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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


OMELIA DEL MANDATO AI MISSIONARI
Cattedrale Ferrara
22 marzo 1998

La pagina del Vangelo appena proclamata ci svela fino in fondo il significato di questa celebrazione. Il mandato che vi viene affidato, carissimi fratelli e sorelle missionari, si inscrive dentro un evento di grazia e di misericordia, che ha come protagonisti il Padre e la persona umana. Quale è questo evento di grazia e di misericordia? In che senso il vostro mandato si inscrive in esso?

1. L’evento di grazia e di misericordia è la reintegrazione dell’uomo nella sua dignità, il ritorno dell’uomo alla verità su se stesso: dono della sola misericordia del Padre. E’ la salvezza di un bene fondamentale, del bene fondamentale di ogni persona: la sua umanità chiamata a vivere col Padre. La pagina evangelica è la narrazione di questo avvenimento.
Se si parla di “salvezza di un bene fondamentale”, di “reintegrazione nella dignità perduta”, vuol dire che l’uomo ha perduto quel bene, il bene della sua umanità; ha degradato e deturpato lo splendore della sua dignità. Ciò è accaduto quando ha detto: “padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta”; quando, in conseguenza di questa richiesta, “raccolte le sue cose, partì per un paese lontano”. Richiesta del proprio patrimonio e partenza per un paese lontano, lontano s’intende dalla casa paterna, sono le due dimensioni di una stessa scelta: separarsi dal Padre per poter disporre autonomamente di se stesso . Il patrimonio richiesto era in primo luogo la possibilità di vivere senza il Padre, fuori della sua casa e quindi della comunione con Lui, “in un paese lontano”.
E’ chiaro: questa è la vicenda di ogni uomo che sente l’appartenenza al Padre come una schiavitù, l’aver origine da Lui come non-essere di se stessi. E’ tutta la vicenda della cultura in cui viviamo: tentare di costruire una vita che prescinda dal Padre, che sia vissuta “fuori della Sua (del Padre) casa”. E’ stata in larga misura la vicenda di questa nostra città: il tentativo di sradicarla dal suo terreno proprio, di portarla “fuori della sua casa propria”.
Ma che cosa è successo al figlio della parabola, all’uomo di oggi, alla nostra città? “E là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia… allora andò e si mise al servizio”. E’ accaduto che quel patrimonio ricevuto, non potendo durare a lungo, venne presto dilapidato interamente. Il patrimonio che è la tua umanità, il patrimonio che è la tua appartenenza al Padre e la tua derivazione dal Padre, una volta staccato dalla sua Origine, è destinato a terminare. Patrimonio della tua umanità è la tua ragione. Staccatasi dalla Luce che è la Verità divina, essa ha voluto essere la misura  della realtà, anziché essere misurata dalla realtà. Ed ora l’uomo si trova prigioniero di un relativismo che ha estenuato in lui ogni passione per la verità. Patrimonio della tua umanità è la tua libertà. Negata la dipendenza propria di chi vive nella casa del Padre, nell’ordine cioè della sua Sapienza (ordo Sapientiae) e del suo Amore (ordo Amoris), la libertà ha finito col concedersi ad un permissivismo che genera solo noia, divenuta incapace di narrare una qualsiasi storia che abbia un senso. Veramente: “là” – nel paese lontano dalla casa paterna – “sperperò le sue sostanze” – le sostanze della sua dignità, la sua ragione, la sua libertà, la sua capacità di amare – “allora andò e si mise al servizio”. Come non sarà servo del padrone, del potente di turno colui nel quale si è estinta la passione per la verità, nel quale è scomparso il gusto per la libertà, nel quale la gioia dell’amore si è mutata nella febbre insaziabile del possesso?
