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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


S. Messa di ringraziamento in onore del Beato Giovanni Paolo II
Cattedrale di San Pietro, 2 maggio 2011


1. "In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il Regno di Dio". Cari fratelli e sorelle, le parole di Gesù all’anziano dottore della Legge descrivono la condizione dell’uomo. Egli ha bisogno di una redenzione che attinga alle sorgenti stesse del suo essere. Ha bisogno, in una parola, di "ri-nascita".

La reazione di Nicodemo è colma di amarezza perché vuota di speranza: se questa è la condizione dell’uomo, tutte le porte sono chiuse, poiché "può forse entrare [un uomo] una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?".

Fratelli e sorelle, questa pagina evangelica è la chiave interpretativa di tutta l’esperienza umana, cristiana e pastorale di Giovanni Paolo II: la questione della redenzione – della ri-nascita dell’uomo; non nel senso estenuato che ha nel nostro linguaggio quotidiano – è sempre stata la domanda essenziale e centrale della sua vita, del suo pensiero poetico, filosofico, teologico, della sua missione pastorale.

Nell’Enciclica programmatica del suo pontificato aveva scritto: "L’uomo che vuol comprendere se stesso fino in fondo – non soltanto secondo immediati, parziali, spesso superficiali, e perfino apparenti criteri e misure del proprio essere – deve, con la sua inquietudine e incertezza e anche con la sua debolezza e peccaminosità, con la sua vita e morte, avvicinarsi a Cristo. Egli deve, per così dire, entrare in Lui con tutto se stesso, deve appropriarsi e assimilare tutta la realtà dell’incarnazione e della redenzione per ritrovare se stesso" [Lett. Enc. Redemptor hominis 10, 1; EE 8/28].

Due sono dunque le realtà che occupano il pensiero e il cuore di Giovanni Paolo II: l’uomo, nella sua inquietudine, debolezza e peccaminosità; Cristo ed il mistero della redenzione, nel quale l’uomo "diviene nuovamente espresso e, in qualche modo, è nuovamente creato" [ibid.], rinasce. Ha accostato la miseria umana a Cristo, perché l’uomo ritrovasse se stesso, e la sua schiavitù si trasformasse in libertà. L’anziano Nicodemo ha la risposta alla sua domanda: l’atto redentivo di Cristo è il grembo in cui l’uomo può entrare e rinascere.

La miseria dell’uomo, la potenza del male che dentro alla storia sembra invincibile, avevano toccato profondamente Giovanni Paolo II, la cui vita si è svolta quasi interamente nel secolo XX, durante il quale il male si è espresso in modo smisurato.

"Non è stato un male in edizione piccola… È stato un male di proporzioni gigantesche; un male che si è avvalso delle strutture statali per compiere la sua opera nefasta, un male eretto a sistema" [Memoria e identità, Rizzoli, Milano 2005, 198]. È stato cioè un male concretizzatosi "come contenuto della cultura e della civiltà, come sistema filosofico, come ideologia, come programma di azione e formazione dei comportamenti umani" [Lett. Enc. Dominum et vivificantem 56, 1; EE8/575].

Ma la miseria dell’uomo e la potenza del male, nel pensiero di Giovanni Paolo II, non ha solo questa dimensione oggettiva. Ha anche e soprattutto, una dimensione soggettiva: negare colla scelta della propria libertà quella verità circa il bene conosciuta mediante il giudizio della coscienza. "Ci troviamo qui al centro stesso di ciò che si potrebbe chiamare "l’anti-Verbo", cioè l’anti-verità. Viene, infatti, falsata la verità dell’uomo: chi è l’uomo e quali sono i limiti invalicabili del suo essere e della sua libertà. Questa "anti-verità" è possibile, perché nello stesso tempo viene falsata completamente la verità su chi è Dio" [Lett. Enc. Dominum et vivificantem 37, 2; EE 8/518].

"Sin dall’inizio del pontificato," Giovanni Paolo II confidò nell’omelia per il 25.mo del suo ministero petrino "i miei pensieri, le mie preghiere e le mie azioni sono state animate da un unico desiderio: testimoniare che Cristo, il Buon Pastore, è presente e opera nella sua Chiesa. Egli è in continua ricerca di ogni pecora smarrita, la riconduce all’ovile, ne fascia le ferite; cura la pecora debole e malata e protegge quella forte. Ecco perché, sin dal primo giorno, non ho mai cessato di esortare: non abbiate paura di accogliere Cristo e di accettare la sua potestà".

Dentro alla miseria umana è già piantata la Croce di Cristo, "poiché in essa la rivelazione dell’amore misericordioso raggiunge il suo culmine": l’amore misericordioso che è il limite entro cui si infrange ogni potenza di male oggettivo e soggettivo [cfr. Lett. Enc. Dives in misericordia 8; EE8/152-158].

Quando ciò avviene, quando l’uomo capisce ed esperimenta che la misericordia è più grande del suo peccato, riscopre nuovamente se stesso: rinasce come disse Gesù a Nicodemo.

2. Fratelli e sorelle, in una poesia scritta per onorare il martirio di San Stanislao, vescovo di Cracovia ed ucciso all’altare dal re Boleslao, Karol Wojtyla mette sulla bocca del santo martire le seguenti parole: "Se la parola non ha convertito, sarà il sangue a convertire" [in Tutte le opere poetiche, Bompiani, Milano 2001, 241]. Come non pensare agli ultimi anni del pontificato di Giovanni Paolo II, sentendo queste parole? La parola era spenta; restava la sofferenza che, unita all’atto redentivo di Cristo, è la più grande forza che libera l’uomo ed il mondo dal male.

"La risposta che si è avuta in tutto il mondo alla morte del Papa è stata una manifestazione sconvolgente di riconoscenza per il fatto che egli, nel suo ministero, si è offerto totalmente a Dio per il mondo… ; ci ha mostrato, per così dire, dal vivo, il Redentore, la redenzione, e ci ha dato la certezza che, di fatto, il male non ha l’ultima parola nel mondo" [Benedetto XVI, Insegnamenti I 2005, LEV 2006, 1021].

L’anziano Nicodemo riteneva che non ci sono vie di ritorno nel cammino di una vita sbagliata. Stiamo celebrando il mistero della Pasqua: la testimonianza del beato Giovanni Paolo II ci aiuta a penetrarlo più profondamente.

Nel tempo giusto la speranza s’innalza da tutti i luoghi
soggetti alla morte –
la speranza ne è il contrappeso,
in essa il mondo, che muore, di nuovo rivela la vita.
Nelle strade i passanti dai corti giubbotti e dai capelli spioventi sul collo
tagliano con la lama del passo
lo spazio del grande mistero
che in ognuno di loro si estende fra morte e speranza:
uno spazio che scorre verso l’alto come la pietra di luce solare
rovesciata all’ingresso del sepolcro.

[Meditazione sulla morte IV, 1; in Tutte le opere … cit. 101]