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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


DOMENICA XXXII PER ANNUM (B)
Barbarolo, 8 novembre 2009


1. La pagina evangelica appena ascoltata mette davanti ai nostri occhi la figura di una povera vedova che fa la sua offerta per il culto nel tempio. Gesù ci dice anche la quantità dell’offerta: "due spiccioli, cioè un quattrino". Noi diremmo: un centesimo. Dunque, ben poca cosa, a confronto di quanto altri in quello stesso momento stavano offrendo.

Ma, ascoltate che cosa dice Gesù: "questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere". La misura che Dio usa per valutare il valore di ciò che diamo, è completamente diversa da quella usata dagli uomini.

Questi misurano semplicemente la quantità del dono: colui che offre cento euro offre di più di chi offre un solo euro. Dio al contrario guarda in che misura il dono di ciò che abbiamo, esprime il dono di ciò che siamo, il dono di se stessi.

Perché, quindi, Gesù dice che la povera vedova aveva dato più di tutti? Perché aveva dato tutto quanto le era necessario non per vivere bene, ma semplicemente per vivere. A quel punto, in quella condizione, per vivere doveva semplicemente fare affidamento su Dio stesso, mettersi nelle sue mani. E siamo al punto centrale di ciò che Gesù vuole insegnarci.

Il nostro rapporto con Dio non si costituisce mediante semplicemente atti esteriori. È mediante il cuore che noi entriamo nella sua alleanza. Che cosa significa? Significa che la vera religiosità è docilità della nostra persona alla parola di Dio; è obbedienza profonda della nostra volontà alla legge del Signore; è affezione del cuore a Cristo e alla sua Chiesa. Quando una persona si pone così davanti al Signore, ella dona se stessa a Lui. È la misura di questo dono che interessa il Signore: la misura del dono di sé.

2. Ma perché nel cristianesimo le cose stanno così? C’è una ragione molto profonda e molto semplice. Ci è spiegato nella seconda lettura.

Come avete sentito, vi si parla di Gesù. Anzi, più precisamente della sua morte e risurrezione.

Se ne parla mettendole a confronto con il culto che si svolgeva nel tempio di Gerusalemme. Mentre il culto ebraico esigeva molti sacrifici, l’offerta di molte vittime, Gesù "invece una volta sola ora, nella pienezza dei tempi, è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso". Gesù ha offerto, ha donato se stesso sulla croce. Egli ha istituito il culto cristiano nell’atto con cui ha donato se stesso, e nella partecipazione di ciascuno di noi a questo dono mediante l’offerta di se stessi.

Prestatemi, vi prego, molta attenzione. Che cosa è l’Eucaristia? Che cosa significa partecipare all’Eucaristia? L’Eucaristia è lo stesso sacrificio che Gesù fece di se stesso sulla Croce, sotto le apparenze del pane e del vino. Di conseguenza, l’Eucaristia ci dona la possibilità di partecipare al sacrificio di Gesù. Come? donando se stessi; lasciandoci attrarre dentro l’atto oblativo di Gesù e divenire partecipi del suo dinamismo.

Se vi capita di vedere una mattina una goccia di rugiada quando sorge il sole, vedreste una cosa meravigliosa: dentro alla piccola goccia si rispecchia il sole stesso. Sul piano spirituale delle persone, questo evento accade ogni volta che celebriamo l’Eucarestia.

L’atto d’amore di Gesù, il dono di Se stesso compiuto sulla croce, penetra con tutta la sua forza nella nostra persona, dentro al nostro cuore, rendendoci capaci di amare. Potete comprendere quale profondità ha l’insegnamento di Gesù nel Vangelo.

Cari fratelli e sorelle, al termine della Visita pastorale vi raccomando la fedeltà all’Eucaristia festiva. Se sarete fedeli, se vi parteciperete con fede profonda, la vostra vita sarà progressivamente trasformata. E come abbiamo pregato all’inizio, "potrete dedicarvi liberamente al servizio di Dio": questa è la nostra gioia vera, e la nostra libertà.