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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Ordinazione di otto diaconi permanenti
Cattedrale di San Pietro, 12 febbraio 2012


1. La Chiesa, nella sua sapienza pedagogica ci fa ascoltare oggi, e la legge di Mosè circa il comportamento con cui trattare il lebbroso, e la guarigione che Gesù compie di uno di loro.

L’accostamento svela in tutto il suo splendore la misericordia e la potenza salvifica di Gesù.

Dice dunque la legge di Mosè: "Sarà immondo finché avrà la piaga; è immondo, se ne starà solo, abiterà fuori dall’accampamento". La norma è chiara e condannava il lebbroso ad una totale esclusione ed emarginazione dal consorzio umano: nessuno doveva avere contatti di nessun genere. Non per nulla il libro di Giobbe dice che la lebbra è una "primogenita della morte" [Gb 18, 13]. La solitudine cui era condannato il lebbroso, lo portava inesorabilmente alla morte.

Riascoltiamo ora il Vangelo: "venne a Gesù un lebbroso". Lascia dunque la sua solitudine per avvicinarsi a Gesù, e Gesù non lo caccia. Anzi compie il gesto più trasgressivo: "mosso a compassione stese la mano, lo toccò e gli disse: lo voglio, guarisci".

Avete sentito: "lo toccò". Era ciò che la legge proibiva. Gesù non ha paura; non tiene a distanza chi soffre, perché è "mosso a compassione". L’autore della lettera agli Ebrei scriverà: "non abbiamo un sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia" [Eb 4, 15-16].

2. Il seguito del racconto evangelico è più singolare. Gesù "ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: guarda di non dire niente a nessuno". Il fatto della guarigione non poteva ovviamente essere tenuto nascosto. Ed infatti Gesù stesso dice: "presentati al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato". Ciò che doveva rimanere nascosto era il fatto che la guarigione era stata compiuta da Gesù.

Questa volontà di Gesù di tenere nascosta la sua potenza taumaturgica è talmente decisa che Egli "se ne stava fuori, in luoghi deserti", anche se comunque "venivano a Lui da ogni parte".

Come si spiega questo comportamento di Gesù, che troveremo altre volte nella lettura del Vangelo secondo Marco che stiamo facendo quest’anno? Mi aiuti il Signore a spiegarvelo chiaramente, e voglia la vostra carità prestarmi attenzione.

Benché Gesù voglia nascondersi, Egli esercita un tale fascino che tutti "venivano a Lui da ogni parte".

In una situazione come questa, la missione di Gesù e la sua obbedienza al disegno del Padre su di Lui erano altamente a rischio. Il rischio di ridurre la sua persona e la sua opera ad un evento straordinario ma terreno.

In una situazione analoga, dopo la moltiplicazione dei pani, Gesù dirà a chi lo cercava: "voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati, procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna" [Gv 6, 26-27].

Gesù vuole nascondere la sua identità profonda perché intende percorrere fino in fondo il suo cammino di umiliazione e di morte. È sulla Croce che Gesù rivela pienamente chi è. Di fronte al Crocefisso "il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo disse: veramente quest’uomo era Figlio di Dio" [Mc 15, 39]. Quanto è detto nel Vangelo oggi, lo vediamo pienamente realizzato sulla Croce: in Gesù è Dio stesso che, mosso a compassione, stende le sue braccia per unirci a Sé e guarirci dai nostri due mali più profondi: il peccato e la morte.

"Non è il potere che redime, ma l’amore! Questo è il segno di Dio: Egli stesso è amore. Quante volte noi desidereremmo che Dio si mostrasse più forte. Che Egli colpisse duramente, sconfiggesse il male e creasse un mondo migliore … il Dio … ci dice che il mondo viene salvato dal Crocefisso e non dai crocifissori" [Benedetto XVI, Insegnamenti I, LEV 23-24].

3. Carissimi fratelli che fra poco diventerete diaconi, grande è il "mistero di pietà" di cui diventerete servitori.

È un mistero di carità: il diaconato è servizio umile e quotidiano. Ma non dimenticate neppure per un istante che la carità di cui siete servitori, è quella rivelata sulla Croce. È in essa che mediante la fede dovete essere radicati e fondati.

Si comprende allora come il diaconato vi doni la possibilità di una vicinanza, di una famigliarità con l’Eucaristia che non è di tutti. Non potete essere uomini della carità se non diventerete uomini dell’Eucaristia: celebrata con devozione, ricevuta con fede, adorata con amore.

Possiate ogni giorno della vostra vita dire con san Paolo: "mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare il mio utile, ma quello di molti, perché giungano alla salvezza". Amen.