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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


BEATO GIOVANNI TAVELLI
24 luglio 1996

1. “Ecco: io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura”.
Rendiamo grazie al Padre del Signor Nostro Gesù Cristo, che nella pienezza del tempi ha adempiuto la sua promessa. Nel Figlio inviato fra noi, è apparso il vero pastore che va in cerca della pecora perduta e ne ha cura. Celebrando l’Eucarestia, celebriamo il dono che il vero Pastore ha fatto della sua vita, per radunare i figli di Dio dispersi. Ed Egli ci condurrà fra breve “in ottime pasture”, donandoci in cibo il suo stesso Corpo ed in bevanda il suo stesso Sangue. In questo modo, “il più grande” (Figlio unigenito) si è fatto “nostro servo”, innalzato sopra ogni nome perché umiliatosi fino alla morte di Croce.
 Niente e nessuno ci deve distogliere da questa contemplazione appassionata ed amante dall’unico Maestro e Padre: “non fatevi chiamare «maestri», perché uno dolo è il vostro maestro, il Cristo”. Niente e nessuno può essere messo al suo posto, accanto a Lui o di fronte a Lui. Nella prima tappa che solennemente inizieremo nella festa di Cristo Re, verso il giubileo, cercheremo di prendere coscienza sempre più profonda di questo primato assoluto di Cristo: Egli è l’unico Pastore che conduce le sue pecore al pascolo e le fa riposare.
 Ma, carissimi fratelli e sorelle, oggi nella luce dell’unico Pastore facciamo memoria di uno che dal Cristo fu chiamato ad essere il “segno vivente” del Suo Amore per la Chiesa, il B. Giovanni Tavelli. E’ una memoria che quest’anno ha una particolare solennità, ricorrendo oggi il 550.mo anniversario della sua santa morte. Ed è per me memoria di particolare commozione, avendomi la divina Provvidenza collocato nella stessa linea di successione apostolica in cui si trova questa figura così suggestiva. Il suo ricordo ci aiuta a capire più profondamente il mistero della nostra salvezza, poiché la vita del b. Giovanni proclama pienamente la forza dell’amore di Cristo. I Santi sono infatti quel “quinto evangelo”, senza il quale gli altri quattro resterebbero incomprensibili.

2.  L’inizio del suo ministero episcopale si radica in un atto di pura obbedienza, come scrisse al suo direttore spirituale: “tutto liberamente ne rimetto nelle vostre mani et sottopongomi alla vostra ubidientia. Quello che me comandarete , o che io accepti o non, quello oe pensiero di fare alegramente”. In questo modo, il b. Giovanni manifesta la piena consapevolezza che nessuno deve assumersi questo peso, se non chi vi è chiamato, poiché “uno solo è il vostro maestro, il Cristo”. E nello stesso tempo, attraverso l’obbedienza, egli verrà come “espropriato” della “volontà propria” che avrebbe desiderato seguire Cristo in ben altro modo. Lo scritto sulla solitudine manifesta questa struggente nostalgia per una vita alla quale egli ha dovuto dare un definitivo addio. “O profonda e limpida solitudine, sede di pace e di riposo, che gode della familiarità con Dio, a lungo cercata e finalmente trovata. Chi ti ha sottratto a me, o mia preferita?”
 La “radicazione”, mediante l’obbedienza, nel ministero apostolico, porta il Tavelli ad uno stile di estrema povertà nella sua vita: “il più grande fra voi sia vostro servo” e nello stesso tempo a caratterizzare il suo ministero episcopale come servizio ai più poveri. L’arcispedale S. Anna ne è il segno più splendido. Riempie l’animo di profonda commozione leggere, nella lettera inviata ai Padri del Concilio di Basilea, essere per lui impossibile parteciparvi, “a causa della povertà ed indigenza notoria sua e del vescovato... manifesta a tutto il popolo ferrarese”. Ed ancora nel suo Testamento, fece scrivere: “che dai beni della santa chiesa ferrarese, si dovesse dare per la sua anima e distribuire tutto ciò che sarebbe sembrato opportuno ... ai poveri ed alle persone in condizioni miserabili”.
 Ma la consapevolezza di essere stato chiamato da Cristo, spinse il b. Giovanni ad agire con uno zelo mirabile: le visite pastorali da lui compiute con grande accuratezza lo dimostrano.

 Il Concilio Vaticano II insegna: “le feste dei Santi ... proclamano le meraviglie di Cristo nei suoi servi e propongono ai fedeli opportuni esempi da imitare” (SC 111). Che il b. Giovanni ci aiuti a vedere le meraviglie del mistero di Cristo ed aiuti noi tutti, soprattutto noi pastori, ad essere umili, poveri, a stare sempre all’ultimo posto, per essere i servi di tutti.