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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Solennità di San Petronio
Basilica di San Petronio
4 ottobre 2005


1. "Il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri…". Queste sante parole sono rivolte ad un profeta perché diventi portatore di speranza ad un popolo che, appena tornato dall’esilio, aveva bisogno di ricostruire tutto.

La liturgia le applica al Vescovo Petronio che mediante "il lieto annunzio ai poveri" ha edificato la Chiesa bolognese e ricostruito la comunità civile, con una tale profondità da essere riconosciuto come emblema della nostra tradizione cristiana e civile. Vescovo dal 432 al 450, egli fu "mandato a portare il lieto annunzio ai poveri" in un momento storico di grave travaglio culturale ed istituzionale, di transizione epocale.

Da questo punto di vista la solenne memoria che oggi facciamo del nostro Patrono non può non diventare un’occasione favorevole per riflettere sulla nostra situazione attuale, che pure mostra i caratteri di una transizione epocale: dalla modernità alla cosiddetta post-modernità. Transizione, la nostra, che ripropone in modo nuovo l’eterna domanda dell’uomo circa l’uomo, a causa dell’imponente potere che le nuove biotecnologie gli hanno mezzo nelle mani; che ripropone l’eterna domanda dell’uomo circa la vera natura della società a causa della crisi delle nostre democrazie. Ed ambedue le domande sembrano radicarsi nella questione riguardante la nostra libertà ed il suo senso ultimo.

Al riguardo l’insegnamento di S. Paolo ascoltato nella seconda lettura è particolarmente illuminante. "Come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo". Viene qui affermata una profonda verità sull’uomo. Ogni persona umana è costitutivamente in relazione con le altre persone; il sociale umano non è effetto esclusivamente della contrattazione sociale, ma ogni uomo è nativamente relazionato con ogni uomo. La metafora del corpo richiama in primo luogo questa fondamentale verità. Una metafora che – i paragoni non camminano mai con quattro gambe! – ovviamente non deve portarci a pensare che l’uomo sia solo la parte di un tutto. La persona respinge da sé, come sua contraria, l’idea di parte.

Petronio ha ricostituito una comunità. Siamo in grado oggi di compiere una tale opera? Penso che una – non l’unica certo – delle condizioni fondamentali sia la riscoperta di una nuova idea di laicità da parte della coscienza civile del nostro popolo.

Il tessuto connettivo della comunità umana non può essere solamente la convergenza degli interessi, convergenza sempre provvisoria: degli interessi dei singoli, delle comunità, dei popoli. Non può essere neppure solamente il rispetto delle leggi, erroneamente pensate come neutrali nei confronti di ogni visione della vita. Sia perché non esiste nessuna legge capace di farmi osservare le leggi; sia perché il desiderio più profondo dell’uomo non è soddisfatto solo da una vita legalmente giusta, ma esso domanda soprattutto una vita buona.

Il tessuto connettivo più consistente di ogni comunità umana, dalla comunità coniugale alla comunità internazionale, è la condivisione di quei beni umani mediante i quali ogni persona può realizzarsi compiutamente. A questa condivisione l’uomo giunge attraverso il dialogo ed il confronto, i quali corrompono la loro alta natura spirituale in scontro di poteri per produrre il consenso, quando non si ammette che esiste una verità sul bene della persona, che precede e giudica ogni dialogante.

La vera laicità di tutte le istituzioni pubbliche, dallo Stato al Consiglio di quartiere, consiste nel riconoscimento e nell’assicurazione che ogni soggetto possa entrare nella riflessione e nel dialogo, in ordine a generare quella condivisione di cui parlavo. Che una visione della vita, del matrimonio e della generazione umana, per fare qualche esempio, sia conseguenza anche di una fede religiosa, non costituisce titolo di esclusione dal dialogo pubblico, purché quella visione esibisca argomenti nei quali la ragione, che è patrimonio di tutti, si riconosca. Da una laicità che si difende, occorre passare ad una laicità che promuove; anche la presenza pubblica della religione senza rinchiuderla nel privato delle coscienze.

Solo questo passaggio mette al sicuro due condizioni fondamentali della comunità umana. Poiché la democrazia non è autosufficiente, ma per vivere ha bisogno di radicarsi in universi di valore condivisi, la separazione fra il giusto-legale ed il bene-morale, così come la richiesta a molti cittadini credenti di separare impegno civile e convinzione religiosa, non appaiono più oggi le soluzioni migliori per la costruzione di una società libera e giusta.

La seconda condizione è quindi che ogni soggetto – persona e/o comunità – non può, non deve lasciar fuori dal dialogo pubblico ciò che definisce la sua identità propria: l’amore di sé è secondo il Vangelo e la retta ragione la misura dell’amore del prossimo. Da una laicità che pretende di azzerare o mettere fra parentesi le identità occorre passare ad una laicità che ha nel riconoscimento la sua "cifra". È il riconoscimento che custodisce le identità nella relazione e immunizza la relazione dal conflitto identitario. Nel mosaico si custodisce il colore di ogni tassello e ne viene lo splendore della figura; nella macchia ogni colore è confuso.

2. Carissimi amici, nella gioia di questa celebrazione possiamo dire, essere certi che la nostra città, che Bologna può essere laboratorio di pensiero e pratica paradigmatica di questa idea ed esperienza più ricca di laicità. Petronio in cui si riconosce e la tradizione cristiana e la tradizione civile della città non ci dice che tale è la vocazione di questa città?

Qui, coll’invenzione dell’Università, l’uomo ha imparato un nuovo modo di coniugare fede e ragione. L’architettura stessa di questa città è segno della sua volontà e capacità di costruire rapporti umani veri.

Cinquant’anni orsono il Card. Giacomo Lercaro piantava la Croce là dove sarebbero sorti i nuovi quartieri, come umilmente ho fatto ancora domenica scorsa a Villa Pallavicini. L’indimenticabile Pastore con quel gesto intendeva prefigurare il volto della città che stava rinascendo.

Di questa "missione petroniana" sono responsabili le autorità che esprimono la sovranità del popolo; sono responsabili i vari soggetti della società civile, soprattutto penso ai soggetti educativi.

Ma di questa missione si sente pienamente responsabile anche la Chiesa petroniana. Essa già esercita questa responsabilità attraverso in primo luogo la presenza quotidiana delle parrocchie in mezzo al popolo petroniano, ed attraverso i movimenti ed associazioni ecclesiali.

La esercita attraverso il miracolo della carità che quotidianamente mediante tante istituzioni risponde ad ogni bisogno umano, mostrando nella gratuità l’esemplificazione più alta di quel riconoscimento dell’uomo di cui parlavo.

La esercita nel diuturno impegno educativo verso le giovani generazioni: nella famiglia, mediante l’istituzione scolastica, l’Istituto Veritatis Splendor, movimenti ed associazioni giovanili.

3. Oggi la Chiesa petroniana inizia solennemente la preparazione al Congresso eucaristico diocesano. Esso è un evento ecclesiale, anche se non può non avere una profonda rilevanza civile. È nel mistero eucaristico che si costruisce la più forte comunione fra le persone; è nella celebrazione eucaristica che le persone vivono in Cristo quell’unità che le realizza pienamente. "Pur essendo molti, siamo un corpo solo in Cristo".

È dall’Eucarestia che noi cristiani riceviamo la forza e la passione costruttiva della comunità cristiana, e quindi il desiderio di contribuire con umiltà e coerenza alla costruzione di una vita umana buona nella nostra stupenda città.