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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


PASQUA DEL GIUBILEO 2000

1. "Voi cercate Gesù Nazareno, il crocefisso. E’ risorto, non è qui". Le parole rivolte alle donne, andate ad imbalsamare il cadavere di Gesù, esprimono tutto il mistero che oggi noi celebriamo: Gesù Nazareno, il crocefisso, è risorto. In questa semplice proposizione è riassunta in radice tutta la fede cristiana ed è posto il fondamento di ogni nostra speranza.

E’ fondamentale notare che ciò che si dice riguarda "il crocefisso": uno cioè che è stato ucciso sulla croce. Le donne lo cercano "entrando nel sepolcro" [era possibile, perché i sepolcri erano grotte scavate nella roccia]. E S. Pietro nella prima lettura ci ha appena detto: "essi lo uccisero appendendolo a una croce". Gesù sperimentò realmente la morte in tutta la sua vastità; fu deposto in un sepolcro come si fa con ogni cadavere; e le donne, "passato il sabato … comprarono oli aromatici per andare ad imbalsamare Gesù", come si faceva coi cadaveri.

Ed allora che significato hanno le parole: "è risorto"? Esse non significano che Gesù il crocefisso è stato rianimato, restituito cioè alla vita di prima, come per esempio era accaduto al giovane di Naim e a Lazzaro, richiamati dalla morte ad una vita che poi doveva concludersi con una morte definitiva. La risurrezione di Gesù non è un superamento della morte clinica, che conosciamo anche oggi: superamento provvisorio che ad un certo momento termina con un morte senza ritorno. Che le cose non stiano così lo suggerisce ancora S. Pietro nella prima lettura: "Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che apparisse". Gesù non rivive come un morto rianimato, ma in forza della potenza divina, al di sopra e al di fuori della zona di ciò che è fisicamente e chimicamente misurabile. La potenza di Dio fa sì che il corpo morto-crocefisso di Gesù sia reso partecipe della stessa vita divina: vita eterna. Qualitativamente diversa dalla vita vissuta prima. Più concretamente: il Verbo incarnato è introdotto, passando attraverso la morte, colla sua umanità in quella Gloria divina di cui nella sua divinità godeva da sempre. Nell’ultima sera della sua vita terrena, Gesù aveva pregato così: "e ora, Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse" [Gv 17,5]. La mattina di pasqua questa preghiera è stata esaudita.

Ma vorrei che fermaste ancora per un poco la vostra attenzione su questo punto, perché è centrale per sapere la verità sulla risurrezione. Gesù è entrato colla sua umanità nella gloria divina non attraverso un semplice processo di "trasfigurazione della sua umanità", una trasformazione dalla condizione di "vita mortale-terrena" alla condizione di "vita eterna-celeste". Fra le due condizioni si è aperto l’abisso della morte vera e propria; è un cadavere, il cadavere di Gesù, che è introdotto nella vita divina, cioè risuscitato.

Perché questo non va mai dimenticato, quando celebriamo la risurrezione del Signore? perché solo così siamo in grado di cogliere il significato vero ed intero dell’avvenimento che ricordiamo.

Esso cambia alla radice la nostra condizione umana: oggi inizia una nuova creazione. La nostra destinazione finale non è più la morte: ciò che io sono destinato alla fine ad essere non è quel pugno di polvere che rimane nella cassa in cui avranno rinchiuso il mio cadavere. Dentro a questa creazione, che da oggi abbiamo il diritto di chiamare "vecchia", è accaduto un atto compiuto da Dio nei confronti di un cadavere, che dà inizio ad una creazione che diciamo "nuova" perché in questa la morte non ha più la parola definitiva.

Ciò che è accaduto in quel sepolcro non è quindi un semplice miracolo, sia pure il più grande di tutti. E’ un atto che rivela definitivamente il Mistero di Dio: Egli è il Dio dei viventi, non dei morti; Egli vuole la vita dell’uomo e non la sua morte; Egli risuscitando un cadavere, si mostra alleato dell’uomo, di ogni uomo in Cristo, volendolo riportare alla dignità della sua prima origine.

2. A ciò che è accaduto nel sepolcro, al fatto della risurrezione di Gesù è sempre congiunto un comando. L’angelo dice alle donne: "ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro …". E S. Pietro nella prima lettura: "E ci ha ordinato di annunziare al popolo e di attestare che egli è il giudice dei vive e dei morti costituito da dio". Ciò che è accaduto nella tomba deve essere annunciato ad ogni uomo, poiché che quel fatto ci dona finalmente l’interpretazione interamente vera dell’esistenza dell’uomo e del mondo. Quest’interpretazione deriva dal fatto che il Signore risorto è "il giudice dei vive e dei morti". E’ cambiato il giudice supremo della storia.

In una visione della vita da cui sia assente la fede nella risurrezione, e quindi dominata dalla certezza che alla fine tutto finirà, ha dignità e verità solo ciò che ha (e fin quando lo ha) successo in questa vita e in questo mondo. Lo pseudo-profeta più inquietante di questa visione scrisse che il tribunale della storia è la storia stessa. Per la Chiesa, la comunità di coloro che ritengono vera la risurrezione di Gesù, il bilancio invece lo fa il Cristo, e il valore di ciascuno dipende dal rapporto che avrà stabilito con Lui.

Una monaca di clausura che dona se stessa per ogni uomo, per il bene dell’umanità conta più di tutti i Capi di Stato messi assieme. Un padre e una madre che vivono nell’umile nascondimento la loro dedizione alla vita e all’educazione dei figli, sono ben più benefici di ogni potente di questo mondo. I nostri sacerdoti che nell’eroismo quotidiano del loro ministero servono l’uomo, sono più importanti dei programmi e delle strategie del Fondo monetario internazionale. Si sta costruendo la "nuova creazione" là dove chiunque, credendo in Cristo, ottiene la remissione dei peccati per mezzo del suo nome, poiché è lì che viene rigenerato l’uomo.

L’atto compiuto da Dio nel sepolcro, risuscitando Cristo, ha in Cristo rigenerato la nostra umanità, l’umanità di ogni uomo: togliamo via dunque il lievito vecchio, per essere pasta nuova, dal momento che Cristo è veramente risuscitato.