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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


MESSA "IN COENA DOMINI" [GIUBILEO 2000]
Cattedrale, 20 aprile 2000

1. "Benedetto sei tu, o Cenacolo, nessuno ha mai visto né mai vedrà ciò che tu hai potuto vedere: nostro Signore è diventato insieme vero Altare, Sacerdote, Pane e Coppa di Salvezza" [S. Efrem, Inni sulla Crocifissione 3,9-10]. Così con commosso stupore scriveva un Padre della Chiesa siriana, S. Efrem. La Chiesa ci fa iniziare i giorni più santi dell’anno giubilare, il sacro Triduo pasquale dentro al Cenacolo. In esso infatti viene anticipato tutto il Mistero pasquale, e viene istituito da Cristo "il nuovo ed eterno sacrificio, convito nuziale del suo amore" a perenne memoria della sua Pasqua stessa. Veramente in nessun luogo sono accaduti contemporaneamente tanti avvenimenti così carichi di mistero.

Tuttavia l’avvenimento centrale è descritto da S. Paolo colle parole seguenti: "Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane, e dopo aver reso grazie, lo spezzò…". L’avvenimento centrale dell’Ultima Cena è stato il fatto che Gesù, anticipando la sua morte, distribuisce il suo Corpo ed il suo Sangue, donando Se stesso. Nell’ultima Cena Gesù dà senso definitivo alla sua morte trasformandola in un atto di amore: la morte che per sua natura è distruzione finale di ogni relazione interpersonale, diventa con un atto di libertà di Gesù la ricostruzione di ogni comunione, perché trasformata in sacrifico di redenzione. Ciò che accade sulla Croce sarebbe privo di senso, come ogni morte, senza l’atto d’amore compiuto da Gesù nel Cenacolo; l’atto di amore compiuto nel Cenacolo non sarebbe stato vero senza ciò che accadde sulla Croce. L’Eucarestia, istituita questa sera, trae così la sua origine sia dalla Cena sia dalla Croce, inscindibilmente anche se in modo diverso: l’Eucarestia è il sacramento del Sacrificio di Cristo sulla Croce, non è la cena semplicemente; di Cristo che si dona a ciascuno di noi sotto le speci del pane e del vino come nel Cenacolo.

Dobbiamo allora meditare attentamente le parole con cui Gesù istituì questa sera l’Eucarestia, ed espresse quindi il significato che Egli dava alla sua morte. "Questo è il mio corpo" dice Gesù "questo il calice del mio sangue". Queste parole hanno un significato sacrificale. Esse esprimono la volontà di Gesù di fare della sua morte il sacrificio vero, definitivo, perfetto: "che è per voi". Attraverso il dono della Sua vita che Cristo ha fatto a nostro favore, ciascuno di noi è stato riportato nell’alleanza con Dio. Ed infatti Gesù dice esattamente: "Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue". Il profeta Geremia aveva profetizzato una nuova Alleanza di Dio col suo popolo, il cui centro non sarebbe più stato il monte Sinai ma il monte Sion, la cui legge sarebbe stata scritta nel cuore dell’uomo e fondata nel perdono dei peccati. Gesù rivela con queste parole che la Nuova Alleanza viene sancita nella e dalla sua morte sulla Croce, e rendendoci partecipi attraverso l’Eucarestia della sua carità, Egli scrive nei nostri cuori la nuova legge: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri" (Gv 13,34). L’effetto proprio infatti della comunione eucaristica è la carità.

Comprendiamo allora come non ci sia solo una profonda connessione fra ciò che Gesù fa nell’ultima Cena e la sua morte sulla Croce, ma anche fra Ultima Cena, Morte sulla Croce e Risurrezione. Ciò che Gesù fece nell’Ultima Cena anticipa la sua Morte e vi dà senso; la sua Morte sulla Croce realizza concretamente quella volontà di donarsi espressa nella Cena [prendete e mangiate, prendete e bevete]; la Risurrezione esprime che l’amore che si dona è più forte della morte. L’atto compiuto da Gesù questa sera ha già in sé la gloria della Risurrezione, poiché il suo atto di amore ha trasfigurato la morte: l’ha vinta.

2. In questa luce possiamo ora capire il significato profondo della lavanda dei piedi narrataci da Giovanni nel Vangelo: la lavanda dei piedi riassume interamente ed esattamente tutto il mistero del Verbo incarnato. E’ la sintesi di tutta la sua vicenda umano-divina.

Il Verbo si alza dalla tavola gloriosa alla quale è assiso col Padre e il Figlio; depone le vesti della sua gloria divina e si cinge della nostra umanità. E compie il gesto incredibile: abbassarsi fino a raggiungere i piedi dell’uomo. I piedi sono la capacità di muoversi: simbolo della nostra libertà mediante la quale ciascuno muove spiritualmente se stesso. Cristo si umilia per lavare la libertà dell’uomo dal peccato che lo imprigiona. In questo gesto, le parole dette da Gesù sul pane e sul vino diventano pienamente chiare. "Vita e morte diventano trasparenti e rivelano l’atto dell’amore sino alla fine, un amore infinito, che è l’unica vera lavanda dell’uomo, l’unica lavanda capace di abilitarlo per la comunione con Dio, cioè capace di farlo libero" [J. Ratzinger, Il cammino pasquale, Ancora ed., Milano 2000, pag. 97].

A noi è donato nell’Eucarestia di partecipare a questo amore fino alla fine: ed è questa partecipazione che definisce la nostra esistenza cristiana. Entriamo dunque nella celebrazione della S. Pasqua per attingervi, in questo Anno Santo, pienezza di carità, di libertà, di vita.