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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Settimana Mariana 2000
GIORNATA SACERDOTALE

1. "Donna, ecco il tuo figlio!/ Ecco la tua madre". Grande è il Mistero che celebriamo; non meno grande è il Mistero che viviamo. Celebriamo il Mistero della morte redentiva di Cristo; viviamo il Mistero della redenzione dell’uomo, frutto del sacrificio della Croce. L’esercizio del nostro ministero pastorale, la nostra missione, la nostra intera esistenza sono configurati e determinati dal Mistero della redenzione dell’uomo. E’ questo Mistero il nostro "ethos", la nostra dimora abituale e la chiave interpretativa della nostra vita.

La pagina evangelica appena letta pone davanti ai nostri occhi tre persone: il Cristo sulla Croce, la sua Madre santissima, il discepolo Giovanni. Volendo entrare anche noi dentro alla narrazione evangelica, non c’è dubbio che ci sentiamo subito "rappresentati" in e da Giovanni. E’ questa una convinzione presente nella Tradizione della Chiesa: in Giovanni il Crocefisso si rivolge ad ogni uomo. "Mentre egli [= Gesù] era sul punto di affrontare per noi la morte sulla Croce, disse a Giovanni, cioè ad un uomo nella cui umana condizione noi tutti eravamo inclusi: "ecco tua madre" [Eadmero di Canterbury in Testi Mariani del Secondo Millennio, 3, CN ed. Roma 1996, pag. 118]. "Ciò che è stato detto ad uno poteva essere detto a tutti gli apostoli, padri della nuova Chiesa. E siccome Cristo ha pregato per coloro i quali, per mezzo della loro parola, avrebbero creduto, "affinché tutti siano una cosa sola" (Gv 17,21), a tutti i fedeli che amano Cristo con tutto il cuore si addice ciò che è stato detto a colui che amava Cristo" [Gerhod di Reichersberg, ivi, pag. 339].

E’ necessario dunque, venerati fratelli, che meditiamo su questo mirabile e profondo legame che esiste fra ciascuno di noi e Maria, la Madre del Redentore: fra ciascuno di noi come battezzati; fra ciascuno di noi come ministri della redenzione. E’ questo legame infatti che fonda ultimamente l’atto di affidamento che faremo del nostro Presbiterio a Maria.

Dalle parole dette da Gesù a Maria e a Giovanni risulta chiaramente che è un rapporto di maternità [Donna, ecco tuo figlio] – figliazione [Figlio, ecco tua Madre]. Come insegna il Concilio Vaticano II: Maria "è diventata per noi madre nell’ordine della grazia" [Cost. Dogm. Lumen gentium 61; EV 1/436]. "Questa maternità nell’ordine della grazia" spiega Giovanni Paolo II "è emersa dalla stessa sua maternità divina: perché essendo, per disposizione della divina provvidenza, madre-autrice del redentore, è diventata "una compagna generosa [generosa socia] del tutto singolare… del Signore"" [Lett. Enc. Redemptoris mater 22,2; EE 8/677].

La Chiesa dunque ha insegnato che in ragione della sua divina maternità, Maria ha cooperato in modo del tutto singolare all’opera della redenzione compiuta dal suo Figlio, e pertanto "è diventata per noi madre nell’ordine della grazia". Cerchiamo, venerati fratelli, di avere una sia pure piccola intelligenza di questo grande mistero della cooperazione di Maria all’opera della redenzione.

