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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


S. NOME DI MARIA
Tre Giorni Sacerdoti, 12 settembre 2005

1. "Allora Maria disse. Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto". Carissimi fratelli, il Signore ci dona di porre la nostra tre giorni sotto la protezione del S. Nome di Maria, sperimentandone la forza e la dolcezza. E ci chiede di immergerci dentro al consenso mariano: "eccomi sono la serva del Signore"; di porre il nostro sacerdozio dentro l’obbedienza mariana: "avvenga di me quello che hai detto".

Il profeta dice: "chi ha misurato con il cavo della mano le acque del mare e ha calcolato l’estensione dei cieli con il palmo? Chi ha misurato con il moggio la polvere della terra, ha pesato con la stadera le montagne e i colli colla bilancia?" [Is 40,12-13]. Ciò che il profeta riteneva impossibile è avvenuto nella persona di Maria. Il "cavo della sua mano" ha misurato l’immensità del Mistero, poiché Esso si è chiuso dentro lo spazio ristretto del suo grembo. Il "palmo della sua mano" ha calcolato l’estensione dei cieli, poiché questi hanno ridotto la loro misura dentro il grembo di Maria. In Lei e su di Lei, fragile ed umile stadera, si è posato tutto il peso della Gloria di Dio: "lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo".

Che cosa ha reso possibile questo avvenimento? l’obbedienza di fede, il consenso di Maria. Ella si è lasciata semplicemente occupare dalla Presenza divina, rendendosi pienamente malleabile, senza nessuna resistenza o durezza. È questo il mistero più profondo della nostra libertà. È una facoltà finita, ma nell’obbedienza della fede essa diventa capace di attingere la stessa Realtà infinita: si estende all’infinito. Ciò è accaduto in modo unico quando Maria ha detto: "eccomi, sono la serva del Signore".

L’obbedienza della fede ha reso feconda Maria, poiché l’ha resa capace di generare lo stesso Figlio di Dio nella nostra natura umana.

2. Carissimi fratelli, vi dicevo all’inizio di deporre il nostro sacerdozio dentro al consenso mariano. Che cosa significa questa "deposizione"?

L’apostolo parlando dei ministri della Nuova Alleanza dice: "noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi" [2Cor 4,7].

La riflessione paolina richiama il testo profetico. Anche il cavo delle nostre mani è chiamato a misurare le acque del mare e il nostro palmo a calcolare l’estensione dei cieli? Anche le nostre spalle portano il peso delle montagne? "noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta". Di quale tesoro parla l’Apostolo? Il tesoro di un incontro nel quale abbiamo conosciuto "la gloria divina che rifulge nel volto di Cristo" e siamo stati inviati ad annunciarlo; il tesoro della potenza di Dio che opera nella predicazione del Vangelo [cfr. Rom 1,16-17] che è stata affidata alla povertà della nostra parola. Infatti "è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione" [1Cor 1,21b].

Esistenzialmente come è possibile vivere bene questo condizione? L’apostolo stesso ci dona la risposta: "animati … da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: ho creduto, perciò ho parlato, anche noi crediamo e perciò parliamo" [2Cor 4,13].

Carissimi fratelli, qui c’è il "nodo" centrale della nostra vita sacerdotale: l’obbedienza della fede, mediante la quale trasferiamo la proprietà di noi stessi da noi stessi a Cristo nel servizio della sua Chiesa.

Più concretamente. Ciascuno di noi possiede se stesso mediante la sua libertà, l’esercizio della sua libertà. Dispone di se stesso mediate la sua libertà.

Maria dice: "eccomi, sono la serva del Signore", e ritrova se stessa in una modalità nuova e più vera. Deponendo il nostro sacerdozio in questo consenso mariano, noi apriamo totalmente la nostra libertà ad essere abitati dal dono [eucaristico] di Cristo alla sua Chiesa. In forza di questa "deposizione" non ti appartieni più, sei stato espropriato nei tuoi gusti, nelle tue preferenze, nell’esercizio della tua libertà, perché sei divenuto proprietà di Cristo per il servizio della Chiesa. Questa espropriazione ha la sua radice ed il fondamento nell’obbedienza della fede, ma essa è nient’altro che la carità pastorale. E la persona umana realizza se stessa solo nel dono sincero di se stessa.

Ecco, carissimi fratelli, la grandezza e la bellezza della nostra esistenza sacerdotale, "perciò" diciamo con Paolo "investiti di questo ministero per la misericordia che ci è stata usata, non ci perdiamo d’animo" [2Cor 4,1]. E, non dimentichiamolo mai, "se vai dietro [a Maria] non devierai, se la preghi non dispererai; se pensi a lei non potrai sbagliare. Se lei ti guida non cadi; se ti protegge non puoi aver paura" [S. Bernardo].