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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


XXIX DOMENICA PER ANNUM
Conclusione Visita Pastorale a Barco
17 ottobre 1999

1. "Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio". Per capire queste parole di Gesù, che occupano il centro della pagina evangelica di oggi, dobbiamo tenere presente tutto il dialogo coi farisei durante il quale furono pronunciate.

Al tempo di Gesù in Giudea il dominio di Roma era ormai del tutto consolidato. Come sempre, il segno tangibile era che i giudei dovevano pagare le tasse in moneta romana. Ma questo fatto non mancava di suscitare domande; anzi in molti un vero e proprio problema di coscienza. La questione era se riconoscendo attraverso il pagamento delle tasse l’autorità romana, non si metteva in questione il riconoscimento di Dio esclusivo Signore del suo popolo.

Per capire ancora meglio questa difficoltà, teniamo presente che l’imperatore romano andava attribuendosi poteri sempre più invasivi della vita della persona, assumendo sempre più caratteri "divini". Non dimentichiamo che già al tempo di Gesù, in alcune parti dell’Impero si erano elevati templi all’imperatore. Si capisce allora come la domanda fatta a Gesù non fosse di poco conto. E come fosse insidiosa!

Cerchiamo allora di capire bene la risposta di Gesù. La parte più importante è la seconda: "rendete a Dio quello che è di Dio". Nella vita dell’uomo il rapporto che costituisce la sua esistenza è il rapporto con Dio. Egli ci ha creati ad a Lui apparteniamo: al Signore dobbiamo dare semplicemente noi stessi. Già l’Antico Testamento (Deut 6,4-5) parlava di amore totale ed esclusivo e di cuore indiviso per il Signore.

Sulle monete era impressa l’immagine dell’imperatore. Sulla persona umana è impressa l’immagine di Dio; ciascuno di noi è "ad immagine e somiglianza di Dio". Dunque, ciascuno di noi deve dare se stesso al Signore. Ma che cosa vuol dire "dare se stesso al Signore"? vorrei, carissimi fratelli e sorelle, che prestaste molta attenzione a ciò che sto dicendo ora.

Quando noi diciamo "io – io stesso/ me – me stesso", che cosa intendo? Intendo la mia persona in quanto essa mediante la sua libertà può prendere decisioni riguardanti la propria vita. Ciascuno di noi appartiene a se stesso, è se stesso in forza della sua libertà. Chi sono infatti gli schiavi? Coloro che non appartengono a se stessi, perché non sono liberi. Che cosa vuol dire allora "dare se stessi al Signore?"? vuol dire esercitare la propria libertà in obbedienza alla santa Legge del Signore. Ecco, il significato profondo del detto di Gesù.

Chiamato all’esistenza, l’essere umano è una creatura. L’immagine di Dio impressa nella nostra persona, consistente nella nostra razionalità e nella nostra libertà, dice la grandezza e la dignità di ogni uomo e di ogni donna. Ma questo soggetto personale è pur sempre una creatura: nella sua vita dipende dal Creatore. La persona umana non può decidere da se stessa ciò che buono e ciò che è cattivo: è il Signore Dio la fonte prima e suprema per decidere ciò che è bene e male. Ed egli ce lo fa conoscere creandoci a sua immagine. Ci fa dono della coscienza morale perché in essa brilli quella Luce divina che è la Sapienza di Dio, che tutto ordina. Rifiutare questa dipendenza da Dio significa non rendere a Dio quello che è di Dio; accoglierla significa rendere a Dio ciò che è di Dio, cioè noi stessi.

2. "Noi ben sappiamo, fratelli amati da Dio, che siete stati eletti a Lui". L’apostolo Paolo scrive ai cristiani di Tessalonica, ringraziando Dio perché essi hanno accolto il Vangelo: essi hanno veramente reso a Dio ciò che è di Dio. In che modo? Mediante il loro impegno nella fede, la loro operosità nella carità e la loro costante speranza nel Signore Gesù Cristo. Il cristiano infatti realizza la sua totale dipendenza nella fede, mediante la quale egli obbedisce colla sua ragione alla Parola di Dio; nella carità, mediante la quale egli pone a disposizione dell’amore di Dio e del prossimo la sua libertà; nella speranza, mediante la quale egli sottomette i propri desideri all’attesa dei veri beni.

Carissimi fratelli e sorelle: oggi concludiamo la Visita pastorale. Essa si è situata fra due pagine del Vangelo: l’invito al banchetto di nozze, a vivere cioè della vita di grazia con il Padre in Cristo; l’imperativo di Cristo di appartenere solo al Signore, per essere veramente liberi. Qui è racchiuso tutto il senso della mia presenza in mezzo a voi e di quella del vostro parroco. Invitarvi in ogni modo a convertirvi a Dio, allontanandovi dai vari idoli di oggi, per servire al Dio vivo e vero (cfr. 1Tess 1,9), e così divenire persone veramente libere.

Che il nostro Vangelo – quello che io vi predico e vi predica don Silvio – si diffonda veramente fra voi non soltanto per mezzo della nostra parola, ma anche attraverso la testimonianza della vostra vita in questo quartiere.