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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


SACRA FAMIGLIA
Cattedrale di Ferrara, 28 dicembre 2003

Il Figlio unigenito del Padre è entrato nella nostra storia umana: è questo il grande mistero di grazia che celebriamo nel tempo natalizio. Ma Egli vi è entrato nel modo con cui ogni uomo entra nel mondo: attraverso una famiglia. Il mistero del Natale è dunque in stretto rapporto con la famiglia, con ogni famiglia. Ecco perché nella prima domenica dopo la solennità del Natale, celebriamo il mistero della S. Famiglia di Gesù di Nazareth e, nella sua luce, di ogni famiglia umana.

1. Se confrontiamo attentamente la prima lettura ed il S. Vangelo, vediamo che al centro stanno due ragazzi: Samuele e Gesù adolescente di dodici anni. Ambedue poi ci sono presentati nel loro essere ed appartenere al Signore. "Per tutti i giorni della sua vita egli è ceduto al Signore", dice Anna, la madre di Samuele, nel momento in cui lo dona definitivamente al servizio di Dio.

"Non sapete che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?" dice Gesù a sua Madre Maria, svelando per la prima volta la consapevolezza di una missione da compiere ricevuta dal Padre. Attorno poi ai due ragazzi, Samuele e Gesù si muovono i genitori: Elkana e Anna, genitori di Samuele; Giuseppe e Maria, genitori di Gesù. Nel primo caso, la S. Scrittura non annota difficoltà particolari nel rapporto genitori-figlio. Nel secondo caso, il Vangelo sottolinea con forza sia una difficoltà di comprensione ("ma essi non compresero le sue parole") sia uno sforzo di passare, da parte dei genitori di Gesù, dal semplice rimprovero ("figlio, perché hai fatto così?") allo sforzo di capire ("sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore"). Sono due quadri di vita familiare che mettono al centro la persona del figlio come persona che non appartiene ai genitori, ma che appartiene al Signore. E’ un messaggio di sconvolgente attualità! Il Signore mi ispiri e mi guidi perché le mie parole che passano vi aiutino ad assimilare la Parola che resta in eterno.

2. La prima riflessione che vorrei affidarvi per la vostra meditazione della Parola di Dio oggi è la seguente. Certamente l’amore coniugale attraverso il quale l’uomo e la donna diventano "una sola carne" e costituiscono un’intima comunità di vita, non ha come suo scopo unico la nascita del figlio: esso, l’amore coniugale, è dotato di una sua propria preziosità e santità. Tuttavia il figlio è di questo amore il frutto più prezioso: il frutto benedetto. In un certo senso, la persona del figlio costituisce il centro di tutta la vita familiare; è il bene comune della comunità familiare. La Parola di Dio descrivendo oggi la famiglia attorno alla persona del figlio, ci richiama a questa centralità e ci illumina circa il suo significato. Il matrimonio non è affatto la somma di due egoismi che si mettono assieme per raggiungere più sicuramente la propria felicità individuale. Esso si radica nella vera natura della persona umana, la quale "in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa" e che non può "ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé""(Cost. Past. Gaudium et Spes, 24). Non dunque fragile coesistenza di due egoismi, ma definitiva comunione di due persone che si donano interamente.

E’ a causa di questa intima verità della vita coniugale che gli sposi sono e devono essere aperti al dono della vita. La logica del dono di sé all’altro in totalità comporta l’apertura alla procreazione: il matrimonio, in questo senso, è chiamato a realizzarsi in pienezza nel figlio; a divenire famiglia.

Gli sposi non sono i "padroni" della capacità procreativa quando essa è presente nella loro unione, ma ne sono i responsabili: una responsabilità che può essere compresa ed esercitata pienamente solo se non si ricorre alla regola dell’utile e/o del piacevole, ma se si ricorre ai valori della "persona" e del "dono". La centralità del figlio, sottolineata oggi dalla Parola di Dio, in sostanza ci richiama alla seguente profonda verità: il bene degli sposi trova compimento in un amore coniugale che sia pronto a dare e ad accogliere la nuova vita con responsabile generosità.

3. Ma le due pagine bibliche sottolineano un’altra dimensione della vita familiare: il figlio appartiene al Signore e deve essere aiutato, cioè educato a capire e a vivere questa sua appartenenza: la sua vocazione propria. Quanto è grande, profondo e difficile a capirsi questo mistero, se Maria stessa all’inizio non lo capì! Il distacco del figlio dal grembo materno che coincide col momento del parto, è il simbolo forte di una "separazione", in un certo senso di una "divisione" ben più profonda. Il figlio ha la dignità della persona, in forza della quale egli non è "proprietà" dei genitori. Nessuno ha diritto ad avere un figlio: si ha diritto alle cose, non alle persone. E’ questa la ragione per cui il ricorso ai metodi artificiali di procreazione è lesivo della dignità della persona. Il Parlamento italiano ha approvato una legge sulla procreazione assistita. Essa pur rispondendo ad una esigenza non più procrastinabile, rimane comunque una legge che non rispetta diritti fondamentali del concepito.

La generazione secondo la carne esige poi di continuarsi in un’altra generazione, ben più profonda, che si realizza nel processo educativo. Le due donne di cui parla la S. Scrittura oggi, Anna madre di Samuele e Maria madre di Gesù, comprendono che questa ulteriore generazione deve condurre il figlio ad essere una persona libera, capace cioè di rispondere alla sua vocazione propria.

Il Vangelo termina con un’annotazione che sembra in contrasto con quanto detto: "e stava loro sottomesso". Il richiamo ad un’autorità non contraddice ad un’educazione alla libertà: le due donne ci insegnano che l’autorità in famiglia è precisamente ciò che consente al figlio di "crescere in sapienza, in età ed in grazia". "Ciò che caratterizza l’educazione cristiana è questa singolare concentrazione sulla dignità dell’uomo" (Giovanni Paolo II).

Il Signore conceda alle nostre famiglie si vivere quotidianamente questa "singolare concentrazione sulla dignità dell’uomo".