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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Domenica III di quaresima (C)
Paray–Le–Monial, 7 marzo 2010


1 Nella Sacra Scrittura, soprattutto nei libri del vecchio Testamento, non raramente troviamo l’immagine della vite. Questa immagine ha due significati. Essa indica lo stesso popolo di Dio. Dio ha piantato la sua vite in questo mondo: ha scelto un popolo e ha coltivato e protetto questa vite. Con quale intenzione? E qui appare il secondo significato: Dio aspetta che il suo lavoro non sia vano: attende che la vite dia frutto. Attende cioè che il suo popolo produca frutti di giustizia.

Nel Santo Vangelo, come avete sentito, non si parla di una vite, ma di un fico. L’immagine tuttavia veicola gli stessi due significati.

Esso è piantato, coltivato e protetto: Dio si prende cura di ciascuno di noi. Ma attende che produciamo frutti di giustizia. La pagina evangelica ci mostra il Signore nel momento in cui va a verificare se la sua attesa di frutti è stata vana o ben riposta: "venne a cercare frutti".

L’attesa è stata vana: "ma non ne trovò". Invece di fichi dolci a gustarsi, egli trova solo foglie. Non produce nulla di buono; è solo apparenza. Che cosa avverrà di ciascuno di noi se deluderemo il Signore: il Signore che ci ha coltivati e protetti?

Cari amici, è a questo punto che risuona il messaggio evangelico di oggi: la pazienza di Dio. Ci aiuta un testo dell’apostolo Pietro: "Le Seigneur ne retarde pas l'accomplissement de ce qu'il a promis … mais il use de patience envers vous, voulant que personne ne périsse, mais que tous arrivent au repentir" [2Pt 3,9]. La pazienza di Dio è l’amore che sa attendere la risposta della persona amata.

La pagina evangelica narra brevemente due episodi che vengono interpretati da Gesù allo stesso modo. L’unica via che ci consente di sfuggire alla rovina - di evitare che il fico sia sradicato – è la conversione; è cioè la trasformazione interiore e reale della nostra persona, soprattutto la rinuncia a ritenerci giusti e non bisognosi di conversione.

Cari fratelli e sorelle, la parola di Dio ci istruisce profondamente sul senso del tempo che misura la nostra vita. Ci rivela il senso profondo della misura dei nostri anni. Essi significano l’attesa di Dio nei nostri confronti. Dio è lento all’ira e grande nell’amore. Ma gli anni ci sono dati perché non rimandiamo all’infinito la nostra conversione: verrà un momento in cui l’attesa di Dio avrà un termine. Il vignaiolo dice: "laisse-le cette année encore, le temps que je creuse tout autour et que je mette du fumier. Peut-être donnera-t-il des fruits à l'avenir... Sinon tu le couperas". La nostra vita sarà giudicata con sentenza definitiva.

2 L’apostolo Paolo ci aiuta ancora meglio, nella seconda lettura, a comprendere il tempo della nostra vita. Essa è stata prefigurata dal cammino d’Israele nel deserto: "Cela leur arrivait pour servir d'exemple, et a été écrit pour notre instruction à nous qui touchons à la fin des temps". La prefigurazione secondo l’Apostolo è perfetta.

Israele durante il cammino nel deserto fu "battezzato in Mosè". La manna piovuta dal cielo e l’acqua sgorgata dalla roccia prefiguravano l’Eucaristia. Quindi il popolo di Dio ha avuto [in figura] gli stessi doni dei cristiani. "Cependant" dit l’Apôtre "ce n'est pas le plus grand nombre d'entre eux qui plut à Dieu, puisque leurs corps jonchèrent le désert".

Il tempo dell’attesa di Dio non deve essere vissuto nella ingiustizia, nel disprezzo o nella non curanza dei doni di Dio. La nostra sorte sarebbe come la sorte dei figli di Israele: non entreremo nella terra promessa, cioè nella beatitudine eterna. "D'un châtiment combien plus grave sera jugé digne, ne pensez-vous pas, celui qui aura foulé aux pieds le Fils de Dieu, tenu pour profane le sang de l'alliance dans lequel il a été sanctifié, et outragé l'Esprit de la grâce?" [Eb 10,29].

Preghiamo dunque, cari fratelli e sorelle, perché durante questa santa quaresima portiamo frutti di vera e continua conversione.