniva per molti religiosi, la comunità primitiva di Gerusalemme [cfr. At 2,44-47], ma la vita stessa di Gesù. Ciò spiega anche le sostanziali innovazioni che Francesco introduce nella disciplina canonica della vita religiosa. "Al posto del monasterium c’è il mundus … al posto della stabilità in un luogo (stabilitas loci) c’è l’andare per il mondo (ire per mundum)" [P. Martinelli, in La grazia delle origini (A.A.V.V.), EDB 2009, 28].

"Portare il marchio di Gesù" non significa solo una sequela esteriore di Gesù in povertà, umiltà, itineranza, ma più profondamente essere "marchiati" nell’intimo da Gesù: dalla sua relazione al Padre, dalla sua filiale obbedienza, dall’intima partecipazione alla sua passione.

Tutto questo raggiungerà il suo vertice nel fatto della stigmatizzazione: "io porto nel mio corpo il marchio di Gesù". L’amore di Cristo che dona se stesso sulla Croce si imprime anche fisicamente in Francesco, che diventa così l’espressione visibile del Crocefisso.

Dentro a questa logica cristocentrica, Francesco non può non incontrare la Chiesa; non può non porsi in una relazione necessaria colla Chiesa. Nel suo cammino di conversione, la chiamata a "riparare la Chiesa" è un momento decisivo; "è il signor Papa me lo confermò". La Chiesa, santa e cattolica, non si sostituisce alla rivelazione dell’Altissimo: conferma che ciò che Francesco ha visto è divina rivelazione.

2. Cari fratelli e sorelle, il Santo Padre Benedetto XVI visitando Assisi il 17 giugno 2007, scriveva al Ministro generale dei Frati minori conventuali: "Chiamato a vivere secondo la forma del vangelo, il Poverello comprese se stesso interamente alla luce del vangelo. Proprio di qui nasce la perenne attualità della sua testimonianza".

Queste parole illuminanti ci aiutano a capire la drammatica attualità di questa celebrazione francescana.

"Comprese se stesso interamente alla luce del vangelo". Viene così suggerito il vero dramma dell’uomo di oggi: quale è la misura di cui si serve per comprendere se stesso e misurare la sua dignità? Quale è la luce che lo guida a comprendere ed interpretare l’enigma della sua esistenza?

Sono spesso misure limitate, così che l’uomo per così dire si imprigiona da se stesso dentro la finitudine, ed accorcia l’estensione del suo desiderio di beatitudine: spem nimis longam reseces.

E quando elegge come ultima misura di se stesso il proprio io e la sua spontaneità, diventa suddito di quella "tirannia del relativismo" che spegne ogni gusto della vita.

Francesco "comprese se stesso interamente alla luce del vangelo". Quando la misura dell’uomo diventa il vangelo, nasce nel suo cuore la "perfetta letizia": la lode dell’Altissimo Dio, lo stupore per la sua dignità, la capacità contemplativa della creazione intera. Quando la luce che svela all’uomo l’enigma della sua vita, è la luce del vangelo, egli viene in possesso del diritto di sperare una beatitudine infinita.

Cari fratelli della famiglia francescana, avete una grande responsabilità per la Chiesa e per il mondo: custodire e difendere il grande carisma di Francesco. Sì: anche difenderlo. Da tre insidie soprattutto: dall’ecologismo, dal pacifismo, dal relativismo.

Cari fratelli e sorelle, Francesco otto secoli orsono ci ha detto – ed il signor Papa lo ha confermato – una cosa alla fine assai semplice: vivere il vangelo è l’unica vera vita dell’uomo; vivere il vangelo è possibile. E questo è tutto.