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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Celebrazione per il XXV anniversario del Pontificato di Giovanni Paolo II
Cattedrale 22 ottobre 2003

1. "Così dice il Signore Dio: ecco io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura". Carissimi fedeli, le parole profetiche ci introducono dentro all’avvenimento che definisce il cristianesimo: Dio è venuto a cercare l’uomo, per averne cura. Né il profeta poteva sospettare come le sue parole si sarebbero realizzate nella pienezza del tempo: "Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore". La parola profetica si compie nel fatto che Dio viene a cercare l’uomo facendosi uomo; si prende cura dell’uomo, offrendo la sua stessa vita. La ricerca dell’uomo da parte di Dio, la cura che Dio ha dell’uomo è Gesù Cristo.

La prospettiva religiosa è rovesciata, in un certo senso. La religione, ogni religione è la ricerca di Dio da parte dell’uomo, per vincere quel destino di morte che insidia la nostra vita. Nella sua incomparabile singolarità, il cristianesimo dice che ora è Dio alla ricerca dell’uomo; è Dio che riconciliando a Sé l’uomo, lo strappa dal suo destino di morte.

Ma ciò che stupisce è che la ricerca dell’uomo, la cura dell’uomo da parte di Dio in Cristo, si continua anche oggi tramite uomini chiamati ad esserne il segno visibile ed efficace: "ha affidato a noi il ministero della riconciliazione" ci ha appena detto l’apostolo Paolo. "Ha affidato a noi": chi riuscirà a misurare il peso specifico di queste parole? La cura che Dio ha dell’uomo è ora affidata ad altri uomini, i pastori della Chiesa. La difficoltà di comprendere questo "affidamento divino" è stata sperimentata da Pietro, quando vide inginocchiato davanti a sé Dio fattosi uomo per lavargli i piedi e si rifiutò: "tu non mi laverai mai i piedi in eterno". Pietro uscì dal suo rifiuto quando si donò al Cristo in pienezza di amore. Anche Paolo: "l’amore di Cristo ci sospinge, al pensiero che uno è morto per tutti … perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per Colui che è morto e risuscitato per loro".

Nel cuore del pastore transita l’amore di Dio per l’uomo, che genera l’amore dell’uomo per Dio. Dio-creatore mettendosi a cercare l’uomo come Dio-uomo, suscita la necessità di donare se stessi per Lui a servizi dell’uomo.

2. Carissimi fedeli, è nella luce del mistero del Dio che si fa uomo perché l’uomo sia deificato, che comprendiamo il pontificato di Giovanni Paolo: il ministero di un Papa affascinato dal Cristo in ragione dell’uomo ed affascinato dall’uomo in ragione di Cristo. "Sin dall’inizio del pontificato, i miei pensieri, le mie preghiere e le mie azioni sono state animate da un unico desiderio: testimoniare che Cristo, il buon Pastore, è presente ed opera nella sua Chiesa. Egli è in continua ricerca di ogni pecora smarrita, la riconduce all’ovile, ne fascia le ferite; cura la pecora debole e malata e protegge quella forte": così Giovanni Paolo II disse al mondo intero, la sera di giovedì 16 ottobre.

Questa chiave interpretativa del suo servizio pastorale, l’aveva già data fin dall’inizio: "l’uomo è la via della Chiesa", aveva scritto nell’Enciclica programmatica. Egli, durante questi venticinque anni, è andato alla ricerca dell’uomo in ogni continente, per prendersi cura dell’uomo. Perché ogni uomo – con tutta la sua inquietudine ed incertezza, con la sua vita e la sua morte – si avvicini a Cristo, entri in Lui con tutto se stesso, assimilando ed appropriandosi di tutta la realtà della redenzione: al fine di ritrovare se stesso. Perché questa è l’unica, vera tragedia dell’uomo: perdere se stesso. Una perdita che non sarebbe ricompensata neppure dal guadagno del mondo intero, dal momento che una sola persona umana è più preziosa dell’intero universo.

E la vera ragione della perdita era già stata detta dall’arcivescovo di Cracovia in una sua opera poetica: "Ma se c’è in me la verità – deve esplodere/ Non posso rifiutarla, rifiuterei me stesso". L’uomo perde se stesso quando rinnega colla sua libertà quella verità di se stesso che ha conosciuto colla sua ragione ed in Cristo.

Questa preoccupazione è emersa con particolare intensità quando Giovanni Paolo II si erse profeta della pace; quindo definì le odierne democrazie "totalitarismo subdolo" [Centesimus Annus 46; Veritatis splendor 101], dal momento che esse ritengono l’affermazione di una verità sull’uomo intolleranza, giungendo perfino a chiamare diritto un atto che è delitto, l’uccisione del concepito non ancora nato. Giovanni Paolo II parla amaramente di una "cultura della morte". La "cura dell’uomo" è difesa della sua verità.

Termino colle parole dette da Giovanni Paolo II ai giovani a Toronto: "Il nuovo millennio si è inaugurato con due scenari contrastanti, quello della moltitudine dei pellegrini venuti a Roma per varcare la Porta Santa che è Cristo, Salvatore e Redentore dell’uomo, e quello del terribile attentato di New York, icona di un mondo nel quale sembra prevalere la dialettica dell’inimicizia e dell’odio. La domanda che si impone è drammatica: su quale fondamenta bisogna costruire la nuova epoca storica che emerge dalle trasformazioni del secolo XX?"

Il ministero di Giovanni Paolo II ha testimoniato ogni giorno che l’uomo o ritrova se stesso nel Dio fattosi uomo o si avvia all’auto-distruzione.