“Nessuno di noi può uscire dalla considerazione di essere figlio. Ogni tentativo di mettere in secondo piano o di negare questa relazione finisce per uccidere la nostra identità: l’uomo scopre se stesso quando scopre di essere rapporto con un Tu che gli ha donato la vita e da cui dipende originariamente”. Non c’è libertà senza appartenenza.
2. L’evento di grazia e di misericordia che stiamo celebrando è la reintegrazione di questo uomo nella sua dignità, è il ritorno di questo alla verità su se stesso. Come è possibile questa reintegrazione e questo ritorno? Esso è possibile a causa della misericordia del Padre: la Grande Missione è la celebrazione della misericordia del Padre, e quindi della reintegrazione dell’uomo della nostra città nella pienezza della sua dignità.
La misericordia del Padre  è in primo luogo la fedeltà alla sua paternità: Egli non potrà mai rinunciarvi. “Come potrei abbandonarti, Efraim, come consegnarti ad altri, Israele … il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all’ardore della mia ira … perché  sono Dio e non uomo” (Os 11, 8-9). La Grande Missione nasce dalla commozione che il Padre sente dentro di Sé, dal fremito di compassione che pervade il Suo intimo. La dignità del figlio è un bene che non può essere abbandonato, deve essere ricercato: se così non fosse, Dio non sarebbe più fedele alla sua paternità. “La fedeltà del Padre a se stesso è totalmente incentrata sull’umanità del figlio perduto, sulla sua dignità” (Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Dives in misericordia 6; EV 7, pag. 817).
L’amore che scaturisce dalla fedeltà del Padre, dall’essenza stessa della sua paternità, prende corpo nella sollecitudine per la dignità del figlio: “quando era ancora lontano, il Padre lo vide e commosso gli corse incontro”. Prende corpo nel perdono che è l’abbraccio del Padre al figlio riammesso interamente alla comunione di vita e di affetto: “gli si gettò al collo e lo baciò”.
“Egli ti corre incontro, perché ti ascolta mentre stai riflettendo tra te e te nel segreto del cuore. E quando ancora sei lontano, ti vede e si mette a correre. Egli vede nel tuo cuore, accorre perché nessuno ti trattenga, e per di più ti abbraccia. Nel correre incontro c’è la sua prescienza, nell’abbraccio la sua clemenza e direi quasi la viva sensibilità dell’amore paterno. Gli si getta al collo, per sollevare chi giaceva a terra, e per far sì che chi era già oppresso dal peso dei peccati e chino verso le cose terrene, rivolgesse nuovamente lo sguardo al Cielo, ove doveva cercare il proprio creatore. Cristo ti si getta al collo, perché vuol toglierti dalla nuca il giogo della schiavitù e imporre sul tuo collo un dolce giogo.” (S. Ambrogio, Esposizione del Vangelo secondo Luca, Milano Biblioteca Ambrosiana, Roma Città Nuova Editrice 1978, vol. II, pag. 269).

Ecco: il figlio è stato reintegrato nella pienezza della sua dignità: è ritornato ad essere il figlio del Padre. Ha ritrovato la sua libertà, perché ha riscoperto e ritrovato la sua appartenenza.

3. Il mandato che è a voi affidato si inscrive in questo straordinario evento: il più grande che possa accadere sulla terra se per esso fanno festa anche gli angeli in cielo.
A voi, a ciascuno di voi, è data la forza dall’alto, perché siate il segno di quel fremito di compassione che pervade il cuore del Padre per ogni uomo e donna che incontrerete. Voi infatti, donando il S. Vangelo,  porterete con umile semplicità l’annuncio che la sala del banchetto è pronta, che la tavola è già preparata: “il cibo del Padre è la nostra salvezza, e la gioia del Padre è il riscatto dei nostri peccati” (S. Ambrogio). Nel Vangelo infatti è narrata la misericordia di Dio.
Sia in voi l’umile ma incrollabile certezza che fungerete da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo vostro. Siete il segno che Dio non gode della morte del peccatore, ma che si converta e viva.