Commentando il testo paolino Col. 1,24, S. Tommaso scrive: " questo era ciò che mancava: come Cristo aveva patito nella sua propria carne, così doveva patire in Paolo suo membro, e ugualmente negli altri; per il suo corpo che è la Chiesa, la quale doveva essere redenta da Cristo" [Lectio VI, 61; Super Ep. S. Pauli Lectura, II, ed. Marietti, pag. 138 A]. Tocchiamo qui una delle dimensioni più commoventi del Mistero della redenzione ed una delle chiavi interpretative della visione cattolica. L’opera di Cristo manifesta la sua grandezza ed efficacia non rendendo inutile ed insignificante l’opera dell’uomo: Dio non glorifica mai Se stesso sulle ceneri dell’uomo. Ma l’atto redentivo di Cristo suscita l’atto cor-redentivo degli eletti: "non alla maniera di un’addizione, ma al modo di una partecipazione; non alla maniera di una giustapposizione, ma alla maniera di una compenetrazione: come l’Essere di Dio suscita l’essere dell’universo" [Ch. Journet, L’Eglise du Verbe Incarné II, ed. Saint Augustin, s.l. 1999, pag. 680-681].

Ciò che è vero di ogni cristiano, lo è "in modo del tutto singolare" di Maria, in quanto la partecipazione di Maria all’opera redentiva di Cristo si configura come co-operazione corredentiva universale. Essa si estende a tutti gli uomini; ottiene per essi tutte le grazie che derivano unicamente dal sacrifico di Cristo. Al riguardo l’insegnamento della Chiesa è limpido: "La beata Vergine fu su questa terra… generosamente associata alla sua [=il Redentore] opera a un titolo assolutamente unico… per restaurare la vita soprannaturale delle anime" [Lumen Gentium 61]. Per essere madre del Redentore in senso interamente vero, Maria doveva essere associata all’atto della redenzione del mondo. "Maria" scrive S. Agostino "è stata l’unica donna ad essere insieme madre e vergine, tanto nello spirito come nel corpo. Spiritualmente però non fu madre del nostro capo, cioè del nostro Salvatore, dal quale piuttosto ebbe la vita, come l’hanno tutti coloro che credono in Lui (anche lei è uno di questi!) … E’ invece senza alcun dubbio madre delle sue membra, che siamo noi, nel senso che ha cooperato a generare alla Chiesa dei fedeli, che formano le membra di quel capo" [De sancta virginitate 6,6; NBA VII/1, pag. 81: cooperata est caritate ut fideles in Ecclesia nascerentur].

Se ora ritorniamo al testo evangelico, lo sentiamo risuonare nel nostro cuore con una nuova profondità. La parola che Gesù dice a Maria dalla Croce le chiedono di vedere Giovanni e in Giovanni ogni uomo il figlio che il Padre ha adottato, il fratello del Primogenito. E Maria acconsente a questa parola e da quel momento Giovanni ed ogni uomo diviene suo figlio. Quale profondo mistero!

All’annuncio dell’Angelo, il Verbo è venuto a dimorare in Lei: ha concepito nella carne e nella fede il Figlio unigenito del Padre. Alla parola dettale da Cristo sulla croce, Maria apre il suo cuore a ciascuno di noi; concepisce nella sua carità ciascuno di noi: "come leggiamo che la prima Eva è stata donata al primo Adamo come aiuto per la generazione secondo la carne, con questa contemplazione noi sappiamo che siamo suoi figli secondo lo spirito" [ . Salmeron, cit. da M.D. Philippe, Mystère de Marie, ed Fayard, Paris 1999, pag. 254, n. 1].

2. La contemplazione della maternità di Maria, la sua cooperazione all’opera della redenzione pone noi sacerdoti in un rapporto singolare con la Madre del Redentore. Fermiamoci un momento, venerati fratelli, a contemplare questa connessione: è da questa contemplazione che deve nascere l’atto con cui affidiamo il nostro presbiterio a Maria.

La connessione fra il nostro ministero e la cooperazione di Maria alla redenzione del mondo può essere pensata da due punti di vista.

Il Concilio Vaticano II insegna che la maternità di Maria nell’ordine della grazia "perdura senza soste dal momento del consenso fedelmente prestato nell’Annunciazione … fino al perpetuo coronamento di tutti gli eletti". Ella infatti "colla sua molteplice intercessione continua ad ottenerci i doni che ci assicurano la nostra salvezza eterna" [Lumen Gentium 62,1]. Ma la persona umana incontra Cristo e si salva nei santi sacramenti e nell’accoglienza della predicazione evangelica: servizio alla redenzione affidato al nostro sacerdozio. E’ la Vergine che colla sua intercessione spinge l’uomo a ricevere quei doni di salvezza che gli sono donati dal nostro ministero: "l’unica mediazione del redentore" insegna ancora il Concilio "non esclude, bensì suscita nelle creature una varia cooperazione partecipata da un’unica fonte" [ibid. 62,2]. Varia cooperazione: quella di Maria e quella nostra; da un’unica fonte: il mistero pasquale di Cristo. Senza dimenticare quanto scrive S. Tommaso, "non est distinctum quod est ex causa secunda et ex causa prima" [1,q,23,a,5]: è sempre la stessa mediazione di Cristo.

Ma il nostro rapporto con Maria può essere contemplato anche da un altro punto di vista. Se ella continua ininterrottamente la sua maternità, a Lei dobbiamo ricorrere perché il nostro ministero sia fecondo.

Se questa è l’economia redentiva nella sua obiettività, dobbiamo assimilare soggettivamente questo rapporto del nostro ministero sacerdotale con Maria: bisogna che si approfondisca costantemente il nostro legame spirituale con la Madre di Dio "che cooperò in modo tutto speciale all’opera del Salvatore… per restaurare la vita soprannaturale delle anime".

Ritorniamo instancabilmente alle parole del Vangelo: "la prese nella sua casa". Prendendo nella casa della propria esistenza la madre che stava sotto la croce, Giovanni prese in se stesso tutto ciò che in quel momento stava nel cuore di Maria: il fatto che ella "soffrendo col Figlio suo morente sulla Croce, cooperò in modo tutto speciale all’opera del Salvatore". Tutto questo profondo mistero, l’esperienza che Maria fece del sacrificio della Croce, è stato affidato in Giovanni a ciascuno di noi, a cui coll’imposizione delle mani è stato dato il potere di rendere presente quel sacrifico stesso. "Cerchiamo di essere vicini a questa Madre, nel cui cuore è inscritto in modo unico ed incomparabile il mistero della redenzione del mondo" [Giovanni Paolo II, Lettera ai sacerdoti, 25 marzo 1988; EV 11/263].

3. Noi vogliamo che questa vicinanza, questo ingresso di Maria nella casa del nostro presbiterio sia compiuto con un atto pubblico di affidamento. Che cosa significa "affidarsi ad una persona"?

L’affidamento è la risposta all’amore di una persona; è la risposta all’amore materno di Maria. Abbiamo già contemplato la maternità di Maria nei confronti di ogni uomo; abbiamo già contemplato come la materna mediazione di Maria si intrecci colla nostra mediazione ministeriale: coll’atto di affidamento del nostro presbiterio noi vogliamo introdurre la Madre di Cristo in tutto lo spazio del nostro ministero apostolico. Commentando il testo evangelico, S. Agostino scrive: "Egli se la prese con sé, non nei suoi poderi, perché non possedeva nulla di proprio, ma tra i suoi impegni, ai quali attendeva con dedizione" [Comm. al Vangelo di Giovanni 119,3; NBA XXIV, pag. 1557].

Suscepit eamin sua officia, scrive il santo dottore. Noi vogliamo "suscipere eam … in nostra officia": prendere consapevolmente Maria dentro all’esercizio del nostro ministero. In questo modo esso si pone più intimamente dentro all’azione di quella materna carità colla quale Maria "si prende cura dei fratelli del Figlio suo", "alla cui rigenerazione e formazione ella coopera".

Ciascuno poi vivrà questo atto nel modo con cui la grazia lo muoverà a farlo.

Affidato alla Madre di Cristo, sia il nostro presbiterio segno efficace della redenzione dell’uomo alla quale Maria coopera: perché venga nel nostro popolo il Regno di Cristo.